PHOTO
La terapia non sarebbe stata un supporto neutrale, ma uno strumento per confermare un’ipotesi già decisa. A sostenerlo in aula la pm Valentina Salvi, nella terza giornata di requisitoria nel processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, noto come “caso Bibbiano”. Durante l’udienza di oggi è stata analizzata la vicenda di N., il bambino che aveva raccontato a scuola di aver subito abusi dal fratellastro e che assumeva atteggiamenti sessualizzati e compulsivi con i compagni. I comportamenti del bambino erano stati segnalati e monitorati per anni dalla scuola, che aveva poi documentato nella sua relazione il progressivo peggioramento del suo atteggiamento, fatto anche di iperattività e aggressività. Secondo l’accusa, però, l’analisi dei documenti e delle testimonianze raccolte rivelerebbe numerose incongruenze e forzature nelle valutazioni fatte dagli assistenti sociali e dagli esperti coinvolti.
Salvi ha citato la testimonianza dell’affidataria del bambino, secondo cui N. non avrebbe mai mostrato comportamenti sessualizzati in sua presenza, al punto da dire che «sembrava strano che a casa dei suoi genitori N. avesse così tanti atteggiamenti sessualizzati, mentre con lei non si erano mai manifestati». L’affidataria non avrebbe mai fatto riferimento a comportamenti sessualizzati e, secondo Salvi, l’assenza di comportamenti sospetti al di fuori della scuola avrebbe dovuto essere considerata dai servizi un elemento fondamentale. La circostanza, invece, sarebbe stata «deliberatamente ignorata». Il tutto con un solo scopo, a suo dire: convalidare l’ipotesi di abuso. La pm ha citato un appunto scritto a mano, privo di firma e data, «in cui viene data direttiva a Sara Gibertini, assistente sociale nell’area infanzia dal 2010 al 2017 e accusata di falso, violenza privata e frode processuale, che stava seguendo il caso, «di indicare abusi sessuali nella segnalazione, nonostante nulla fosse cambiato rispetto» alla prima comunicazione. E nello stesso appunto «si parla di intervento incisivo da fare l’anno prossimo. È proprio questa - ha sottolineato - la relazione in cui per la prima volta viene indicato il sospetto abuso sessuale, in linea quindi con quanto inserito nell’appunto: modificare la lettera di accompagnamento dicendo “sospettiamo un abuso sessuale”». L’obiettivo degli assistenti sociali, dunque, sarebbe stato quello di ottenere un mandato dalla magistratura per allontanare il bambino. Ciò nonostante i genitori avrebbero fatto «davvero di tutto» per N.. Le loro testimonianze sarebbero però state alterate, ad esempio, per suggerire «una relazione morbosa tra N. e il nonno materno», mentre alcune affermazioni sarebbero state decontestualizzate per farli apparire «negazionisti o indifferenti al benessere del figlio», così come aveva sottolineato la scuola in un documento. A seguito del decreto del Tribunale dei Minori, N. è stato allontanato dalla famiglia, secondo Salvi con «una crisi di pianto disperata, supplicando di tornare dalla madre». Secondo la relazione dei servizi, invece, N. avrebbe salutato la madre in modo affettuoso e pacato, lasciando che si allontanasse. Nei mesi successivi, il bambino avrebbe chiesto più volte agli affidatari di tornare a casa, ma tali dati «non vengono riportati nelle relazioni ufficiali», ha sottolineato la pm: in una mail interna ai servizi sociali scritta 20 giorni dopo l’allontanamento, infatti, viene scritto che N. «non ha più chiesto della madre».
Bibbiano, la lettera del piccolo N. «Mamma, non voglio tornare da te»
Dopo l’allontanamento il bambino venne inserito in un percorso di psicoterapia per elaborare un presunto trauma, del quale, ha evidenziato Salvi, non c’è una chiara diagnosi. Nonostante ciò furono fatte domande mirate sugli abusi, alle quali N. avrebbe risposto cambiando le proprie affermazioni in base a come venivano poste, segnale, secondo la pm, di una influenza esterna. L’accusa di abuso sessuale sarebbe stata dunque costruita progressivamente, senza prove reali, e le relazioni ufficiali «manipolate» per enfatizzare il rischio per N. e giustificare l’allontanamento. Motivo per cui, per Salvi, la magistratura avrebbe preso decisioni basate su informazioni incomplete e distorte. La pm ha citato più volte la testimonianza dell’affidataria, secondo cui il bambino «non ha mai raccontato spontaneamente episodi di abuso, ma ha risposto a domande specifiche poste dagli operatori». E ha poi parlato della “macchina dei ricordi”, il Neurotek, strumento utilizzato nella terapia Emdr, con la quale la psicoterapeuta Nadia Bolognini, difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi, avrebbe invitato il bambino a “tornare con la mente” agli eventi passati e a raccontarli. Un modo, per la pm, per costruire falsi ricordi, attraverso domande, a dire di Salvi altamente suggestive: invece di lasciare che il bambino esprimesse liberamente le sue paure, gli sarebbero stati proposti dei nomi e delle immagini affinché scegliesse l’alternativa utile, per la pm, a convalidare l’ipotesi di abuso.