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Il giornalista e scrittore Alessandro Barbano
È stata una notte sbagliata. Vischiosa. Dal potenziale tellurico notevole. Ma non si può ridurre tutto a quella notte. Fin dal titolo del suo ultimo libro, “La Gogna - Hotel Champagne, la notte della giustizia italiana”, Alessandro Barbano si interroga. Ci interroga. Ci chiede di verificare se davvero abbiamo compreso fino in fondo la portata dello scenario sul quale il “Sistema” di Luca Palamara pretende di aver squarciato il velo.
Si interroga, e ci interroga, il giornalista che è vicedirettore del Corriere Sport e tra le firme più prestigiose del nostro quotidiano, a proposito di quella notte, la cena all’Hotel Champagne. Ma non solo, perché, tanto per cominciare, ci mette di fronte all’interrogativo vero: ci si può continuare a illudere che la deriva corporativo-mercantilistica della magistratura sia iniziata e finita lì?
Un po’ l’ordine giudiziario si è sforzato di farcelo credere. Non solo con l’individuazione in Palamara di un colpevole assoluto, radiato dalla magistratura, gettato fuori come manco le anime dannate nello Stige dantesco, ma anche con la progressiva miniaturizzazione delle responsabilità altrui. Di chi, con Palamara, scambiava messaggi e soprattutto propositi lottizzatori. Nulla di fatto, se non fosse per qualche trasferimento e per i procedimenti disciplinari ai cinque ex togati coinvolti nelle vicende del 2019.
L’amnistia generalizzata per tutti quegli altri magistrati che non hanno la sfortuna di chiamarsi Luca di nome e Palamara di cognome finirà, pare, per estendersi persino all’ambito sindacal-associativo. Non ci saranno cioè diffuse sanzioni neppure da parte dell’Anm, che pure dovrebbe esercitare, come illustrato in tempi non sospetti da Giovanni Maria Flick, la “giurisdizione deontologica” sulle toghe. Eppure il “sindacato” non esitò a convocare un’assemblea nazionale mai così partecipata per cacciar via a pedate l’unico, evidentemente, passibile di tanta ignominia. Sempre lui, avete capito.
Si dirà: c’era stato “Il Sistema”, il libro di Palamara. Perché un altro volume (nel caso di Barbano l’editore è Marsilio, le pagine sono 256, con appendice biografica per tutti i protagonisti, e il costo è 18 euro)? Perché questa sorta di interpretazione autentica dei fatti che il “bannato” Luca aveva già passato ai raggi X dal suo personale angolo e interesse? Semplice: perché ci voleva il coraggio di Alessandro Barbano per scavare oltre, per parlare senza scrupoli reverenziali del passato e del presente di chi ha avuto un ruolo, un qualsiasi ruolo, in quella vicenda. Senza specifiche volontà defensoriali nei confronti di Palamara, senza intenti vendicatori nei confronti degli avversari di quest’ultimo, da Giuseppe Pignatone in poi. Ma certo, con spietata puntualità di indagine.
E con una lezione, che si coglie nel racconto dell’epopea Champagne e nella postfazione che lo stesso autore ha voluto aggiungere al resto: dalle intercettazioni come quelle che hanno incastrato Palamara e spalancato il retroscena spartitorio dei magistrati, Barbano ricava anche una severa critica sull’affidabilità di quello strumento investigativo. Soprattutto, sul cortocircuito che si attiva fra indagini e riflesso mediatico, quindi sociale, con successivo recupero del disdoro pubblico nell’alveo dell’attività inquirente. In una spirale di alterazione, manipolazione e sostanziale abuso del potere giudiziario che riguarda i procedimenti interni alla magistratura come quelli in materia di corruzione. Fino addirittura alle apparentemente irreprensibili inchieste di mafia.
A Barbano, verrebbe da dire, non è bastata. Non gli è bastato sfidare il potere giudiziario costituito già con “L’inganno”, il suo precedente libro, dedicato agli abusi dell’antimafia. Di nuovo mette a nudo le derive del sistema giustizia nella prospettiva meno cara al resto della critica, vale a dire con l’idea di scarnificare e censurare gli arbitrii della magistratura. Ne parlerà alle 17.30 di domani, martedì 5 dicembre, al Maxxi di Roma, in una presentazione in cui avrà, come alleati, Sabino Cassese, Paolo Mieli, Enrico Mentana, Flavia Perina e Gian Domenico Caiazza. Sbattere contro il muro in apparenza inscalfibile dei cortocircuiti togati potrà sembrare, ai più cinici, ai qualunquisti dalla smorfia sbrigativa, una velleità donchisciottesca. Ma il pensiero, ogni volta che questo raro coraggio si manifesta, corre sempre al debito con Enzo Tortora, alla cui memoria non a caso è dedicata “La gogna”. In una magistrale recensione del libro che ha preceduto e precede questa, non solo cronologicamente, Vittorio Feltri dice di Enzo che ha “sempre uno scrupolo a citarlo per il timore di nominarlo invano”. Chi scrive condivide il dilemma. E ha spesso paura che l’arroganza cieca di cui Enzo fu vittima non sia servita granché da lezione.