«Diritto di critica politica». Con questa motivazione il giudice di Reggio Emilia Andrea Rat ha archiviato l’accusa di diffamazione mossa all’ex vicepremier Luigi Di Maio da Andrea Carletti. L’ex sindaco di Bibbiano, coinvolto nel blitz “Angeli e Demoni” e poi assolto dopo la cancellazione dell’abuso d’ufficio, aveva querelato circa 200 persone: subito dopo il suo arresto, infatti, fu travolto da migliaia di messaggi d’odio, con minacce a lui e alla sua famiglia. Sei anni dopo, 46 persone sono finite a processo per diffamazione e minacce. Ma non ci sarà Di Maio, che sul suo profilo Facebook - poi cancellato -, il 27 giugno 2019, pubblicò un video pieno di accuse e, soprattutto, un post con la foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “Arrestato”, alla quale si aggiungeva la frase “Affari con i bimbi tolti ai genitori”. Sotto quel post si scatenò un’ondata di insulti e minacce, con la promessa di “impalare”, “fucilare”, “piantare una pallottola nelle ginocchia e una nei genitali” o “prendere a sprangate in faccia” Carletti, “un morto che cammina”.

La pm aveva chiesto l’archiviazione proprio in virtù del suo ruolo politico, ma la difesa di Carletti, rappresentata da Giovanni Tarquini, si era opposta all’archiviazione. Oggi, però, è arrivata la decisione. Le esternazioni di Di Maio, afferma il giudice, «sono opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare e, come tali, insindacabili. Non vi è alcun dubbio», aggiunge, che «siano da qualificare come espressione di un’opinione aspramente critica ad un sistema politico (avversato dal Di Maio)». Un attacco «duro, aspro, dai toni sferzanti e al limite fastidiosi, ma pur sempre diretto a quell’additato modello politico senza alcun riferimento diretto al Carletti, solamente prospettato - mediante l’uso della fotografia, già utilizzata da numerose testate giornalistiche - come simbolo di quel sistema politico dallo stesso rappresentato in quel momento e in quel contesto. Nelle esternazioni presenti sul post non vi sono invece insulti, minacce, o attribuzioni alla persona del Carletti di fatti falsi. Si ribadisce che effettivamente egli era stato sottoposto a misura cautelare custodiale. I toni, come detto certamente aspri e duri, sono giustificati dal luogo (non istituzionale) in cui le opinioni sono state espresse: i social network, come noto, costituiscono ormai uno dei mezzi ordinari per la comunicazione con elettori e cittadini, consentendo (e richiedendo) una modalità espressiva più informale, immediata e diretta rispetto alle forme richieste dal contesto parlamentare. Infatti, in presenza degli indici rivelatori del nesso funzionale con l’attività parlamentare è in ogni caso possibile affermare che le dichiarazioni, ovunque espresse, costituiscano comunicazione all’esterno dell’attività compiuta, “pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato nell’atto tipico e nella sua diffusione all’opinione pubblica” (Corte Cost. Sent. 104/2024), essendo, per altro, l’attività compiuta nell’esercizio del mandato popolare destinata a proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari, nell’interesse della libertà dialettica politica che è condizione di vita delle istituzioni democratico rappresentative” (Corte Cost. Sent. 320 e 321 del 2000). Nel caso di specie, come detto, le dichiarazioni dell’indagato riguardanti l’attuale querelante si limitano a constatare l’arresto dello stesso, avvenuto (anche se per ipotesi di reato differenti rispetto agli altri indagati) nell’ambito della stessa inchiesta sul sistema di affidi in totale assenza di insulti, minacce o attacchi diretti alla persona».

D’altronde, Di Maio non si limitò al post ma mise in atto altre iniziative sul tema, scrivendo, il giorno stesso degli arresti, al ministro della Famiglia e delle disabilità affinché avviasse «ogni utile iniziativa volta all’approfondimento della vicenda», mentre il suo partito, il M5S, si fece promotore di diverse interrogazioni. Iniziative che «costituiscano quell’attività interna che, avendo contenuto ed oggetto sostanzialmente corrispondenti a quelli delle esternazioni extra moenia, sono idonee a fondare il nesso funzionale richiesto per ritenete le opinioni espresse al di fuori del Parlamento coperte dall’immunità dell’articolo 68 della Costituzione». Il richiamo contenuto nello stesso post alla lettera poi effettivamente inviata al ministero della Famiglia, spiega ancora il giudice, «dimostra l’interesse legato alla carica rivestita e l’impegno assunto di fronte ai cittadini, togliendo qualunque dubbio circa lo stretto nesso funzionale esistente fra quelle parole e l’espletamento del proprio mandato nell’interesse della collettività». Il giudice di Reggio Emilia, ha commentato all’Agi l’avvocata Daniela Petrone, difensore di Di Maio, «ha condiviso la nostra linea difensiva e ha stabilito che il post pubblicato non conteneva né minacce, né insulti, né attribuzione di fatti falsi alla persona di Carletti». In più «ha riconosciuto l’insindacabilità delle esternazioni di Di Maio, connesse all’espletamento del proprio mandato di ministro nell’interesse della collettività».

Critico il commento dell’avvocato Tarquini: «Per il giudice il post tristemente noto rientrerebbe nell’area non punibile delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni politiche. Al momento prendo atto e niente più. Ma nel pieno rispetto del provvedimento e del giudice che lo ha emesso, faremo ogni valutazione e vedremo il da farsi, se non altro in ragione della oggettiva carica diffamatoria delle affermazioni di Di Maio, su cui lo stesso gip non interviene, fermandosi alla ritenuta applicabilità dell’articolo 68 della Costituzione - sottolinea -. Certo, non nascondo che pensare che un post condito di feroci aggressioni verbali, riferimenti e immagini personali nonché avventate e ingiuste accuse su Facebook possa considerarsi esercizio di funzioni politiche mi lascia molto perplesso. Al momento osservo che è evidentemente il prezzo della modernità e della dimensione comunicativa dei social che ormai ha travolto tutto e tutti con effetti anche aberranti».