A poco più di un mese dallo “sciopero anti-Nordio” dell’Anm, in programma per il 27 febbraio, e a poche ore ormai dalla clamorosa passerella che la magistratura associata metterà in scena alle inaugurazioni dell’anno giudiziario di sabato, il clima sulla separazione delle carriere comincia a farsi pesante. Al punto da rievocare le “atmosfere” del 2003-2004, dei giorni in cui attorno alla riforma Castelli si scatenò un conflitto durissimo fra il governo Berlusconi di allora e un fronte composito, con l’Associazione magistrati in prima linea, ma anche con le opposizioni e buona parte della stampa nella stessa trincea.

«Intanto a noi non crea alcun imbarazzo trovarci fianco a fianco con Franco Coppi», ironizza Walter Verini, capogruppo del Pd in commissione Antimafia, a proposito del no al “divorzio” giudici-pm ribadito dal penalista tra i più celebri del Paese. Ecco, il Pd: all’epoca di Berlusconi e Castelli, Ds e Margherita preparavano il preliminare di accordo, i termini della loro imminente fusione. Oggi il partito di Elly Schlein si ritrova di nuovo contro la riforma sulle “carriere”. Non da solo: di nuovo al fianco dell’Anm, più o meno deliberatamente. È un dato oggettivo. Che però Verini sdrammatizza molto: «Abbiamo la nostra visone: siamo di fronte a una riforma dalla matrice politica. La contrasteremo innanzitutto per questo. Non si può strumentalizzare l’ordinamento giudiziario. Né per consumare vendette né per piantare bandierine. Ammesso che al sì del Parlamento e al referendum ci si arrivi davvero».

Verini nega il rischio di un’imbarazzante alleanza di fatto tra dem e magistratura. La responsabile Giustizia del suo partito, Debora Serracchiani, ha già utilizzato in effetti argomenti anche più aspri dei comunicati Anm, nel bocciare il ddl del guardasigilli. Neppure il capodelegazione in Antimafia risparmia critiche severe. «È una riforma gravemente sbagliata, per la giustizia e i cittadini. Una distanza abissale con le priorità del Paese . Ci opponemmo già nel 2021 e quella consultazione fu un flop. Anche così i cittadini si pronunciarono».

Verini ha argomenti tecnicamente solidi. La sudditanza del giudicante rispetto ai pubblici ministeri, per via dell’egemonia “politico-associativa” che si registra, nell’attuale Csm unico, a vantaggio dei requirenti, “padroni” dell’Anm? «È una favola. In pratica, con la riforma Cartabia e in particolare con la norma che impone una ragionevole previsione di condanna alla base del rinvio a giudizio, le ipotesi delle Procure sono accolte dai gup, e affidate al dibattimento, solo nel 50 per cento dei casi. La subordinazione nell’esercizio delle funzioni che sarebbe provocata dal peso dei pm nel controllo delle carriere dei giudici è smentita dalle statistiche».

Sui dati ci sarà da approfondire. Ma neppure li si può ignorare in partenza. Sta di fatto che la condivisione della trincea, fra Pd e Anm, sarà inevitabile. Lo sarà a maggior ragione per il Movimento 5 Stelle. Che non se ne sentirà imbarazzato di sicuro. Il partito di Giuseppe Conte ha candidato e fatto eleggere in Parlamento due pezzi da novanta della magistratura antimafia come Federico Cafiero de Raho, alla Camera, e Roberto Scarpinato, al Senato. Storicamente, i pentastellati sono la forza politica che più si sente investita dalla missione di rappresentare le istanze del mondo togato. Imbarazzi, insomma, per Conte, non si vede da dove possano nascere. Però è difficile allontanare il rischio di un’opposizione politica schiacciata sulla magistratura, in una battaglia che vede coinvolta, come venti anni fa, innanzitutto l’Anm con le sue correnti, e i pm da cui quelle correnti sono egemonizzate. Servirà lo sforzo di chi come Verini è stato tra l’altro relatore della riforma Cartabia sul Csm, per trasferire all’elettorato l’idea che, almeno il Pd, contrasterà Nordio non per accucciarsi sotto l’ala rassicurante delle toghe ma per convinzione sostanziale.

Adesso al Senato, dove Verini è “arruolato”, Pd, 5 Stelle e anche Avs si impegneranno per impedire che già la seconda lettura del ddl sulle “carriere” si riduca a una mera apposizione di timbri. Chiederanno altre audizioni. La maggioranza farà il possibile per ridurle, ma certo il dibattito non potrà essere azzerato. Non lo si è potuto fare più di tanto neppure col decreto Giustizia, licenziato ieri a Montecitorio. A maggior ragione, il bicameralismo non potrà squagliarsi sulle modifiche della Carta. Si tratterà di una fase in cui il gioco del centrosinistra, del “campo largo asimmetrico” provocato dalla riforma Nordio (sostenuta da Azione, Italia viva e +Europa) sarà chiaramente autonomo dalle toghe. «La separazione delle funzioni c’è, è quasi totale, lo dico da relatore della riforma Cartabia: oggi», ricorda ancora Verini, «i passaggi dalla carriera di giudice al percorso requirente e viceversa sono solo una ventina, a fronte di 9.000 magistrati ordinari. No: è un totem e un attacco all’indipendenza della magistratura».

Gli argomenti ci sono: quelli di carattere tecnico e quelli più politici. Poi però il “campo largo anomalo”, allargato all’Anm, sarà inevitabile. Come sarà inevitabile l’alleanza, nella battaglia sul “referendum Nordio”, fra avvocatura e centrodestra. Certo, per il centrosinistra, riassaporare la condivisione degli anni ruggenti di Berlusconi e Castelli darà sensazioni contrastanti. Suonerà un po’ come un romantico revival, ma anche come il segno che sulla giustizia alcuni schemi sono una specie di prigione del tempo.