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«Basta con le interferenze». La riforma della Giustizia non era ancora arrivata sul tavolo di Palazzo Chigi quando già impazzava la polemica tra il ministro Carlo Nordio e l’Associazione nazionale magistrati. Uno scontro duro, a distanza, dopo mesi di tentativi di mediazione, da parte del Guardasigilli, e la costante minaccia di una protesta, da parte delle toghe, forse soltanto rinviata. E così, mentre si attendeva l’inizio del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera al ddl Nordio, il presidente del sindacato delle toghe già annunciava l’incostituzionalità delle norme.
Cosa prevede la riforma
Il ddl è il «primo passaggio per quella che si chiama giustizia giusta», ha detto al termine del Consiglio dei ministri Nordio, che ha rivendicato soprattutto l’abolizione dell’abuso d’ufficio, sul quale «ho sentito parecchie inesattezze sul vuoto di tutele che si realizzerebbe e che vuoto non è affatto». E ciò perché l’Italia ha il più «efficiente» sistema di tutele in Europa anche in fatto di corruzione, ha sottolineato. Giro di vite sulla pubblicazione delle intercettazioni da parte dei giornalisti, che potranno riportare solo i colloqui contenuti nei provvedimenti dei giudici, mentre è previsto lo stralcio, oltre che dei dati personali sensibili, anche di quelli relativi a soggetti diversi dalle parti, a meno che non siano rilevanti per le indagini. L’intervento non è quello che Nordio avrebbe voluto, ma è un punto di partenza, un modo per intervenire in concreto e «tutelare quelle terze persone che a loro insaputa vengono citate nelle conversazione di persone intercettate», a volte anche strumentalmente, e che ora finiranno nel cono d’ombra della impubblicabilità.
Il ddl prevede anche lo stop all’impugnazione delle sentenze di assoluzione, che rimane per i reati più gravi. «Se una persona è già stata assolta - ha spiegato il ministro - è irrazionale che il pm possa appellare», in nome del principio del ragionevole dubbio. Ma tocca seguire la Corte costituzionale e i limiti imposti in merito alla legge Pecorella, limitando così il campo d’azione della riforma. L’obiettivo è, però, quello di «cambiare la Costituzione».
Ridimensionato il traffico di influenze, mentre sarà un giudice collegiale a decidere la custodia cautelare in carcere, norma che entrerà in vigore tra due anni e enfatizzerà, ha detto Nordio, «la presunzione di innocenza: il carcere deve essere l'eccezione dell’eccezione». Introdotta una norma che accelera i concorsi e una che prevede l’interrogatorio di garanzia prima della misura cautelare, ma solo in caso di pericolo di reiterazione del reato, mentre tale possibilità è esclusa nei casi in cui si è sotto indagine per gravi reati.
Si interviene, poi, sull’avviso di garanzia, mettendo fine allo “sputtanamento” sui giornali. «Non è un bavaglio alla stampa - ha detto Nordio -, ma una enfatizzazione del diritto all’onore, alla riservatezza, alla vita civile, previsti dalla Costituzione». L’obiettivo, ha concluso il ministro, «è portare a compimento l’idea garantista di uno dei più grandi eroi della Resistenza, il professor Vassalli, il cui codice è stato snaturato». Nordio ha auspicato anche un contributo in «termini razionali» - e non «emotivi» - da parte delle opposizioni. «Siamo disposti ad ascoltare», purché le argomentazioni non siano le «vuote formule di estrazione metafisica ascoltate fino adesso, che non significano nulla e nascondono la povertà di idee».
«Finalmente si va nel senso delle garanzie del cittadino e non più, come era stato negli ultimi anni, soltanto a una visione di stampo populista e giustizialista, che metteva sotto i piedi i principi fondamentali sui quali la civiltà giuridica italiana è stata costruita - ha commentato al Dubbio Bartolomeo Romano, consigliere giuridico di Nordio -. Mi riferisco in particolare al rispetto pieno e integrale del principio di legalità, stabilito dall’articolo 25 della Costituzione, con il rispetto della tassatività e determinatezza che non erano minimamente garantiti dai testi previgenti su abuso d’ufficio e traffico di influenze, e anche a una maggiore attenzione e cautela nell’emissione delle misure cautelari, nella pubblicazione di dati sensibili e nel segno di una maggiore tutela della persona sottoposta alle indagini, con una rafforzata conoscenza dei contorni dell’accusa tramite la riforma dell’istituto dell’informazione di garanzia. Ed infine una limitazione all’appellabilità delle sentenze del pm, nel solco delle indicazioni che la Consulta aveva già dato in riferimento alla legge Pecorella».
Secondo Nordio, ad essere patologico non è il rapporto tra politica e toghe in sé, ma il fatto che «molto spesso la politica abbia ceduto alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi. Non è ammissibile: il magistrato non può criticare le leggi come il politico non può criticare le sentenze». È il Parlamento a decidere, ha detto ai microfoni di Sky Tg24, prendendo spunto dai molteplici interventi del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che in varie interviste ha preconizzato l’incostituzionalità della riforma e la sua pericolosità. Nordio non ha risparmiato critiche anche a chi, come Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, ha segnalato come pericolosa l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, utile come “reato spia”. «Mi stupisce che un magistrato parli di reato spia e ammetta che non è servito a nulla perché su 5mila indagini sono state pochissime le condanne - ha proseguito Nordio -. Vorrei insegnare a questo collega che un reato o c'è o non c'è, non è che puoi andare a cercare a strascico qualcosa cercando che sia la spia di un altro reato.
La replica di Santalucia
La replica di Santalucia è arrivata a stretto giro: è «inaccettabile», ha tuonato, quanto detto da Nordio. «Intanto ci troviamo di fronte a disegni di legge e quindi è importante un confronto con chi quelle leggi le applica ogni giorno - ha sottolineato -. Non contestiamo che decida il Parlamento nella sua assoluta sovranità, ma credo che il confronto sia doveroso», ha detto intervenendo a Metropolis, su Repubblica.it. Poco prima era stato Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Anm, a dire la sua: «Non credo si possa parlare di interferenza se i magistrati partecipano al dibattito pubblico sulle riforme, anzi credo sia nostro dovere farlo - ha sottolineato -. Non comprendo questi timori, le forze politiche opereranno ovviamente le scelte che riterranno più opportune, ma fornire degli elementi tecnici di valutazione è un nostro dovere istituzionale».