«Nessuna suggestione da parte della dottoressa Bonaretti». A dirlo oggi in aula a Reggio Emilia è stata Rossella Procaccia, psicologa e psicoterapeuta, consulente della difesa di Imelda Bonaretti, psicologa imputata nel processo sui presunti affidi illeciti “Angeli e Demoni”. La consulenza richiesta dagli avvocati Franco Libori e Franco Mazza aveva l’obiettivo di rispondere a due quesiti: in primo luogo se ci sia stata una forma di suggestione da parte di Bonaretti e in secondo luogo se il percorso terapeutico è stato condotto in maniera conforme alle linee guida cliniche e deontologiche. Domanda, la prima, alla quale la consulente ha risposto negativamente, mentre nel secondo caso la risposta è stata positiva.

Tre tipi di verità

Procaccia è partita da una distinzione tra tre tipi di verità: quella storica, che è una ricostruzione degli eventi reali, basata su evidenze oggettive e che è difficile da stabilire nei casi di abuso, poiché si fonda spesso solo sulla testimonianza del minore; quella clinica, che comprende i vissuti emotivi del minore e le sue percezioni soggettive, con lo scopo non di determinare i fatti, ma di validare e trattare il trauma psicologico; e quella processuale, che si basa su prove e testimonianze, conformi alle regole del sistema giudiziario e non sempre coincide con la verità storica o clinica. «La verità clinica si concentra sulla valutazione psicologica della testimonianza del minore - ha sottolineato Procaccia -, prendendo in considerazione fattori come la suggestionabilità, la memoria traumatica e la capacità di narrare gli eventi».

L’intervento clinico nei casi di sospetto abuso

Nei casi di sospetto abuso, l’intervento clinico ha lo scopo di diagnosticare i disturbi psicologici legati al trauma, come ansia, depressione o disturbo da stress post-traumatico (Ptsd); supportare il minore nell’elaborazione del trauma, favorendo una narrazione coerente dei vissuti e individuare segnali comportamentali e sintomi di abuso, come regressioni, irritabilità, disturbi del sonno e comportamenti sessualizzati. Diverse le tecniche alle quali lo psicoterapeuta può ricorrere. C’è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta i minori a rielaborare emozioni disfunzionali e sintomi di Ptsd, l’Emdr - la tecnica contestata in questo processo -, che favorisce l’elaborazione del trauma attraverso stimolazioni bilaterali e la terapia di gioco, particolarmente utile per bambini piccoli, che consente l’elaborazione del trauma in modo non verbale. «Gli eventi traumatici - ha evidenziato la consulente - annientano la barriera degli stimoli: gli eventi, anche se percepiti, non possono essere sentiti. È pertanto necessario riportare alla vita la risposta emotiva agli eventi traumatici e renderla conscia».

La confutazione della teoria del falso ricordo

La consulenza confuta inoltre la teoria del falso ricordo - che secondo la procura di Reggio Emilia sarebbe stato “creato” dagli psicoterapeuti a processo -, sottolineando che la memoria dei bambini, specialmente per eventi traumatici, è robusta e difficilmente alterabile e che le tecniche terapeutiche moderne, come appunto l’Emdr, non inducono falsi ricordi, ma si concentrano sull’elaborazione di ricordi esistenti. «Non esiste un disturbo da falso ricordo nei manuali diagnostici più accreditati (Dsm e Icd) - si legge ancora nella consulenza -. La memoria infantile per eventi traumatici è particolarmente stabile e resistente all’oblio».

Il caso di A. B.

La consulente ha analizzato i casi dei vari minori seguiti da Bonaretti. Nel caso di A. B. - che tra le altre cose aveva confidato alle maestre di sentire la mancanza «del sesso» col compagno della madre -, ad esempio, la terapia con Bonaretti mirava a fornire supporto emotivo alla bambina e ad aiutarla a gestire i conflitti familiari e il trauma vissuto. Analizzando tre sedute intercettate (quelle del 9 ottobre, del 23 ottobre e del 13 novembre 2018), si evincerebbe che A. era autonoma nell’interazione terapeutica, dimostrando indipendenza cognitiva. Ma non solo: la bambina rifiutava interpretazioni non corrispondenti ai suoi pensieri e correggendo l’interpretazione della psicoterapeuta quando non corretta. La bambina esprimeva inoltre emozioni verso la famiglia, verbalizzando vissuti negativi verso il nonno e dimostrando una consapevolezza emotiva significativa. «Non lo perdonerò mai più», disse a Bonaretti, «non lo voglio perdonare mai più».

La preparazione al contesto giudiziario

Durante la terapia, Bonaretti si è concentrata, stando alla consulenza, sulla validazione emotiva, aiutandola a esplorare il suo mondo interno; e sulla preparazione al contesto giudiziario, spiegando alla bambina il ruolo del giudice e il valore di esprimere i suoi pensieri, senza influenzarne il contenuto. «Dal punto di vista della letteratura - ha spiegato in aula - è utile che il consulente incontri prima il minore per prepararlo e tranquillizzarlo». E in quegli incontri «non c’è nessuna suggestione nei contenuti che A. potrà riportare al giudice - si legge nel documento -. L’idea veicolata è che possa vivere l’ascolto come un momento costruttivo».

Le critiche al lavoro della dottoressa Rossi

A. ha più volte espresso paura nei confronti della propria famiglia, in particolare del padre, descritto come una figura disregolata. Inoltre, ha manifestato timore di essere denunciata. «Nel contesto della terapia del trauma, è vero che ci sono stati passaggi espliciti e direttivi - ha spiegato -, ma tali interventi devono essere compresi e valutati nel loro contesto clinico. È importante distinguere tra domande suggestive, che nella loro formulazione propongono una risposta implicita; e fuorvianti, che introducono elementi mai citati dal minore, rischiando di alterare la narrazione. Nel caso delle sedute con A. - ha aggiunto -, potrebbero esservi stati elementi riconducibili al secondo tipo, ma la bambina ha risposto con fermezza e coerenza, rifiutando di accettare elementi non corrispondenti alla sua esperienza, dimostrando di non essere un soggetto facilmente suggestionabile e di mantenere integra la propria traccia mnestica. Va inoltre distinta questa situazione da quella in cui si usano domande coercitive, che esercitano una pressione sul soggetto e lo portano ad aderire a un contenuto anche quando ricorda diversamente. Tali domande non emergono nel lavoro terapeutico svolto da Bonaretti con A.». Cosa che invece, ha detto Procaccia in aula, emergerebbe in alcuni punti del lavoro della consulente della procura Rita Rossi: «In tre passaggi dice infatti alla minore che può cambiare quanto detto a Bonaretti. Se si considera che si tratta di una minore che ha molte fragilità, che è impaurita e insicura, tre interventi di questo tipo possono portare a cambiare ciò che ha detto nonostante sappia che non è la realtà», ha sottolineato. A. utilizzava termini diversi da quelli usati in terapia, cosa che, secondo Procaccia, non depone a favore del condizionamento, dal momento che un minore condizionato tende ad usare gli stessi termini utilizzati dal terapeuta. Nella lettura della trascrizione della consulenza della dottoressa Rossi, invece, si trova il il passaggio dove risulta che la stessa ha illustrato alla minore il fatto che non si dovevano dire bugie, e ha infatti parlato di bugie grandi, bugie piccole e bugie che possono fare male alle persone. «Tutta la letteratura - ha sottolineato Procaccia - sconsiglia di utilizzare termini di questo tipo perché sono connotati moralmente». La dottoressa Rossi non doveva usare la parola bugia, ma una forma più attenuata come, non si devono dire cose non vere.

Il tema del disegno simbolo dell’inchiesta

Altro tema quello del disegno: Bonaretti è accusata di aver modificato il disegno simbolo di questa inchiesta, aggiungendo ad una “innocua” immagine due braccia che si allungano sulla zona genitale (anche se il disegno ritrae, comunque, un adulto steso su una bambina a letto). «Rossi scrive correttamente che in letteratura non c'è indicazione chiara sul fatto che i disegni non abbiano carattere probatorio - ha sottolineato Procaccia -, ma possono solo essere utilizzati per favorire la narrazione. Però c’è anche una amplissima letteratura che, pur dicendo che non esistono indicatori grafici di abuso, riconosce modalità più tipiche e ricorrenti in bambini che abbiano subito esperienze traumatiche, come assenza degli arti o enfatizzazione di parti sessuali o parti connesse all’evento traumatico. Il tema delle mani in letteratura è una degli elementi grafici che vanno attenzionati quando si ha a che fare con minori».

Le consulenze tecniche e i segnali trascurati

Ma non solo: la consulente ha sottolineato come nel contesto di questo procedimento, effettuare consulenze tecniche con un numero esiguo di incontri con il minore è stata una prassi ripetuta. Rossi, ad esempio, ha incontrato A. da sola una sola volta in vista delle sommarie informazioni che dovevano essere assunte dal pubblico ministero; il secondo incontro è stato dedicato all’esame e ascolto con il pm; mentre il terzo incontro, avvenuto qualche mese dopo gli arresti degli operatori del giugno 2019, si è svolto con la bambina in presenza della madre. Ora non è possibile ritenere che un incontro per preparare il minore all’ascolto con il pm abbia valenza clinica, perché ha solo la funzione di spiegare al minore chi dovrà incontrare e dove, mentre il colloquio clinico a fini diagnostici ha ben altro contenuto. Inoltre non sono stati somministrati test alla minore, con una sostanziale incompletezza della valutazione diagnostica.

Sarebbero stati tralasciati diversi segnali: «Sin dai primi momenti di vita, A. ha mostrato difficoltà nello sviluppo motorio e linguistico, difficoltà che fino al 2013 erano inquadrate attraverso diagnosi specifiche, prive di connessioni con lo sviluppo emotivo. Nella cartella clinica della dottoressa Ucchino (imputata in questo processo, ndr) è segnalato un comportamento masturbatorio osservato a sei mesi di età. Questo aspetto, pur riportato, non è stato analizzato o contestualizzato adeguatamente - ha spiegato Procaccia -. È noto che a sei mesi tale comportamento può avere una funzione prevalentemente consolatoria, tipica di bambini che vivono carenze affettive o esperienze sfavorevoli nei primi anni di vita. Queste condizioni, secondo la letteratura, sono considerate fattori di rischio per lo sviluppo di problematiche legate al maltrattamento o all’abuso. Inoltre, dalle cartelle cliniche emerge che nel 2015 i comportamenti sessualizzati di A. non erano stati valutati come particolarmente a rischio, suggerendo una mancata attenzione approfondita alla possibile relazione tra tali comportamenti e il contesto familiare o ambientale».

Conclusioni sul metodo clinico di Bonaretti

Procaccia ha dunque concluso sostenendo la correttezza del metodo clinico di Bonaretti e nessuna suggestione: le trascrizioni dimostrano infatti che la terapeuta non ha introdotto contenuti estranei né influenzato i ricordi della bambina. Per la quale la terapia è stata utile a esprimere i suoi vissuti emotivi in un contesto sicuro e accogliente, promuovendo la sua capacità di resilienza. «La terapia di Bonaretti - ha dichiarato la consulente in aula - era molto incentrata sull’ironia, tecnica validata che con il minore funziona. A. aveva una grossa difficoltà a contattare la sua emotività autentica. Bonaretti ha saputo accoglierla e sostenerla: il rispecchiamento è stato positivo». In conclusione, «è un grave bias metodologico considerare una seduta terapeutica al pari di un interrogatorio giudiziario. In terapia, l’interazione si basa su una relazione di fiducia e condivisione che non può essere ignorata».

Gli altri casi analizzati

Metodo clinico “promosso” anche per quanto riguarda gli altri casi. Nel caso di K. N., ad esempio, Bonaretti ha evidenziato la presenza di comportamenti sadici e sessualizzati, un aspetto clinico rilevante perché non appropriato alla sua età evolutiva. Questi comportamenti si manifestavano con atti di aggressività contro animali e altri bambini e episodi di provocazione e umiliazione verso gli interlocutori, mostrando una mancanza di empatia significativa. Secondo Procaccia, tali comportamenti sono attribuibili a traumi o carenze nell’accudimento familiare. Procaccia ha spiegato in modo chiaro che le conoscenze in ambito sessuale che la minore manifestava dovevano considerarsi come fattori di possibile esposizione a contenuti sessuali: la minore riportava la descrizione della bambola gonfiabile e utilizzava parole molto esplicite per far riferimento al suo organo genitale. L’utilizzo di queste conoscenze non poteva trovare motivazione in una semplice situazione di trascuratezza. La diagnosi di epilessia della bambina è stata confermata solo nell’autunno del 2017, dopo le osservazioni iniziali di Bonaretti. Ciò ha aperto la possibilità di rivalutare alcuni comportamenti della minore alla luce di condizioni neurologiche non precedentemente diagnosticate. Tuttavia, la consulenza si concentra sulla dimensione psicologica e relazionale di questi comportamenti.

Il commento del legale

«La dottoressa Procaccia ha illustrato, con professionalità e completezza, la correttezza dell’operato della dottoressa Bonaretti - ha commentato Libori al Dubbio -, evidenziando che il suo ruolo era esclusivamente clinico, non giudiziario. La priorità della Bonaretti era creare empatia con il minore, aiutandolo a esprimere e gestire le proprie problematiche interne, senza influenzarne i ricordi. Procaccia ha inoltre chiarito che Bonaretti ha agito conformemente ai doveri professionali dello psicologo, con l’obiettivo di migliorare il benessere dei minori, nel rispetto delle linee guida cliniche».