Nel caso di O. A., il Tribunale dei minori di Bologna «prese una direzione diversa da quella che ci si aspettava, senza raccogliere proposte e valutazioni e senza ascoltare la famiglia». In nessuna parte della relazione redatta dalle operatrici del servizio, infatti, «venne richiesto l’allontanamento del minore» e il decreto «cita solo i fattori di rischio e non quelli di protezione riportati in relazione». Sono le parole pronunciate ieri in aula da Marina Frigieri, figura storica nel settore dei servizi sociali ed ex responsabile del servizio minori di Sassuolo, consulente della difesa di Federica Alfieri, psicologa Asl imputata nel processo sui presunti affidi illeciti “Angeli e demoni”, difesa dagli avvocati Mario Bonati e Federico Donelli.

Frigieri era incaricata di prendere visione degli atti del fascicolo, esprimendo una valutazione sulla relazione sottoscritta da Alfieri e dalla collega Annalisa Scalabrini - anche lei imputata -, datata 18 luglio 2018, relativa al “caso” A. O.. Bambino che, quando si trovava alla scuola materna, aveva disegnato il padre intento a picchiare la madre e lo aveva verbalizzato alle insegnanti. «Questo è il papà che si arrabbia con la mamma e gli ha dato un pugno negli occhi. Adesso anche lei lo picchia sugli occhi, tutti e due. La mamma gli ha urlato: “Vattene vai” e dopo lui l’ha picchiata sulla scala con i calci e degli altri calci anche davanti all’ascensore e dopo è venuto il dottore e le ha fatto la puntura. Lei si è fatta male alla pancia e alla faccia e da tutte le parti», aveva spiegato il bambino alle maestre dell’asilo. Ed è per questo che erano stati allertati i servizi sociali, che poi segnalarono il caso alla procura minorile. I magistrati chiesero dunque un approfondimento della vicenda familiare, sulla quale il servizio fece una relazione nella quale erano riportate anche informazioni sullo stato complessivo di salute del bambino, come la situazione molto precaria dei denti da latte, ridotti a mozziconi, che comportavano dolori alla bocca del bambino. Frigieri, ascoltata ieri in aula, ha sottolineato che già prima della relazione dei servizi erano presenti «elementi di rischio e fragilità che richiedevano intervento a supporto».

Analizzando la relazione del servizio sociale, Frigieri ha osservato che dalla stessa «emerge povertà educativa», sottolineando che «un intervento precoce del servizio sociale è un importante fattore di protezione». L’esperta ha dichiarato di condividere pienamente l’analisi degli operatori - «sulla base dei documenti processuali, avrei comunque fatto la stessa richiesta, cioè l’affidamento al servizio sociale» - il cui intervento non è invasivo. «Anzi - ha spiegato - è preventivo e non vuole dire necessariamente allontanamento dalla famiglia». L’obiettivo primario è sempre «orientato in primis all’aiuto e, spesso, mi è capitato di essere ringraziata». Parlando dei fattori di protezione, Frigieri ha spiegato che essi comprendono «risorse attivabili sia interne alla famiglia che esterne (rete familiare, comunitaria, territoriale, eccetera)». Nel caso di A. O. erano presenti risorse che «hanno orientato verso un lavoro all’interno del contesto familiare». Per formulare valutazioni e prendere decisioni «è sempre presente una valutazione mirata alla specifica situazione e una valutazione in tutte le fasi», ha dichiarato. La relazione può dare indicazioni anche più incisive in situazioni di grave pregiudizio, ma deve essere supportata da «una descrizione degli elementi di danno e della previsione che il danno peggiori se il minore permane in famiglia».

Assistenti sociali e psicologi hanno un compito delicato, che non attiene «la verifica di quanto riportato dalle fonti ritenute attendibili e intervistate nel corso dell’indagine socio-familiare», ma «quanto quei genitori siano consapevoli di come alcuni loro comportamenti, difficoltà od omissioni rendano poco protettiva la relazione con il bambino e quale sia la loro disponibilità al cambiamento».

Riguardo ai rischi emersi, come i «precedenti del padre e i problemi con l’alcol», la consulente ha chiarito che «il servizio non ha accesso alla banca dati delle Forze dell’Ordine o del Tribunale».

Normalmente, ci si rivolge a loro per chiedere informazioni utili e spesso «sono le stesse Forze dell’Ordine a chiedere ai servizi».

Frigieri ha sottolineato l’importanza del modello del «lavoro di rete», spiegando che «la valutazione del servizio sociale è di tipo sistemico-relazionale. Un bambino e la sua famiglia funzionano in un determinato modo anche perché sono inseriti in un contesto». Questo approccio prevede la collaborazione con altri servizi pubblici, inclusi quelli sanitari, che con un mandato dell’Autorità giudiziaria «sono tenuti a fornire informazioni».

Entrando nel merito del decreto di allontanamento disposto dal Tribunale dei minori, secondo Frigieri il giudice minorile è andato oltre la proposta del servizio sociale, disponendo un allontanamento non richiesto né ritenuto necessario dai servizi. Il decreto del Tribunale «cita solo i fattori di rischio e non quelli di protezione riportati in relazione». E a fronte di quanto rappresentato nella relazione contestata, la decisione contenuta nel decreto provvisorio emesso dal Tribunale il 22 ottobre 2018 «è quantomeno “inaspettata” - si legge nella relazione della consulente -. Colpisce che, nelle motivazioni del decreto, vengano menzionate solo ed esclusivamente le informazioni contenute nella relazione del servizio sociale (e nemmeno tutte). Se ne deduce che il Tribunale non abbia esercitato in questo caso alcuno dei poteri previsti dal sopra citato art. 738 c. 3 cpc», che consente al giudice di disporre indagini per approfondire la situazione, «come pure avrebbe potuto e come era legittimo aspettarsi secondo la prassi».

L’emissione del decreto è stato dunque «piuttosto forte» e «non coerente» con quanto affermato dai servizi. La collocazione del minore da solo, prevista dal decreto, è stata giudicata dunque dalla consulente come «un intervento estremo», che si fa solo se la famiglia non ha assolutamente risorse/disponibilità. Ma, nella relazione firmata da Alfieri e Scalabrini «non ci sono elementi che orientano ad un intervento così forte». In merito allo stato del bambino, Frigieri ha chiarito che i servizi avevano descritto il bambino come esile e non come malnutrito. «Denutrizione fa pensare a un “neglect” - ha affermato -, un importante fattore di rischio, mentre descrivere un bambino esile è tutt'altro». La pm Valentina Salvi non ha ritenuto di fare domande alla consulente, che con le sue dichiarazioni ha ribadito la coerenza del lavoro del servizio sociale e l’importanza di un approccio sistemico e mirato per proteggere i minori e supportare le famiglie.