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Ci sono voluti cinque anni, ma alla fine l’indagine sugli insulti e le minacce a danno di Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano, è stata chiusa. E tra le 48 persone indagate per diffamazione c’è anche l’ex vicepremier Luigi Di Maio, che usò l’indagine per la propria campagna elettorale contro il Pd. Di Maio, infatti, non si sottrasse al tiro al bersaglio contro gli indagati - accusati falsamente perfino di aver usato l’elettroshock sui bambini -, scrivendo un lungo post proprio contro Carletti, reo di avere in tasca la tessera del Partito democratico. Peccato, però, che l’accusa a Carletti sia del tutto residuale nella storia degli affidi: a suo carico, infatti, è rimasta una ipotesi di abuso d’ufficio, per la quale ora il primo cittadino si trova a processo a Reggio Emilia, accusa che sta scricchiolando sotto il peso delle testimonianze finora ascoltate in aula. Il sindaco, però, si trovò allora sulle prime pagine di tutti i quotidiani, descritto come un mostro sadico, un ladro di minori dedito alle torture, con tanto di trasfigurazioni grafiche del suo volto, tali da renderlo più simile all’identikit del mostro.
Le indagini in mano alla pm di “Angeli e Demoni”
A condurre le indagini sugli hater di Carletti è la stessa pm che lo sta processando, Valentina Salvi. Un’inchiesta lunghissima, praticamente più del triplo di quella sul sistema degli affidi, chiusa a ridosso delle elezioni in Emilia Romagna dopo un anno e mezzo di indagini, e che conta un centinaio di capi d’accusa. Eppure, spiega Giovanni Tarquini, difensore insieme a Vittorio Manes del sindaco Carletti, la polizia postale ha svolto subito indagini molto accurate, come accertato dallo stesso legale accedendo alle carte del caso.
«Sin dall’inizio ho espresso dubbi sull’assegnazione del fascicolo alla dottoressa Salvi, non per una questione personale, ma per una questione di opportunità, come spiegai all’allora procuratore Marco Mescolini, dal momento che la stessa pm aveva fatto arrestare il mio assistito. Mescolini mi rispose che non c’era una legge a vietarlo e che potevo stare tranquillo. Ho fatto molti solleciti, anche perché avevo appurato che le indagini erano state fatte, ma il fascicolo è rimasto fermo per diverso tempo - dice al Dubbio Tarquini -. Poi, di recente, il procuratore Gaetano Paci ha affiancato la dottoressa Salvi in questa indagine, che giovedì è stata finalmente chiusa. Il problema, però, è che sono trascorsi già cinque anni e il reato, salvo momenti interruttivi, si prescrive dopo sei. Carletti ha sempre tenuto molto a questa cosa, perché all’improvviso è stato circondato da personaggi pericolosi che gli hanno scritto di tutto, hanno minacciato lui e la sua famiglia e lo hanno aggredito. Sui social, ma non solo». Le denunce sono state diverse: le prime a luglio e agosto del 2019, poi un’altra l’anno successivo, dato il moltiplicarsi di commenti d’odio. A queste si sono aggiunte altre denunce, in occasione dei vari raduni dei “difensori della famiglia”, tra i quali quello del 2020 davanti al Comune di Bibbiano, con tanto di finto esorcista. Alla fine sono stati oltre 150 gli episodi denunciati, che hanno portato alla chiusura delle indagini per persone provenienti da tutta Italia, tra le quali, appunto, anche Di Maio.
Il post dell’ex grillino
Sul suo profilo Facebook - cancellato dopo le elezioni del 2022 -, Di Maio pubblicò un video carico di accuse contro il sindaco di Bibbiano e, soprattutto, un post con la foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “Arrestato”, alla quale si aggiungeva la frase “Affari con i bimbi tolti ai genitori”. «Col Pd non voglio avere niente a che fare - scriveva Di Maio -. Col partito che fa parte dello scandalo di Bibbiano, con i bambini tolti ai genitori e addirittura sottoposti a elettroshock e mandati a altre famiglie, con il sindaco Pd che è coinvolto in questo, non voglio avere niente a che fare». E poi ancora: «Un altro business orribile sui minori. Una galleria di atrocità assolute che grida vendetta a Reggio Emilia e per cui oggi - oltre ad una ventina di indagati - è stato arrestato anche il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti. Quello che viene spacciato per un modello nazionale a cui ispirarsi sul tema della tutela dei minori abusati, il modello “Emilia” proposto dal Pd, si rivela oggi come un sistema da incubo. Bambini, “selezionati” e sottratti illegittimamente alle famiglie, per poi venire consegnati in una sorta di “affido horror” a personaggi discutibili, tra i quali i titolari di sexy shop, pedofili, gente con problemi mentali. E tra la sottrazione e l’affido una trafila di psicoterapia falsate, medici travestiti da mostri, persino impulsi elettrici per modificare la memoria dei bambini e convincere i giudici della necessità dell’affido. Roba da film dell’orrore, a cui si stenta a credere».
Attribuito a Carletti anche l’inesistente elettroshock
Peccato che Carletti non c’entrasse nulla. Ciononostante, finì in un vortice distruttivo: il post di Di Maio fu condiviso da migliaia di persone e migliaia furono anche i commenti in cui si vomitava addosso al sindaco di tutto. Compresa la responsabilità per quel presunto elettroshock, di cui i giornali informarono tutta Italia a caratteri cubitali, somministrato con quella che fu impropriamente definita “macchinetta dei ricordi” utilizzata per il “lavaggio del cervello”. Uno strumento che, come chiarito nel corso del processo dal perito informatico Michele Vitiello, che ha analizzato il macchinario su incarico della procura, è risultato pericoloso quanto lo sarebbe ascoltare una canzone con le cuffie al proprio cellulare. La procura fu costretta a smentire la vicenda dell’elettroshock il giorno dopo il blitz, spiegando anche che a carico del politico non erano contestati reati relativi agli affidi.
Ma ormai il danno era fatto: Carletti era per tutti il mostro, un identikit alimentato anche grazie ad una miriade di account fasulli che sin dal primo momento hanno fatto circolare video e post sulla vicenda sull’onda dell’hashtag “parlatecidibibbiano”, come scoperto da Alex Orlowski, esperto di comunicazione digitale, che intervistato da La Gazzetta di Reggio parlò di «centinaia di profili sospetti, gestiti con una precisa intenzionalità politica e mediatica». «La bolla internet - aveva aggiunto - è stata manipolata dall’ultradestra», una vera e propria «operazione ad hoc di propaganda digitale».
Carletti, per circa sei mesi, è stato costretto a rimanere in silenzio a causa delle misure cautelari a lui imposte, assistendo passivamente all’ondata di fango che ha travolto tutta la sua famiglia. Ondata che si è solo ridotta, ma senza sparire, dopo il 3 dicembre 2019, giorno in cui la Cassazione sentenziò l’illogicità del suo arresto: non esistevano, infatti, elementi in grado di motivare la privazione della libertà. Ma rimane un dubbio: chi inviò il comunicato stampa diffuso il giorno degli arresti? Tarquini ha depositato la nota arrivata nelle redazioni nel corso dell’udienza del 14 giugno scorso, per testimoniare «l’enfasi» posta proprio sulla posizione di Carletti. Richiesta alla quale la pm si era opposta, in quanto «assolutamente irrilevante e ininfluente», ma senza successo. «Valuteremo noi», ha infatti chiosato la presidente del collegio Sarah Iusto.