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Il caso dei “troppi punti esclamativi” è stato risolto, con la riforma della pronuncia di condanna emessa in primo grado, dal Consiglio nazionale forense. Si tratta della vicenda, piuttosto nota, che ha visto un avvocato catapultato in un procedimento disciplinare per aver abusato della “punteggiatura con evidente enfasi”. La massima istituzione dell’avvocatura, con la sentenza n. 286/2023, ha stabilito che il difensore deve evitare espressioni offensive o sconvenienti nei confronti dei colleghi, oltre che di magistrati, controparti o terzi, come stabilito dall’articolo 52 cdf, ma che l’intento denigratorio non può sic et simpliciter dedursi dall’enfasi della punteggiatura.
La vicenda dei punti esclamativi
La controversia ha avuto inizio quando un avvocato si è sentito offeso da una frase contenuta nella comparsa di costituzione e risposta presentata da un altro legale in un giudizio presso il Tribunale di Bolzano. La frase incriminata recitava: “Non può essere taciuto al Tribunale che la controparte era stata da due avvocati (uno quali verosimilmente aveva riconosciuto l’infondatezza della pretesa) prima di trovare un collega che ha instaurato un’azione da 3.000.000 di euro (!!!)”.
Il Consiglio distrettuale di disciplina, dopo il dibattimento, ha ritenuto che tale espressione contenesse una valutazione negativa dell’operato del collega e ha quindi contestato all’avvocato in questione la violazione dell’articolo 42 del Codice deontologico forense, che vieta apprezzamenti denigratori nei confronti dei colleghi.
L’avvocato imputato ha impugnato la decisione presentando tre motivi di ricorso. Innanzitutto, ha contestato l’interpretazione soggettiva attribuita alla frase incriminata, sottolineando che la sua intenzione era semplicemente informare il giudice sul fatto che la controparte si era rivolta ad altri due avvocati prima di conferire l’incarico al proprio difensore. In secondo luogo, ha contestato l’applicazione dell’articolo 42 cdf al suo caso specifico. Infine, ha eccepito la mancata assunzione di una prova decisiva avanzata con una memoria.
La decisione
Il Consiglio nazionale forense ha accolto il ricorso, ritenendo che la frase incriminata non contenesse un apprezzamento negativo oggettivo nei confronti del collega. Il Consiglio ha concluso che l’avvocato non aveva intenzione di denigrare l’operato del collega, ma semplicemente aveva evidenziato con enfasi la temerarietà della causa intrapresa dalla controparte.