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Per tutti era diventato uno dei “mostri” di Bibbiano, capace di rapire bambini a suon di un elettroshock mai praticato da nessuno. Eppure, a suo carico, c’era solo l’accusa di abuso d’ufficio, con l’ipotesi di aver messo a disposizione della “Hansel& Gretel”, la onlus dello psicoterapeuta Claudio Foti (assolto in via definitiva), locali pubblici senza alcuna gara. L’incubo, oggi, è però finito: l’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti è stato infatti assolto, a seguito della cancellazione dell’abuso d’ufficio, chiudendo finalmente uno dei capitoli più dolorosi della sua vita. Tanto doloroso da non trovare le parole per commentare, preferendo mantenere il silenzio che, per anni, ha indossato con dignità.
La Corte presieduta da Sarah Iusto ha letto ieri la sentenza, le cui motivazioni verranno depositate nel giro di 15 giorni. La pm Valentina Salvi aveva provato a tenere in vita il reato, sollevando la questione di legittimità costituzionale, bocciata poi dalle giudici. Che le avevano lasciato una finestra aperta per poter depositare una memoria e portare la questione davanti alla Corte di Giustizia. Ma la procura ha deciso infine di desistere, perdendo il secondo degli uomini “immagine” di una vicenda controversa e politicizzata all’estrema potenza.
L’accusa di abuso d’ufficio era già stata smontata, in realtà, dalla Cassazione, nelle motivazioni della sentenza che ha scagionato la principale vittima mediatica di questa vicenda, ovvero Foti: l’incarico a “Hansel&Gretel” è seguito a un bando ed è stato confermato da una delibera. Difficile, dunque, immaginare un illecito. In ogni caso, il fatto non costituisce più reato, come ricordato in aula da tutte le difese e, in particolare, da quelle di Carletti, rappresentato da Giovanni Tarquini e Vittorio Manes. Oltre a Carletti, escono dal processo anche l’ex sindaco di Montecchio ed ex presidente dell’Unione Val d’Enza, Paolo Colli, e Cinzia Prudente, affidataria.
L’assoluzione, ma solo con riferimento a questa accusa, riguarda anche altri: l’ex responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi, l’ex assistente sociale Francesco Monopoli, la psicoterapeuta Nadia Bolognini, le affidatarie Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni. Nell’ordinanza originale, il nome di Carletti compariva associato a quattro capi d’accusa, dal numero 85 al numero 88: tre episodi di abuso d’ufficio e un falso ideologico. Oltre a quello per il quale era finito a processo, la procura gli contestava di aver partecipato alla falsificazione della causale delle somme versate agli affidatari, di aver abbassato il valore della soglia dei servizi, spacchettandoli, per prorogarli senza gara e, infine, per aver affidato il servizio legale all’avvocato Marco Scarpati, totalmente scagionato dalle accuse tanto da veder archiviata la propria posizione. Accuse che non hanno superato però la fase delle indagini.
Nonostante la marginalità dei fatti contestati, Carletti era precipitato in un vero e proprio tritacarne mediatico. Finito ai domiciliari a giugno 2019, l’allora sindaco era stato sbattuto su tutti i giornali come autore di affidi illeciti (con i quali non c’entrava nulla), manipolando la mente dei bambini addirittura con l’elettroshock, mai praticato da nessuno. Furono sei i mesi trascorsi con il peso delle misure cautelari, scelta poi bocciata dalla Cassazione, secondo cui non c’era alcuna ragione per disporre prima i domiciliari e poi l’obbligo di dimora, con lo scopo di tenerlo lontano dai contatti politici che avrebbero potuto indurlo a reiterare i reati.
È stato proprio il nome di Carletti, però, a consentire al fatto di cronaca di trasformarsi in fatto politico: da sindaco del Pd, la responsabilità di quei fatti, per osmosi, sarebbe appartenuta a tutto il partito. E così l’equazione, elaborata dalla Lega di Matteo Salvini, è stata elementare: sistema Bibbiano uguale sistema Pd. Un sistema la cui esistenza, oggi, scricchiola, udienza dopo udienza, smentita dalle testimonianze. Anche perché i casi finiti a processo sono solo otto, difficilmente definibili un “sistema”. Ma anche a volerlo ipotizzare come esistente, Carletti non c’entrava nulla con allontanamenti e affidatari e nulla aveva a che vedere con quella manipolazione sui bambini, ipotizzata dalla procura, messa in atto, secondo Salvi, per togliere quei ragazzi ai propri genitori per affidarli ad altri, per guadagnare soldi in cure private e corsi di formazione.
Carletti era stato letteralmente travolto da fango e minacce: i suoi social furono presi d’assalto e a finire nel mirino degli hater era stata anche la sua famiglia. Così, poco dopo, l’ex sindaco ha deciso di denunciare tutti, compreso l’ex vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio. L’inchiesta su insulti e minacce è durata cinque anni - ovvero più del triplo di quanto servito per chiudere l’indagine sugli affidi, che conta oltre 100 capi d’accusa -, ma per Di Maio la pm Salvi (la stessa che ha fatto finire ai domiciliari Carletti) ha chiesto l’archiviazione, richiesta alla quale le difese dell’ex sindaco si sono opposte. Essendo all’epoca un leader politico, aveva scritto la pm, quella di Di Maio era un’opinione politica.
In un video, l’ex leader dei 5S lanciò pesanti strali contro l’allora sindaco, esponendo sui social una foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “Arrestato”, alla quale si aggiungeva la frase “Affari con i bimbi tolti ai genitori”. «Col Pd non voglio avere niente a che fare - scriveva Di Maio, che curiosamente un mese dopo invece stava al governo coi dem -. Col partito che fa parte dello scandalo di Bibbiano, con i bambini tolti ai genitori e addirittura sottoposti a elettroshock e mandati a altre famiglie, con il sindaco Pd che è coinvolto in questo, non voglio avere niente a che fare». Quel post - oggi sparito dai social assieme al vecchio profilo di Di Maio - fu condiviso da migliaia di persone e migliaia furono anche i commenti in cui si vomitava di tutto addosso al sindaco e alla sua famiglia.
La procura fu costretta a smentire la vicenda dell’elettroshock il giorno dopo il blitz, spiegando anche che a carico del politico non erano contestati reati relativi agli affidi. Troppo tardi, però, perché nel frattempo era già stato scelto come capro espiatorio da utilizzare durante tutta la campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna. E non è un caso, infatti, se a mettere in mostra in Parlamento la maglietta “Parlateci di Bibbiano” sia stata proprio l’allora candidata a governatore della Lega Lucia Borgonzoni.
«È stata una vicenda dall’impatto mediatico devastante - ha ricordato Manes -, con tutte le ricadute che ha sulla vita di una persona che ha sempre agito, e ora lo ha visto riconoscere, con correttezza e trasparenza. Ma la soddisfazione, oltre che sul piano professionale, è anche sul piano scientifico, perché la scelta dei giudici sull’abuso d’ufficio, con questa ordinanza così dotta, colta e approfondita, vuol dire che poi il dialogo, anche sui principi di diritto, a volte funziona. Si sono dimostrate giudici di notevole caratura professionale, rigore scientifico e di grande coerenza e coraggio. Questo, da avvocato, è un grande stimolo per credere che la giustizia alla fine trionfa. Ci tengo ad evidenziare che Carletti non è stato graziato dall’abolizione dell’abuso d’ufficio: tre delle quattro imputazioni formulate inizialmente dalla procura erano già cadute, perché insussistenti, e quella residua poi è stata cancellata dal legislatore. Ma eravamo convinti, e lo siamo ancora, che sarebbe emersa la sua innocenza anche rispetto all’ultimo capo di imputazione». Soddisfatto anche Tarquini: «Finalmente si è conclusa questa agonia, che ha avuto conseguenze gravi sulle persone e sul loro ruolo istituzionale. Una vicenda lunga e sofferta che Carletti ha sempre affrontato a testa alta, negando ogni accusa. È veramente una liberazione, la fine di un vero e proprio incubo, dopo una violenta mostrificazione».