La macchinetta dei ricordi di Bibbiano? Una roba innocua. Di più: la certificazione Ce risultata inesistente - e che l’avrebbe resa quindi irricevibile sul mercato europeo - in realtà si trova sul sito della stessa azienda, com’è possibile appurare con una semplice ricerca su internet.

Il processo Angeli&Demoni sui presunti affidi illeciti in val d’Enza continua a regalare colpi di scena. L’ultimo oggi, quando testimonianze apparentemente “innocue” si sono rivelate particolarmente pregnanti. La più rumorosa è stata forse quella di Michele Vitiello, consulente informatico e forense e perito dell’accusa, autore della perizia sulla cosiddetta “macchinetta dei ricordi”, ovvero il dispositivo NeuroTek utilizzato dalla psicoterapeuta Nadia Bolognini nelle sue sedute di Emdr con i bambini. Un aggeggino risultato incapace di fare alcun male ma spacciato, sulle prime pagine di tutti i giornali esattamente quattro anni fa, come una macchina per l’elettroshock, strumento di tortura per instillare nella mente di piccoli innocenti ricordi di falsi abusi.

Stando alla relazione di Vitiello, che ha mostrato il funzionamento della macchina in aula, l’unico possibile rischio risiederebbe nella diversa modalità di alimentazione tra Italia e Usa. Un rischio che si basa sul presupposto di una sua impossibilità a stare sul mercato europeo. Ma per usale tale macchinetta non serve necessariamente un’alimentazione: funziona anche con una comune batteria da 9 volt, “legale” anche in Italia. Non solo: già dal 2011 - quindi otto anni prima dell’inchiesta - sul sito erano reperibili le certificazioni di conformità alle direttive europee sul basso voltaggio e sulla compatibilità elettromagnetica. I legali di Bolognini, Roberto Trinchero e Francesca Guazzi, hanno annunciato che nelle prossime udienze depositeranno tutta la documentazione che proverebbe la conformità del prodotto alla normativa europea.

Ma al netto della parte burocratica, ciò che emerge dalla relazione di Vitiello è che «le vibrazioni emesse dal macchinario non provocano danni all’utente», così come «l’intensità del segnale elettrico generato nelle cuffie al massimo della potenza è pari ad una canzone ascoltata col cellulare in cuffia». Dunque «non ha conseguenze negative per la salute del soggetto esposto» e «non emette campi elettromagnetici significativi». L’avvocato Trinchero ha anche contestato, in aula, la formulazione dell’incarico affidato dalla pm Valentina Salvi a Vitiello, che nell’allegare gli audio della seduta da analizzare aveva intitolato uno di essi «lavaggio del cervello con macchinetta dei ricordi». «Non ci facciamo influenzare», ha assicurato la presidente del collegio, Sarah Iusto, alla quale Vitiello ha confermato che l’unico rischio era dato dall’assenza di certificazione europea. «L’avete cercata?», ha chiesto Trinchero, domanda alla quale Vitiello ha risposto evasivamente: «Il marchio comunque non c’era».

Proprio il presunto - e poi tardivamente smentito - elettroshock praticato sui bambini era stato uno dei motivi di accanimento contro Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano inizialmente associato da un comunicato stampa anche alle vicende relative agli affidi e accusato solo di abuso d’ufficio. Ma a certificare le sue intenzioni ci ha pensato un altro teste dell’accusa, Lorenza Rossi, agente di commercio alla quale gli assistenti sociali Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli, gli psicoterapeuti Claudio Foti e Nadia Bolognini e il sindaco Carletti - difeso da Giovanni Tarquini e Vittorio Manes - si erano rivolti allo scopo di individuare una struttura ricettiva da trasformare in casa famiglia. Qual era, si è chiesta la pm, l’atteggiamento di Carletti rispetto al progetto? «Partecipava alle riunioni perché era stato evidenziato il problema che c’era in Val d’Enza», ovvero un aumento significativo di segnalazioni di abuso (non solo sessuale). Insomma, stando a quanto detto da Rossi il suo intento era quello di aiutare i bambini.

L’accusa ha tentato di dimostrare i costi eccessivi della terapia effettuata a Bibbiano portando in aula Filippo Tinelli, psicoterapeuta presso un piccolo centro privato a Parma, al quale una delle psicoterapeute imputate, Imelda Bonaretti, aveva proposto una collaborazione. «Tra di noi c’era stima e mi chiese se eravamo disponibili ad aiutare alcuni ragazzi del servizio della val d’Enza - ha sottolineato -. Avevamo anche offerto una tariffa calmierata a 50 euro a terapia, data l’importante funzione sociale». Ma non se ne fece più nulla. E ciò perché, ha dimostrato in aula Rossella Ognibene, legale, assieme a Oliviero Mazza, di Anghinolfi, Tinelli non si è mai occupato di bambini e il piano era quello di realizzare un centro di accoglienza che andasse oltre la sola terapia. C’è di più: l’accusa ha contestato la presunta invasività della tecnica Emdr, ignorando che l’alternativa proposta come migliore, perché più economica, sarebbe ancora più penetrante, nell’ottica della procura: la cosiddetta Schema Therapy, ha confermato Tinelli su richiesta di Guazzi, si propone di «riscrivere i ricordi».

In aula si è discusso anche delle due madri affidatarie intercettate in auto, Fadia Bassmaij e Daniela Bedogni, alle quali il maresciallo Francesco Cocchi, sentito come teste, chiese di consegnare alcuni documenti che riguardavano la minore loro affidata, confermando che non era necessaria la presenza di un avvocato. Una volta in caserma, però, Bedogni fu sentita a sommarie informazioni, con alcune domande che in realtà, ha fatto notare l’avvocato Andrea Stefani, rimandavano a diversi capi d’accusa. E le donne avevano infatti già le cimici in auto, data l’ipotesi che avessero concorso in alcuni reati. «Quelle domande - ha sottolineato il legale - si riferivano anche a reati poi contestati solo alle due affidataria, come quelle relative agli atteggiamenti sessualizzati della bambina sugli animali», atteggiamenti confermati dai diari segreti della stessa minore.

Altro capo d’accusa analizzato quello di minaccia a pubblico ufficiale, contestato ad Anghinolfi per aver intimato ad alcuni membri della polizia municipale di arrestare, all’interno dei locali dei servizi sociali, un padre che la stava insultando a seguito dell’allontanamento della figlia. Ma a negare qualsiasi tipo di minaccia o violenza sono stati gli stessi poliziotti intervenuti quel giorno: «Non c’erano gli estremi di notizie di reato», ha sottolineato Davide Galassi, confermando le parole di Fernando Rocchi, che ha affermato che contro di lui Anghinolfi non aveva fatto nulla. E, sollecitato dalla pm, ha parlato di un aumento degli allontanamenti a cui la polizia locale avrebbe assistito tra il 2014 e il 2018. Ma di quanti allontanamenti si parla? «Quattro o cinque» in un anno. Queste, dunque, le dimensioni del «sistema».