«La procura ha operato una modifica strumentale ed abusiva per tenere in vita il processo». A dirlo è il professore Oliviero Mazza, difensore, assieme a Rossella Ognibene, dell’ex assistente sociale Federica Anghinolfi, principale imputata del processo “Angeli e Demoni”. Un processo che non riesce a decollare quello che vede a giudizio 17 persone, accusate, a vario titolo, di aver contribuito a mettere su un presunto giro di affidi illeciti nella Val d’Enza.

A rallentare ulteriormente il dibattimento, nel corso dell’udienza di lunedì, la scelta della Procura di Reggio Emilia di contestare nuove aggravanti in merito alle accuse di falso, che riguardano circa una quarantina di imputazioni. Una carta, quella giocata dal pm Valentina Salvi, che salverebbe il processo dalla prescrizione imminente, ma che per Mazza rappresenta «una sorta di abuso del processo, per tenerlo in vita in modo artificioso, contestando aggravanti infondate e ricostruendo reati in modo contrario a quello che emerge dagli atti di indagini. Un tentativo - spiega Mazza al Dubbio - che dimostra, a nostro avviso, la grandissima debolezza dell’impianto accusatorio. Nel momento in cui sono passati quasi quattro anni dalla conclusione delle indagini e dopo un’udienza preliminare durata due anni, come ci si può accorgere solo adesso, in limine litis, dell’esistenza di queste aggravanti? La risposta è solo una: sono strumentali per evitare la prescrizione».

Ma il problema vero, secondo Mazza, è che si tratta di aggravanti «insussistenti». La procura ha infatti contestato sull’accusa di falso l’aggravante prevista dall’articolo 476 comma 2 - “Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni” -, contestabile relativamente agli atti fidefacenti. Atti disciplinati dagli articoli 2699 e 2700 del codice civile e redatti da un pubblico ufficiale per attestare la veridicità di quanto accade dinanzi a lui, come ad esempio nel caso dei notai. «Le relazioni dei servizi sociali sono però tutto tranne che un’attestazione - contesta Mazza -. Servono a riferire all’autorità giudiziaria sospetti abusi e disagi psicologici, ma non attestano fatti accaduti dinanzi al pubblico ufficiale. È un tentativo di evitare la prescrizione, una specie di accanimento terapeutico del pm sul processo».

Salvi ha contestato nuove aggravanti anche in merito ai reati di lesione: la tesi forte di Bibbiano è che i minori abbiano subito un danno psicologico derivante dal distacco ingiustificato dalla famiglia di origine. Questa condotta, però, ha un tempo ben preciso: il momento in cui i servizi sociali hanno ottenuto che venisse disposto l’affidamento provvisorio e dunque tra il 2013 e il 2014.

«Il pm ha spostato avanti la consumazione delle lesioni - che sono un reato istantaneo - attraverso una correzione di tiro: la lesione non deriva più dal distacco dalla famiglia di origine, ma dalle sedute di psicoterapia - sottolinea ancora Mazza -. Quello che ha fatto il pm non è blindare il processo, come scritto da qualche parte, ma un accanimento accusatorio su un procedimento che, per ritardi addebitabili alla procura, arriva a dibattimento quando ormai la maggior parte dei reati è prescritta. Se tali modifiche fossero fondate non avremmo nulla da dire, se non chiederci perché ciò non sia stato fatto prima e nella sede naturale, che è l’udienza preliminare. È un po’ tardivo arrivare all’inizio del dibattimento e accorgersi che mancano le aggravanti e che le lesioni si sono protratte nel tempo. Ma al netto di tutto ciò, il problema è che non sono fondate».

La mossa della procura ha di fatto azzerato le udienze precedenti: le eccezioni già mosse dalle difese - tra le quali quella relativa alla nullità del rinvio a giudizio per il mancato deposito di atti andranno riformulate alla luce delle nuove contestazioni. Ma nel corso dell’udienza è avvenuto anche altro: il pm ha infatti depositato una memoria che conteneva tra gli allegati atti di indagine non consentiti dalla procedura, come trascrizioni di chat, parti di relazioni dei periti e sommarie informazioni testimoniali che i giudici avrebbero dovuto conoscere soltanto durante il dibattimento. Documenti poi rimossi da Salvi, che ha giustificato l’errore parlando di «refuso». Ognibene ha invece chiesto di acquisire le relazioni originali degli assistenti sociali, che secondo l’accusa sarebbero state modificate per pilotare gli affidi e dimostrare i presunti abusi. Aspetto, quest’ultimo, che secondo le difese la procura non avrebbe intenzione di approfondire. Ma Salvi non ha negato la possibilità che tali abusi si siano effettivamente verificati: «Questo ufficio non sostiene che quegli abusi o maltrattamenti non siano esistiti - ha affermato il pm, come riporta reggiosera. it -, ma che quegli elementi sono talmente spostati, talmente tanto inquinati, da rendere impossibile la ricostruzione di quei fatti. E questo è un concetto ben diverso».

Per valutare la fondatezza delle nuove aggravanti toccherà attendere che il processo inizi realmente. «Ma il problema delle difese - continua Mazza non è quello di sfuggire alla condanna, ma quello di evitare un’attività istruttoria inutile a fronte di reati che sono già prescritti. La procura ha chiesto oltre 200 testimoni, le difese quasi 400. Come si potrà celebrare questo processo? Io capisco l’esigenza del pm di non vedere dichiarati estinti reati prima dell’apertura del dibattimento. Quello che non comprendo è questa modifica artificiosa delle imputazioni sapendo perfettamente che l’esito sarà quello di una smentita. Siamo bloccati alle indagini: questa mossa è una nuova valutazione degli atti di indagine fatta tardivamente dal pm. E ciò mentre rimane l’indeterminatezza delle contestazioni di falso: la procura dice che le relazioni sono false, ma non dice in che punto. E questo è solo una parte di ciò che non torna».