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I primi due anni di sedute di psicoterapia tra la piccola K. e la psicoterapeuta Nadia Bolognini non sono stati intercettati. Ciononostante, secondo la pm Valentina Salvi non ci sono dubbi: durante quel periodo la bambina non avrebbe mai parlato di presunti abusi, che sarebbero stati «inculcati» nella mente di K. da Bolognini. Il “metodo” sarebbe sempre lo stesso: collegare «ogni singolo comportamento quotidiano di K. a ciò che subiva nella famiglia d’origine», con connotazione sessuale. Continua la requisitoria nel processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, che mercoledì dovrebbe arrivare alla chiusura, con la discussione sulla parte che riguarda le presunte lesioni e le richieste di pena.
Salvi, in aula, ha ancora una volta riprodotto spezzoni di sedute e vocali, utilizzati per dimostrare la sua tesi: ad eccezione delle due affidatarie, l’assistente sociale Francesco Monopoli, la responsabile del Servizio Federica Anghinolfi e la psicologa Imelda Bonaretti, «nessuno aveva mai notato nulla di ciò che era scritto nelle relazioni su K.», come i comportamenti sessualizzati, i comportamenti aggressivi nei confronti degli animali e le conoscenze troppo approfondite, per l’età, sul sesso, pure confermati in aula da alcuni testi dell’accusa, come la responsabile di un campo estivo gestito da Legambiente. Secondo la pm, però, tali testimoni avrebbero smentito tale tesi, compreso il ctu Giuseppe Bresciani, che ascoltato in aula il 25 settembre aveva però confermato in toto la propria relazione sulla minore, sottolineando che il trauma di K. fosse evidente. Ma non solo: per la pm nemmeno il padre di una delle affidatarie (difese dagli avvocati Andrea Stefani e Valentina Oleari Cappuccio) avrebbe notato atteggiamenti sadici nei confronti degli animali, cosa che invece l’uomo aveva dichiarato in aula, sostenendo che la bambina, in un’occasione, aveva staccato le gambe a degli scarafaggi e ucciso alcune lucertole, dicendo di sapere che era sbagliato ma di «non resistere». Ma a confermarlo, in un altro passaggio della requisitoria, è proprio la pm: nel suo diario, ha spiegato, K. lamentava proprio dei rimproveri delle affidatarie e del nonno per il suo atteggiamento con gli animali. Diario nel quale aveva anche descritto il comportamento sadico sul gatto, motivo per cui sul punto il falso, ha affermato la pm, «non è provato». Non del tutto almeno: nelle relazioni sarebbe infatti stato omesso il fatto che «K. amava immensamente gli animali». Anche l’appunto di K. nel diario, però, potrebbe essere frutto delle sedute di psicoterapia con Bolognini, in quel momento nella fase clou.
Psicoterapia, appunto, che avrebbe prodotto in lei la convinzione di aver subito abusi. Eppure, sollecitata con una mail dalla consulente del pm Elena Francia, che chiedeva se fossero emersi elementi che confermassero gli abusi, la psicoterapeuta (difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi) aveva sottolineato l’assenza di indicatori in tal senso. «Ci si chiede se nella relazione di aprile (dei servizi, ndr) venga descritta realmente K. o un soggetto diverso dalla bambina - ha chiesto in aula la pm -. Viene indicata una marea di sintomi per ognuno dei quali c’era una spiegazione che riconduceva sempre al sospetto di abuso sessuale. Tutto diventa un aspetto di sessualizzazione». Ma tali elementi sarebbero stati aggiunti in modo «assolutamente doloso e arbitrario» da Monopoli (difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro).
Non solo. Per la pm è falso che K. non volesse vedere i genitori. «Non si sa quante volte ha chiesto invano dei genitori», ma nella relazione «non viene mai menzionato questo desiderio e anzi viene detto che rifiuta il contatto e non chiede mai di loro», ha sottolineato. «Bolognini - ha aggiunto Salvi - parla di ascolto empatico. Ma K. non parla mai (in alcuni spezzoni di seduta fatti ascoltare in aula, mentre in altri la si sente parlare a lungo, ndr) e a volte non capisce le domande. Alla faccia dell’ascolto empatico».
Secondo Salvi, le domande «insistenti» di Bolognini erano finalizzate a capire cosa K. avesse detto al pm. «L’alterazione dello stato di K.» da parte di Bolognini sarebbe resa evidente «dal fatto che nei due incidenti probatori darà risposte completamente diverse». Per la pm, il problema dei Servizi era che i bambini tornassero a casa. Nessun dubbio, da parte sua, sul fatto che invece i Servizi sociali potessero essere preoccupati per le sorti dei bambini. «La rescissione tra genitori e figli - secondo la pm - era indispensabile in questo metodo per poter ottenere dichiarazioni». Per tale motivo, gli incontri protetti sarebbero stati «organizzati per poter raccogliere elementi durante quegli incontri protetti per poterli poi sospendere».
I servizi sociali, ha aggiunto l’accusa, «non solo erano perfettamente consapevoli della volontà dei genitori di vedere K. e di K. di vederli, ma su direttiva di Anghinolfi tentarono anche di deviare il pensiero di K. da questa idea», pensando «a una distrazione per lei». Ed è qui, ha affermato la pm, che «arriva il genio» di Anghinolfi (difesa da Rossella Ognibene e Oliviero Mazza): «Spostare l’attenzione per spostare l’emozione». K. voleva vedere i genitori, ma «per anni è stato relazionato il contrario» in relazioni fidefacenti. E addirittura, «per dare una forma alle loro convinzioni», Monopoli e Bonaretti sarebbero arrivati a mettere «a repentaglio la stessa incolumità di K.»: tra aprile e metà maggio 2017 K., infatti, versava in un fortissimo stato di sofferenza, stando ad affidatarie ed educatrici, tanto da temere che la bambina potesse compiere gesti estremi. K. aveva infatti scritto un nel suo diario che «la mia vita fa schifo, voglio morire». Su tale questione è stato trovato un appunto nel servizio di neuropsichiatria di Montecchio, risalente all’11 maggio 2017: K. spiegò infatti alla neuropsichiatra che «la vita fa schifo perché non incontro più papà e non sono più coi miei genitori, ma in affido e non me l’aspettavo». Nella relazione del 30 maggio di tale spiegazione non c’è traccia. Ma è pur vero che il 16 maggio K. disse l’esatto contrario, affermando di voler rimanere con le affidatarie e finire lì la quinta elementare. Ciò non basta, per la pm: «C’era una bambina che stava male e stava spiegando i motivi» e che «è stata tenuta in ostaggio da un sistema che non era in grado di modificare la situazione», ha sottolineato. Perché sempre il 16 maggio K. disse anche che i genitori la accudivano. Salvo poi abbassare lo sguardo.
Dopo quasi un anno di terapia con Bolognini, secondo Salvi, «la memoria di K.» sarebbe stata «modificata». Parlando con un amico immaginario che si chiamava “spaventak.”, sul suo diario la bambina si diceva consapevole «che erano successe cose brutte con i genitori», ma che il martedì, giorno delle sedute con Bolognini, ci avrebbe lavorato su. Dimostrazione, secondo la pm, del fatto che si trattava di «contenuti che emergevano in psicoterapia e per i quali stava male», perché «introitava questi concetti incredibili e poi cambiava carattere, diventando antipatica, come le dicevano i compagni». La pm, inoltre, ha sottolineato che le affidatarie la obbligavano a scrivere sul diario, cosa di cui K. si lamentava, salvo però dire «mi fa bene». Affidatarie che, nel racconto della pm, sono contemporaneamente credibili - quando confermavano, ad esempio, la volontà di K. di vedere i genitori - e non credibili. Tanto da definire una di loro una «persona completamente sdoppiata» e dedita a «deliri improvvisi».
Nel corso dell’udienza, Salvi ha chiesto l’assoluzione di Bolognini per l’accusa di violenza privata in merito all’utilizzo del Neurotek con K., e dell’educatrice Maria Vittoria Masdea dall’accusa di frode processuale.