Proseguono in commissione Giustizia al Senato le audizioni sullo schema di decreto legislativo riguardante la presunzione d’innocenza e il diritto di presenziare al processo nei giudizi penali. Si tratta, per intenderci, del provvedimento in cui è inserita la norma che vieta la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, approvata in Consiglio dei ministri e ora al vaglio di Palazzo Madama e Montecitorio per i necessari, seppur non vincolanti, pareri. Ieri i senatori hanno ascoltato il professore, e avvocato, Oliviero Mazza, ordinario di Diritto processuale penale presso l’Università Bicocca di Milano, che ha sottolineato tra l’altro come «il sistema si regga su una grossolana ipocrisia: gli atti d’indagine coperti dal segreto non sono di per sé pubblicabili, ma quando vengono riportati nell’ordinanza cautelare, ossia in quella che viene intesa come una cripto- condanna retta da una cripto-imputazione, si trasformano in notizie degne della pubblicazione integrale. Il giudice alchimista tramuta così l’indagine poliziesca in prova di colpevolezza ostensibile all’opinione pubblica, il tutto senza che la voce della difesa possa trovare il benché minimo spazio».

Per Mazza «non stupisce, quindi, l’accanimento nel rivendicare la pubblicabilità di quella che è considerata la vera condanna, la tempestiva ed esemplare reazione al crimine adottata al di fuori di ogni regola basilare del giusto processo. Così come non stupisce l’invettiva contro la cosiddetta legge-bavaglio che vorrebbe semplicemente ricalibrare i rapporti fra presunzione d’innocenza e libertà di stampa». E ancora: «La pubblicazione dell’ordinanza custodiale è la più radicale negazione della presunzione d’innocenza», ha sostenuto lapidario.

Pertanto «la proposta legislativa di non pubblicare testualmente quell’atto è un preciso segnale in controtendenza rispetto alla vergognosa gogna mediatica alla quale sono esposti i detenuti in attesa di giudizio. Il nuovo bilanciamento di interessi privilegia il rispetto della presunzione d’innocenza quale condizione essenziale per il corretto esercizio della libertà di stampa. La modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale merita, quindi, piena approvazione».

Tuttavia Mazza ha sollevato due criticità: la limitata portata applicativa, che andrebbe estesa a tutte le misure cautelari, e la mancanza di sanzioni per l’inosservanza del nuovo divieto. Sul primo punto il professore ha proposto l’estensione del divieto a ogni provvedimento cautelare. Sul secondo punto «una soluzione efficace, in grado di rendere effettiva la tutela del segreto investigativo e della presunzione d’innocenza, senza punire i giornalisti con pene detentive, sarebbe quella di estendere la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ai reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli editori e contestualmente di inasprire la risibile ammenda oggi prevista dall’articolo 684 del codice penale».

Si tratta della norma che individua il reato di “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, ad oggi cancellabile con un’oblazione della bellezza di 258 euro (al massimo) e, anche per questo, quasi mai contestato. Ma in proposito ha spiegato ancora il professor Mazza: «La pubblicazione arbitraria dell’atto processuale fa guadagnare gli editori, e la sanzione deve proprio incidere su questo profilo, secondo l’ormai consolidato principio per cui il crimine non paga. Bisogna togliere l’interesse economico alle pubblicazioni scandalistiche che ledono la presunzione d’innocenza». Come? «All’articolo 684 del codice penale è apportata la seguente modificazione: le parole “da € 51 a € 258” sono sostituite con quelle “da € 1.000 a € 10.000” ».

In audizione sono intervenuti anche Vittorio di Trapani e Alessandra Costante, rispettivamente presidente e segretaria della Federazione nazionale della Stampa. Costante ha dichiarato: «La Fnsi è assolutamente contraria perché la norma va a ledere il diritto dei cittadini di conoscere qualsiasi notizia. Non esiste alcun nesso tra la tutela della presunzione di innocenza e gli organi di informazione, anche alla luce del fatto che la direttiva europea recepita con decreto 188/ 2021 impone agli Stati che fino a quando non si accerta la colpevolezza di un indagato le dichiarazioni rilasciate dalle autorità pubbliche e politiche, ma non dai giornalisti, non devono presentare l’indagato come colpevole. Invece con il decreto legislativo in esame facciamo un ulteriore passo nella limitazione di quei bilanciamenti imprescindibili che caratterizzano uno Stato di diritto».

Due giorni fa era intervenuta anche l’Ucpi. Nella nota consegnata alla commissione dall’associazione dei penalisti si legge tra l’altro: «Il divieto di pubblicazione, com’è noto, tutela anche il processo accusatorio e la funzione del giudice. Sul punto la Corte costituzionale ha affermato che “il protrarre il divieto di pubblicazione del fascicolo del pm anche oltre il termine delle indagini, durante il dibattimento è funzionale a evitare una distorsione delle regole dibattimentali” che sole possono portare a una decisione effettivamente “terza” del giudicante (Corte Cost. sent. 59 del 1995). Deve, dunque, essere colta con assoluto favore la norma che vieta la pubblicazione dell’ordinanza cautelare quale affermazione del principio che il giudizio di colpevolezza non può precedere il processo ed essere affidato al “circo mediatico”».