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Fortunatamente, almeno per adesso, ci siamo lasciati alle spalle il periodo del lockdown per far fronte all’emergenza Covid 19. Un periodo dove la popolazione italiana doveva rimanere a casa, protetta. Ma ciò ha creato tanta sofferenza per chi era più vulnerabile, magari precario che a un certo punto si è visto ritrovarsi senza un lavoro che magari faceva a nero. Nessuna protezione.L’emergenza sanitaria che ha interessato l’Italia ha colpito però in modo ancora più profondo chi già viveva ai margini della società, allargando ulteriormente la forbice delle disuguaglianze. Uno spaccato di questa problematica è stato descritto scrupolosamente dal recente rapporto dall’organizzazione umanitaria Intersos. Ha preso come esempio la Capitale. A Roma, secondo il rapporto, sono circa 8.000 quelli che vivono in strada, oltre il 15% del totale nazionale, a cui bisogna aggiungere circa 11.000 persone che vivono in occupazioni abitative e gli stranieri rimasti esclusi dal sistema di accoglienza. Con l’introduzione nel 2019 dei decreti sicurezza che hanno soppresso la protezione umanitaria, si è infatti verificato un forte aumento del numero di persone a cui viene negato il riconoscimento di una forma di protezione internazionale, che è passato dal 67% nel 2018 all’80% nel 2019 delle domande esaminate. Ciò vuol dire che i decreti hanno creato 60 mila migranti irregolari. Tutti esclusi dall’accoglienza e quindi anche dalla protezione durante l’emergenza coronavirus. Intersos ricorda che i piani nazionali adottati in risposta all’emergenza Covid prevedevano, tra le altre cose, limitazioni alla circolazione e misure personali per la prevenzione del contagio quali il lavaggio frequente delle mani e degli indumenti indossati, l'igienizzazione degli ambienti, la distanza tra le persone di almeno 1 metro, il divieto di assembramenti. A Roma, presa come esempio, è stato evidente che le condizioni di vita delle persone senza fissa dimora o in occupazione abitativa hanno reso, e rendono tuttora, molto difficile il rispetto delle misure. Nessuno ha, infatti, previsto misure specifiche per tutelare la salute delle persone in condizioni di marginalità.Vale la pena riportare una delle tante storie raccolte da Intersos. Asha ha 23 anni e viene dal Bangladesh. Vive a Roma con suo marito e i suoi due figli di 1 e 2 anni. Alla fine di maggio Asha ha dato alla luce il suo terzo bambino in un ospedale di Roma. È lì che ha conosciuto Anna, la referente del servizio immigrazione dell’ospedale. Osservando quel papà che tutti i giorni andava a trovare la moglie insieme ai loro due bambini più grandi, Anna non ha potuto fare a meno di notare il loro aspetto trasandato, così è andata a fondo e, parlando con Asha ha scoperto che l’intera famiglia non ha più una casa. Con l’inizio del lockdown, infatti, il marito ha perso il lavoro per tagli al personale e si sono ritrovati in mezzo alla strada. Hanno allora cercato aiuto tra i loro conoscenti finché una moschea non ha accettato di dar loro ospitalità, ma solo per la notte. Anna sa bene di non poter dimettere Asha e il suo bambino appena nato in queste condizioni, così si attiva per trovare una struttura che accolga tutta la famiglia, ma si trova la strada sbarrata: le accoglienze a Roma sono sospese a causa dell’emergenza sanitaria, non ci sono posti per questa famiglia. Non si dà per vinta Anna e riesce a trovare posto in una struttura del circuito diocesano. Per proteggere i propri ospiti però la struttura richiede un tampone negativo di tutta la famiglia. Asha e il più piccolo posso effettuarlo in ospedale, ma come si fa per il papà e per gli altri due bambini? È allora che Anna contatta Intersos, chiedendo aiuto. Attiva subito il Sisp per chiedere il tampone e l’inserimento straordinario in una struttura dove attendere l’esito. Solo dopo svariati passaggi e grazie al supporto di altri attori che operano sul territorio gli operatori di Intersos riescono ad ottenere l’inserimento in una struttura riservata all’isolamento del personale della Asl, che in via eccezionale accetta senza fissa dimora particolarmente vulnerabili. Ora il papà e i due bambini sono ospiti nella struttura e Asha e il piccolo li hanno raggiunti subito dopo la dimissione. Aspetteranno lì la fine dell’isolamento e finalmente potranno essere accolti nella struttura diocesana. Questa storia ha un lieto fine principalmente grazie ad Anna e alla fitta rete che si è creata negli anni per sopperire alla mancanza di coordinamento e alle lacune nella gestione di persone fragili nella capitale. Ma l’organizzazione umanitaria sottolinea che la tutela dei più vulnerabili non può essere affidata a procedure frammentarie e incerte, serve una prassi da seguire, soprattutto in un momento di emergenza sanitariaPer questo e altro ancora, il report di Intersos chiede di “ristabilire l’apertura delle accoglienze sospese dal Comune di Roma, nonché potenziarla con percorsi di inserimento sostenibili e di lungo termine”.