Al via a Reggio Emilia gli esami degli imputati nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. La prima a sottoporsi alle domande delle parti è stata Sara Gibertini, assistente sociale nell’area infanzia dal 2010 al 2015 e accusata di falso, violenza privata e frode processuale. Gibertini si era occupata del caso di N., il bambino che aveva raccontato a scuola di aver subito abusi dal fratellastro e che assumeva atteggiamenti sessualizzati e compulsivi con i compagni.

Gibertini ha spiegato di essere subentrata ad un’altra assistente sociale - mai indagata - che aveva già inviato la segnalazione sul caso al Tribunale per i minori sulla base di quanto evidenziato dalla scuola. Tribunale che, poi, ha inviato alla procura ordinaria una segnalazione per sospetto abuso sessuale. Gibertini ha sottolineato l’obbligo, per gli assistenti sociali, di segnalare all’autorità giudiziaria gli indicatori di un possibile abuso. In ambito sociosanitario, però, l’abuso ha una connotazione diversa rispetto a quella penale, in quanto, come spiegato da Gibertini, per abuso si intende anche l’esposizione del minore a contenuti di natura sessuale inadeguati all’età.

In ogni caso, non è stata una sua decisione disporre un allontanamento: l’operatrice ha solo dato attuazione ai decreti del Tribunale per i minori. Da quanto riferito dalla scuola e dalla neuropsichiatra, «gli aspetti della sessualizzazione anche verso altri bambini continuavano a esserci ed erano pervasivi». Noi non dobbiamo valutare la veridicità, ma segnalare alla procura. Prima di farlo, mi confrontai con la psicologa e la neuropsichiatra. Alcune circostanze erano state segnalate dal patrigno del bambino, come il fatto che la madre lo sculacciasse e il legame particolare con il nonno. «Secondo noi il contesto non era idoneo perché la madre aveva difficoltà a cogliere i bisogni emotivi del bambino e c’era minimizzazione». L’allontanamento era stato deciso dal Tribunale per i Minorenni a marzo 2016, ma fu eseguito un mese dopo per dare modo alla famiglia di accompagnare il distacco; poco più di un mese dopo iniziarono gli incontri protetti con la madre.

Il bambino, però, non chiese di incontrare il patrigno che, stando al racconto fatto dal minore agli affidatari, lo avrebbe picchiato. A fine anno, inoltre, raccontò agli affidatari di un gioco sessuale con il patrigno e un altro fratello. Quando Gibertini - difesa da Francesca Guazzi e Federico De Belvis - è subentrata alla collega - che inoltrò la prima segnalazione - era già stato emesso un decreto che chiedeva di verificare l’esistenza di figure parentali di supporto del nucleo; tali figure in quel momento non c’erano con le caratteristiche di adeguatezza richiesta per la gestione del bambino.

È iniziato, inoltre, l’esame dell’educatrice Katia Guidetti, anche lei difesa da De Belvis e Guazzi, accusata di aver relazionato falsamente alcune circostanze e di aver ostacolato gli incontri tra K. e i genitori. Guidetti ha depositato in udienza un calendario con la ricostruzione di tutti gli incontri protetti che si sono tenuti tra la minore e i genitori, ricostruzione fatta attraverso le varie chat e i device degli imputati coinvolti sul caso. Gli incontri, dunque, si sono tenuti salvo alcuni impedimenti legati, ad esempio, alle difficoltà dovute alle trasferte del padre all’estero, come dimostrato documentalmente, e così smentendo le diverse affermazioni che in aula i genitori avevano riportato.

Guidetti ha spiegato anche di aver riportato nelle sue relazioni quello che accadeva nella interazione del minore con i genitori durante gli incontri protetti e i comportamenti tenuti dai genitori stessi. Comportamenti magari anche idonei, ma che in alcune occasioni suscitavano nella bambina una reazione di disagio, al punto che la minore aveva chiesto di non incontrare in alcune occasioni la madre. Gli aspetti osservati dalle educatrici del caso K. riguardavano le reazioni della minore durante lo svolgimento dell’incontro protetto con i genitori e quanto era osservato e riportato nelle relazioni accusate di falso ideologico non aveva una connotazione sessuale. Al contrario, l’accusa sostiene che tali relazioni avessero la finalità di indurre a ritenere che vi fossero abusi da attribuirsi ai genitori.

Guidetti ha inoltre illustrato la natura complessa della condizione emotiva della bambina, appena avvenuto l’allontanamento, e la evoluzione positiva nel corso del tempo che tale condizione ha avuto, al punto di aver riscontrato, dopo due anni di percorso di affido, un miglioramento della condizione della minore.