È battaglia in Dna dopo le nomine dei nuovi sostituti. Tra i protagonisti della diatriba il pm Stefano Luciani, il quale, nonostante fosse uno dei cinque candidati sicuri proposti per la nomina, si è visto escluso dalla selezione. Luciani, secondo fonti vicine al Csm, ha quindi deciso di impugnare la nomina del pm romano Eugenio Albamonte davanti al Tar, ritenendo che la sua esclusione sia stata ingiustificata e basata su criteri irrazionali.

Luciani, indicato tra i cinque candidati idonei in entrambe le proposte votate in plenum, è stato però escluso dopo una lunga discussione, risultando “perdente” nonostante non fosse mai stato messo in discussione. Nonostante i posti a disposizione fossero sette e ci fossero quattro nomi tra i quali pescare i due da aggiungere ai cinque comuni alle due proposte, infatti, il plenum ha selezionato otto candidati a pari merito. Trattandosi del più giovane tra i nomi selezionati, dunque, Luciani è rimasto fuori dalla rosa dei nuovi sostituti. Il ricorso del magistrato punta dritto sul nome del solo Albamonte, a suo dire non in possesso dei requisiti richiesti dal bando. Quest’ultimo, infatti, è stato incluso nella selezione grazie all’assegnazione del massimo punteggio per il criterio A1, criterio che si riferisce alle attitudini specifiche dimostrate dal magistrato nelle indagini e nella trattazione dibattimentale di processi legati a fenomeni di criminalità organizzata.

Una scelta macroscopicamente irrazionale, secondo Luciani, che nel suo ricorso “accusa” il plenum di violare il principio di razionalità comparativa, che dovrebbe guidare la selezione dei candidati. A suo avviso, la decisione di inserire Albamonte nella lista dei nominati rappresenterebbe un’irregolarità evidente, considerando che il criterio A1 dovrebbe privilegiare chi ha maturato una consolidata esperienza nella lotta contro la criminalità organizzata. Una scelta ancora più sorprendente se si considera la delicatezza del ruolo da ricoprire: quello di coordinamento in un ambito in cui Albamonte non avrebbe esperienza. Il che ha suscitato molte polemiche dentro e fuori al Csm - a quanto pare evidenziate anche nel ricorso - sulla possibile spartizione correntizia dei posti messi a bando.

Luciani vanta un’esperienza pluriennale nelle Dda di Caltanissetta e Roma, dove ha seguito alcuni dei processi più rilevanti della storia della lotta alla mafia, tra cui quelli relativi alle stragi di Capaci e Via D’Amelio e alle indagini sul boss Matteo Messina Denaro. La sua carriera si è distinta per l’approfondita competenza nelle indagini sulla criminalità mafiosa, un profilo che, secondo il ricorso, sarebbe stato più adatto a ricoprire un ruolo di coordinamento in Dna rispetto ad Albamonte. D’altro canto, Albamonte non ha mai avuto esperienze dirette con le Direzioni distrettuali antimafia, un gap esperienziale peraltro espressamente riconosciuto nella stessa delibera di nomina, nella quale viene evidenziata la distanza di Albamonte da indagini sulla criminalità organizzata, tentando comunque di giustificare la sua nomina attraverso l’esperienza in un altro settore, quello della criminalità informatica. Tuttavia, questa esperienza, secondo il ricorso, non sarebbe pertinente rispetto al criterio di selezione richiesto dal bando. E anche se la normativa primaria di riferimento è stata successivamente integrata per includere questa esperienza attitudinale, ciò non avrebbe influito sul bando originario, pubblicato prima di tale modifica, e quindi l’esperienza in questo settore non giustificherebbe il massimo punteggio attribuito ad Albamonte.

Ma anche la sua esperienza in materia di antiterrorismo, menzionata come elemento a sostegno della sua nomina, non sarebbe comunque comparabile con quella di Luciani. La maggior parte dei procedimenti trattati in questo ambito sono stati infatti contro ignoti, mentre sono pochi quelli contro noti dei quali solo tre sono arrivati a processo, con un numero esiguo di imputati. Circostanza, dunque, che renderebbe il profilo di Albamonte soccombente. Da qui la conclusione che la valutazione delle esperienze dei candidati non sia stata condotta secondo i principi di razionalità e coerenza, ma piuttosto su una valutazione irragionevole e contraddittoria che avrebbe avvantaggiato Albamonte a discapito di candidati con esperienza comprovata nel settore antimafia. Una valutazione errata, dunque, secondo Luciani, e che non trova fondamento nei criteri di selezione previsti.

Insomma, la battaglia sarà infuocata.

Anche perché Luciani, da quanto risulta al Dubbio, non è l’unico degli esclusi ad aver presentato ricorso contro le nomine e Albamonte non sarebbe l’unico obiettivo dei tentativi di ribaltamento del voto. Si prevedono giorni di burrasca a via Giulia.