La dottoressa Elena Francia, consulente della pm Valentina Salvi nel processo sui presunti affidi illeciti, il 14 dicembre 2018, quando le indagini erano già in corso, inviò una mail alla psicoterapeuta Nadia Bolognini del centro “Hansel e Gretel” di Torino - accusata di falsa perizia determinata da inganno, di violenza privata e di lesioni - chiedendole di produrre una relazione sulla terapia svolta con K. Una richiesta, scriveva Francia in quella mail, autorizzata dalla pm Salvi, che in quel momento stava indagando Bolognini e che contemporaneamente stava per archiviare il procedimento per i presunti abusi. Per Luca Bauccio, difensore insieme a Francesca Guazzi di Bolognini, si tratterebbe di un atteggiamento da «agente provocatore». Tanto è emerso nell’udienza di oggi del processo “Angeli e Demoni”, dove continua l’esame di Bolognini.

La mail

«Ciao Nadia - si legge nella mail depositata dalla difesa -. Successivamente al nostro incontro, io e la Dott.ssa Salvi abbiamo escusso K., dopodiché ho incontrato le affidatarie che mi hanno aiutato a ricostruire la storia di vita della minore e le sue condizioni attuali. Infine, ho incontrato K. anche per darle una piccola restituzione circa l’incontro con la Dott.ssa Salvi e per comprendere come stesse dopo l’audizione. Confrontandomi con la pm riguardo agli elementi che abbiamo a disposizione - continua la mail -, abbiamo concluso che non sarebbe stato utile procedere con una nuova audizione. Ho spinto, però, perché fosse possibile ottenere il maggior numero di informazioni possibili circa i fatti di causa. Per questo motivo sono stata autorizzata a metterti al corrente dello svolgimento delle operazioni di consulenza dalla Dott.ssa Salvi e ti chiederei se è possibile per te redarre una relazione, da allegare alla mia, che possa descrivere l’evoluzione della terapia di K. da quando ci siamo incontrate in avanti. Purtroppo non abbiamo moltissimo tempo perché devo depositare il 07 gennaio. In ogni caso ti allego il verbale della richiesta della Dott.ssa Salvi, visto che mi ha autorizzato a farlo, che meglio potrà spiegarti a che punto siamo con l’accertamento tecnico. Sono a disposizione per qualsiasi chiarimento». Nella sua richiesta - depositata sempre oggi - Salvi chiedeva a Francia di verificare se nell’ambito della terapia svolta presso “La Cura” di Bibbiano da Bolognini fossero emerse «ulteriori gravi circostanze in ordine agli abusi sessuali evidenziati nelle relazioni dei servizi sociali», per consentire «la tempestiva comunicazione della richiesta di archiviazione» e «le valutazioni di competenza sull’affidamento della minore». E solo in caso positivo, dunque, Salvi chiedeva di «acquisire copia di eventuali relazioni». Bolognini aveva sottolineato l’assenza di indicatori di abusi. Nessun falso, dunque, sul caso di K. e nessuna “pistola fumante”. «A meno di smentite - ha dichiarato Bauccio -, la dottoressa Francia avrebbe agito da agente provocatore, perché stava cercando soltanto un modo per avere una prova contro di lei, perché la prova positiva non è stata poi valorizzata». La mail è stata letta in aula da Bolognini e la sua veridicità non è stata smentita.

Chiesta la trasmissione degli atti

Bauccio ha chiesto la trasmissione degli atti in relazione a Francia per i «falsi» contenuti, a suo dire, nella consulenza prodotta dalla professionista. Consulenze nelle quali Francia aveva fatto una prognosi di disturbi futuri, come il disturbo depressivo persistente (che richiede un anno di osservazione) in capo a K., che nessun psicologo o perito ha mai identificato. Nessuno, tranne Francia, l’unica tra l’altro a non aver incontrato la minore e a non aver somministrato test, ha diagnosticato questo disturbo, la cui configurabilità, è stato evidenziato in aula, sarebbe esclusa da diversi segni. La bambina era infatti attiva e reattiva, partecipe a scuola e nelle attività. Inoltre, fino a due mesi prima la stessa consulente aveva affermato che la ragazzina stava bene ed era in grado di affrontare un incidente probatorio. La consulente aveva anche affermato che a causa della terapia con Bolognini K. aveva perso «il suo falso sé», come si evincerebbe dalla confusione provata dopo «essere stata lasciata dal fidanzatino». Un fatto smentito, però, dai dati: era stata K., infatti, a lasciare, anche con un certo vigore, il fidanzatino.

Stesso discorso per un altro minore, N., al quale era stato diagnosticato un disturbo dell’adattamento persistente misto ad un disturbo delle emozioni e della condotta, come conseguenza di un evento stressante. Per Francia l’evento stressante era stato l’allontanamento, che altrove veniva invece individuato come evento traumatico. La consulente ha però ignorato una diagnosi fatta dall’Asl nel 2015, prima dell’allontanamento, quando - sulla base di quanto stabilito dalla Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati (Icd- 10) - nel bambino era stato rilevato un disturbo della condotta e delle emozioni. Due disturbi che solo apparentemente sarebbero distinti: il disturbo individuato dall’Asl, infatti, è più grave e comprende i sintomi del disturbo dell’adattamento, che dunque non poteva essere diagnosticato, così come espressamente fanno divieto l’Icd- 10 e il Dsm- 5, per i quali il primo altro non sarebbe se non una manifestazione di quel disturbo già diagnosticato anni prima dell’affido e dal quale non è mai stato dichiarato guarito. Ma non solo: N. è stato visitato di nuovo nel 2021, due anni dopo gli arresti, e a seguito di una batteria di test è stato di nuovo rilevato il disturbo della condotta, lo stesso individuato sei anni prima. Né l’allontanamento né la terapia con Bolognini, dunque, avevano inciso.

Nessuna lesione

«Applicando il condivisibile metodo della Corte d’Appello nel caso di Claudio Foti (già assolto in via definitiva in abbreviato, ndr), per me il processo finisce qui - ha dichiarato Bauccio -. Perché se mancano le lesioni, non c’è alcuna esigenza che si invada il campo psicoterapeutico per valutare una psicoterapia. Non è questione che spetta a un Tribunale. In assenza di una diagnosi idonea a documentare una lesione finisce tutto». Bauccio ha anche criticato il lavoro dell’altra consulente dell’accusa, Rita Rossi, che ha diagnosticato un disturbo depressivo in capo al minore A. «in violazione di tutti i paradigmi»: una diagnosi, ha sottolineato Bauccio, «che non ha nessuna ragione di esistere, perché postula che il bambino avesse subito un danno grave, irreparabile al sistema cognitivo, relazionale». Il difensore ha dunque chiesto a Bolognini se avrebbe mai sottoposto a sommarie informazioni un bambino con un grave danno cognitivo, così come fatto dalla procura pur ipotizzando il danno. «No - ha risposto Bolognini -, non sarebbe possibile». Dalla registrazione di quelle sit, però, il bambino non appariva affetto da un danno cognitivo, ma capace di capire e interpretare.

La memoria della difesa Anghinolfi

I difensori dell’ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza Federica Anghinolfi, Oliviero Mazza e Rossella Ognibene, hanno depositato ieri una memoria in vista dell’esame di un’altra imputata, Marietta Veltri - coordinatrice dei Servizi -, chiedendo di avere a disposizione alcuni documenti citati nel corso dell’interrogatorio. Documenti, scrivono i due difensori, «dei quali non vi è disponibilità nei fascicoli del pubblico ministero, salvo errori di consultazione».

Si tratta del «diario clinico», citato dal maresciallo Giuseppe Milano, nel quale sarebbero riportate «le annotazioni anche degli assistenti sociali», nel quale c’era scritto, spiegava la pm, che «voci di paese» indicavano «padre, nonno abusante». Ma non solo: non c’è traccia nemmeno della relazione nella quale il maresciallo Milano legge a Veltri la frase «il nonno la prende in braccio e nel metterla in terra le striscia pian piano la mano sul sedere e la bambina arrossisce e piange», nonché la relazione che conterrebbe la frase «prima ancora che suoni il campanello K. dice: “Il mio papà è sicuramente arrivato, riconosco il suo odore e lo riconosco dal sudore”».

Nel fascicolo del pm, scrivono i difensori, sarebbe presente solo «una pagina di diario clinico con una diversa sequenza di parole, vale a dire la seguente: “Lo scopo è capire meglio se le voci che circolano da tempo su m/a /nonno papà (abusante?) nonna sono solo voci o hanno fondamenti reali”». E ciò in quanto non si è rinvenuto un diario clinico che riporta la sequenza «...padre, nonno abusante?». Le relazioni degli educatori sul caso di A., nelle quali non esiste la frase sul nonno che sfiora il sedere della bambina; e la relazione del 31 maggio 2017 di due educatrici che riportano una versione diversa della frase letta da Milano sul riconoscimento “olfattivo” del padre non è presente «con questo esatto contenuto». Sul punto la pm ha replicato sostenendo che non si trattava di «documenti nuovi», ma di «riassunti a memoria in modo non preciso», motivo per cui non ci sarebbe «altro da produrre».