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Nessun protocollo violato: una seduta con l’Emdr, semplicemente, non c’è mai stata. Ancora un colpo all’accusa del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Ieri è stata la volta di Isabel Fernandez, presidente dell’associazione per l’Emdr in Italia, che ascoltata ad ottobre 2019 aveva di fatto smentito la competenza della psicoterapeuta Nadia Bolognini (difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi) nell’ambito di questo approccio terapeutico, impiegato per il trattamento di traumi e stress psicologici.
Durante l’esame della pm Valentina Salvi, Fernandez ha confermato i verbali di sit, quando aveva dichiarato che «non avrebbe alcun senso effettuare Emdr su un soggetto rispetto ad un evento traumatico su cui quel soggetto non ha ricordi o che addirittura non è affatto avvenuto». In aula, però, Fernandez non solo ha spiegato che è possibile svolgere questo tipo di terapia anche in assenza di un ricordo, partendo dai sintomi, ma anche che Bolognini, nelle sue sedute, non ha svolto l’Emdr, motivo per cui non era possibile contestare come inadeguata la sua tecnica. Di più: la valutazione che Fernandez aveva fatto dell’operato di Bolognini si basava sull’ascolto di soli sei minuti di seduta, senza alcuna conoscenza del caso o delle altre sedute. Quella di Bolognini, dunque, sarebbe stata una psicoterapia “classica” e il fatto che abbia usato il Neurotek - impropriamente ribattezzato “macchinetta dei ricordi” - non trasforma la psicoterapia in Emdr.
Fernandez aveva definito suggestive le domande di Bolognini, ma interrogata sul punto da Bauccio non ha saputo distinguere una domanda suggestiva da una chiusa. Come lo erano quelle di Bolognini, che faceva riferimento a rilevazioni, da parte del bambino, acquisite in altre sedute e ormai pacifiche. Fernandez ha anche chiarito di non avere alcuna informazione sul bambino e sulla sua storia familiare e terapeutica. «Quindi le sue valutazioni, su sei minuti di audio, che cosa sono?», ha chiesto Bauccio. «Sono quello che posso dire in relazione soltanto a quello che ho visto». Bauccio ha anche chiesto quale tecnica avrebbe usato la teste in caso di incarico peritale per valutare una psicoterapia. Fernandez ha spiegato che avrebbe sentito i genitori, fatto l’anamnesi e ascoltato il bambino. Non una sola volta, ma diverse volte, con interviste, domande semi strutturate e test, ovvero il contrario di quanto fatto dalle consulenti della pm.
La tesi dell’accusa è che gli psicoterapeuti abbiano manipolato i bambini, suggerendo loro ricordi traumatici in realtà inesistenti. Ma è possibile, ha confermato Fernandez, che un bambino vada in psicoterapia presentando dei sintomi senza che si conosca il trauma, motivo per cui si può avviare la psicoterapia anche senza un ricordo. Inoltre, stando alle risposte fornite a Bauccio, è normale che i bambini trasportino il trauma in una dimensione immaginaria. Dunque la scelta dello psicoterapeuta di dire che verrà utilizzato un macchinario o un pupazzo che “fa delle magie” non è errata. Cosa che Bolognini ha fatto con il Neurotek, che secondo la tesi accusatoria non trasmetterebbe nulla al cervello. Dire il contrario, come fatto da Bolognini, avrebbe rappresentato, per la procura, un condizionamento. Ma stando ad un libro approvato dall’associazione Emdr - “La terapia Emdr in età evolutiva” -, citato in aula da Bauccio, il macchinario ha proprio la funzione di trasmettitore neuronale, una sorta di messaggio al cervello per tranquillizzare il paziente e allontanare la paura. L’uso della macchinetta, dunque, ha un effetto positivo. Anche se usato con i piedi: è sempre lo stesso libro a confermare che i bambini lo usano come tecnica di rilassamento, spesso infilando i sensori nelle calze. Ovvero ciò che ha fatto fare Bolognini con il suo paziente. Smentita, infine, anche la scarsa preparazione di Bolognini in tema di Emdr: mentre a sit Fernandez aveva dichiarato che la psicoterapeuta aveva svolto un solo corso nel 2002, la difesa ha depositato numerosi attestati e titoli, a riprova della sua preparazione. Bolognini, inoltre, era socia dell’Associazione Emdr, ma nel 2019, proprio dopo il blitz della procura, è scomparsa dalla lista dei soci, senza che lei ne facesse richiesta.
Durante l’udienza di ieri è stata anche ascoltata la madre di una delle minori coinvolte, che più volte si è contraddetta ed è stata smentita dai documenti prodotti dalla difesa. La donna ha negato di essersi rivolta, ancor prima che nascesse la figlia, ai Servizi per un sostegno economico, cosa smentita dai documenti. Così come ha negato di averli contattati una seconda volta, dopo la nascita della bambina, rappresentando una forte conflittualità col marito, altra circostanza documentata. Un rapporto da sempre difficile quello coi servizi, dunque, anche dopo il blitz del 2019, quando la famiglia è entrata in contatto con nuovi assistenti sociali, che di fatto hanno confermato i problemi di sempre: una forte conflittualità tra i genitori e il rischio che per la figlia fosse necessario un nuovo allontanamento. La donna ha di fatto dimostrato, in aula, di non essere a conoscenza di molti particolari che riguardano la figlia anche dopo il ricongiungimento, compreso il fatto di essere stata bocciata. Dalla relazione dei nuovi Servizi, d’altronde, emerge come i genitori non fossero in possesso della password del registro informatico della figlia, che non aveva i libri di testo, circostanze ancora una volta negate dalla donna. Stando alle sue parole, i carabinieri sarebbero intervenuti una sola volta a casa, a causa di un furto di 5.000 euro a suo danno da parte del marito. Ma anche in questo caso sono documentati diversi interventi, tra i quali quello richiesto dalla stessa minore, lasciata da sola a casa dai genitori.
La donna ha negato anche che Francesco Monopoli - difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro - avesse relazionato un miglioramento della situazione familiare, circostanza, anche in questo caso, documentata. La teste ha negato di aver mai affermato che il marito la faceva prostituire - circostanza riferita anche al ctu Giuseppe Bresciani dalla donna -, cambiando versione più volte sul punto. Così come sugli avanzi di cibo in casa, per i quali ha infine dichiarato di non sapere quale fosse la situazione. La teste ha dichiarato che, dopo l’allontanamento, non avrebbe visto la bambina per circa otto mesi, circostanza smentita dalle sue stesse dichiarazioni a Bresciani, al quale aveva invece dichiarato di vederla ogni due settimane. La donna ha negato ancora che la figlia in epoca precedente l’allontanamento avesse visto situazioni di conflitto in casa tra i genitori, circostanza smentita dalla figlia in incidente probatorio, quando ha ricordato al giudice del litigio tra i due collegato al furto dei 5mila euro.
Inoltre ha negato di aver svolto un incontro protetto con la figlia il giorno prima del suo ricovero in ospedale, cosa dimostrata da alcune prove contenute nei device e depositate dalla difesa dell’ex responsabile del Servizio Federica Anghinolfi ( Oliviero Mazza e Rossella Ognibene. La donna ha poi dichiarato di non ricordare se fosse andata all’incontro, organizzato dal Servizio sociale, proprio per la ripresa degli incontri protetti con la figlia dopo l’evento accaduto in ospedale. Della sua presenza a tale incontro e del fatto che la signora se ne andò subito, senza ascoltare le proposte del Servizio, vi è invece documentazione a riprova già versata nel fascicolo del dibattimento.