«Confermo tutto». La paziente di Claudio Foti, lo psicoterapeuta assolto in via definitiva nel processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza, ha risposto così alle domande della pm Valentina Salvi, che ha letto in aula il contenuto delle relazioni del Servizio sociale, false secondo l’accusa. La giovane ha però sottolineato la veridicità di tutte le frasi a lei attribuite in quei documenti, relative ai suoi stati d’animo e alle situazioni vissute nella sua vita, di fatto sconfessando la tesi dell’accusa.

Secondo la procura, Foti avrebbe instillato nella giovane la convinzione che fosse stato il padre ad abusare di lei da bambina, portandola ad odiarlo. Un dato che però non emerge da nessuna delle registrazioni delle sedute svolte con la ragazza, passata dall’iniziale voglia di farla finita fino alla convinzione di poter comunque essere felice. Cosa giustifica, dunque, l’avversione della giovane nei confronti dei Servizi? Durante l’udienza di mercoledì, la ragazza - all’epoca dei fatti 17enne - ha chiarito che è stata l’inchiesta a farle cambiare idea sugli operatori che l’hanno seguita: il suo giudizio positivo è infatti mutato a seguito del blitz, nella convinzione che «se è successo tutto questo vuol dire che si sono approfittati di tutto quello di cui si potevano approfittare» . Nessun dubbio, però, l’aveva sfiorata fino ad allora.

Secondo l’impianto accusatorio, sarebbe stato l’assistente sociale Francesco Monopoli difeso dagli avvocati Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro - a convincere la ragazza di aver subito violenza da un suo ex fidanzato. La ragazza ha dichiarato alla pm di nutrire tutt’oggi il sospetto che il rapporto - consumato quando aveva solo 13 anni - non sia stato consenziente: «Oggi come oggi so - a seguito dell’inchiesta, ndr - che i servizi mi hanno detto bugie - ha detto -, ma il dubbio di aver subito violenza ce l’ho ancora». La giovane aveva raccontato della sua titubanza e delle pressioni del suo fidanzato per avere rapporti, tanto da dirle “o li levi ( gli slip, ndr) tu o te li levo io”. E di questa situazione la ragazza ne aveva parlato prima con la madre, poi con Monopoli, che le aveva spiegato che anche una costrizione psicologica è violenza. La teste ha poi affermato che il rapporto con Monopoli e la psicologa Imelda Bonaretti non era suggestivo, ma un dialogo, uno «scambio» fatto di condivisione di pensieri e metafore. «Non erano un disco rotto - ha sottolineato -, mi facevano delle domande e poi me ne facevano altre per aiutarmi».

Vicenda centrale della vita della ragazza il presunto abuso subito a 4 anni, ad opera di un amico del padre. La ragazza ne aveva parlato con la zia, che poi lo aveva riferito alla madre. «Mio papà mi faceva delle battute - ha raccontato - quindi ero un po’ in dubbio. Monopoli mi diceva che o mio papà non era convinto» del fatto che era stata abusata «oppure era convinto, ma voleva proteggere» il suo amico.

Su domanda di Sambataro, la teste ha affermato di aver parlato di quell’episodio con il padre, che ripeteva la versione fornita dal suo amico. Ovvero che la bambina si era “suggestionata” per averlo visto andare in bagno in piedi. Una circostanza che, in effetti, anche il padre ha raccontato in aula, affermando che «la bambina aveva capito male», confermando di credere alla versione del suo amico. Dopo il presunto abuso, in ogni caso, il padre ha continuato a portare le figlie dal suo amico, facendo spesso battute sul ruolo della donna, che dovrebbe soltanto pulire e cucinare. «Ogni volta che andavamo a trovarlo, infatti, ci faceva pulire», ha sottolineato la ragazza. Che ha anche confermato che è possibile che nel 2015, dunque prima della terapia con Foti, provasse paura nei confronti del genitore, indicato come violento anche dalla madre.

La ragazza ne aveva parlato nei colloqui con Monopoli e Bonaretti, ai quali aveva detto di avere paura di tornare a casa, di non sentirsi sicura e a suo agio a stare con suo padre, tanto da non volerci più andare. «In quel periodo - ha detto in aula potrei aver parlato di paura di violenza fisica». Altro elemento emerso riguarda una frase pronunciata dalla madre circa l’abbigliamento da tenere a casa del padre: la donna, infatti, avrebbe chiesto alle figlie di «non stare in mutande», un invito, aveva dichiarato a sit all’epoca, che aveva inteso come un tentativo di metterla in guardia e che oggi interpreta come un’esortazione a vestirsi in modo consono.

I carabinieri, in sede di sommarie informazioni testimoniali, hanno però affermato che la madre non avrebbe mai detto una cosa del genere. Ma la giovane ha confermato non solo ai militari, ma anche alla consulente dell’accusa Rita Rossi, di aver sentito quella frase. Secondo l’accusa, inoltre, Foti, attraverso la terapia Emdr, avrebbe convinto la ragazza che ad abusare di lei sarebbe stato il padre. Una circostanza che dai video di quella terapia - depositati nel processo a Foti - non emerge mai. La giovane ha affermato che durante la terapia, ad un certo punto, il volto di suo padre avrebbe sostituito quello del suo amico. Una “dissolvenza” che, però, nessuno ha interpretato come la conferma di una violenza agita dal padre.

Durante l’udienza di mercoledì è terminato il controesame dell’assistente sociale Valentina Muraca, che ha avuto in carico il caso della 13enne per la quale c’erano elementi, provenienti da più fonti, di una possibile esposizione a rapporti sessuali con un lontano parente di 27 anni ospite a casa della ragazzina. Parente per il quale era stata la stessa pm Salvi a chiedere il rinvio a giudizio il 17 novembre 2020 - come documentato dall’avvocata Cinzia Bernini -, con l’accusa di atti sessuali con minorenne. Il procedimento si è però chiuso con una sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, come confermato in aula dal maresciallo Giuseppe Milano.

La difesa di Federica Anghinolfi - rappresentata da Oliviero Mazza e Rossella Ognibene ha depositato dei documenti che ricostruiscono le tappe che hanno portato alla decisione, da parte dell’equipe di operatori, di aggiornare la situazione della giovane al Tribunale per i Minorenni e a procedere ad un allontanamento dall'abitazione per provvedere alla protezione della ragazzina. Era stato redatto, inoltre, un aggiornamento inoltrato alla procura ordinaria del Tribunale per segnalare l’ipotesi di reato, utilizzando le notizie direttamente raccolte dalla minorenne, che dimostrerebbero la correttezza dei contenuti della relazione accusata di falso ideologico dalla procura.