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Matrimoni di comodo e affidamento diretto della raccolta rifiuti. È con queste accuse che il sindaco di Riace Domenico Lucano è finito ieri agli arresti domiciliari, a conclusione di 18 mesi di indagini portate avanti dalla Procura di Locri. Che gli contestava gravissimi reati commessi assieme ad altri 30 indagati dei quali dopo la scrematura del giudice per le indagini preliminari è rimasta, però, ben poca cosa. Nessun fondamento, afferma in circa 130 pagine il giudice Domenico Di Croce, alla base delle accuse di associazione a delinquere finalizzata, a vario titolo, alla truffa, alla concussione e alla malversazione, accuse che per gli uffici giudiziari guidati da Luigi D’Alessio, invece, rimangono in piedi, tanto da aver annunciato l’impugnazione dell’ordinanza del gip. Lo spaccato che ne emerge, però, mette in chiaro una cosa: il business dell’accoglienza, denunciato da parte di quella politica che ha identificato nel primo cittadino uno sfruttatore degli immigrati per i propri fini, non esiste. Anzi, dove il reato c’è stato, è stato un reato di umanità.
Nessuno ha intascato i fondi destinati ai profughi, ai quali Lucano, con mezzi in alcuni casi contestati duramente anche dal giudice per le indagini preliminari, ha tentato di assicurare la permanenza sul territorio, anche attraverso matrimoni falsi, con lo scopo, si legge, di impedire lo sfruttamento della prostituzione a danno di alcune ospiti del progetto. «La gestione quantomeno opaca e discutibile dei fondi destinati all’accoglienza di cittadini extracomunitari tratteggia il Lucano come soggetto avvezzo a muoversi sul confine ( invero sottile in tali materie) tra lecito ed illecito», scrive il giudice in fondo all’ordinanza, ma «il diffuso malcostume emerso nel corso delle indagini non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delittuose delineate dagli inquirenti». Lucano che oggi verrà sottoposto ad interrogatorio di garanzia - è però finito ai domiciliari, in quanto sussiste, secondo il gip, il rischio di reiterazione del reato. Un sindaco che vive «oltre le regole», nell’ottica del «fine che giustifica i mezzi». E anche se il fine, come emerge dalle carte, è garantire agli immigrati arrivati a Riace «un miglior regime di vita», la legge non può essere scavalcata.
I finti matrimoni. È questo il punto più delicato dell’inchiesta, che vede coinvolta anche la compagna di Lucano, Lemlem Tesfahun, sottoposta al divieto di dimora a Riace. I due, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, avevano organizzato un finto matrimonio tra la donna e il fratello di lei, in Etiopia, grazie a certificati falsi, prodotti «per sfruttare lo status di coniugio con la donna, cittadina italiana, per ottenere l’ingresso in Italia». Piano non riuscito, anche a causa dell’arresto dell’uomo, beccato con i documenti falsi. Ma quella dei matrimoni era una pratica utilizzata già due volte per favorire la permanenza di due donne sul territorio italiano. Donne, si sentiva dire a Lucano intercettato, altrimenti costrette a prostituirsi. «Siamo abusivi - diceva il sindaco -, non c’è problema, gliel’ho fatti io i documenti, è illegale… sposati con qualcuno, come ha fatto Stella, che si è sposata con Nazareno, li abbiamo sposati in un attimo, io ho azzerato tutta la burocrazia». Un consiglio rivolto a Joy, «un’altra disperata, una ragazza nigeriana che a Napoli si prostituisce… le hanno dato due dinieghi, lei è disperata, non vuole tornare». Ovviamente, spiega, «è una procedura forzata ma non per imbrogliare, ma per venire incontro ad una ragazza che è stata sfruttata e umiliata». Una donna senza documenti, destinata all’espulsione per via del decreto Minniti, col quale Lucano era in forte disaccordo.
«Da un punto di vista umano ovviamente le possibilità che ha a Riace di non avere problemi sono più alte, si confonde in mezzo a tutti, però lei i documenti difficilmente ce li avrà - si disperava -. Io la carta d’identità gliela faccio, sono un fuorilegge, perché per fare la carta d’identità dovrei avere un permesso di soggiorno in corso di validità». Ma Lucano voleva aiutarla, quella «presa dalla strada», perché «non ha una lira e si prostituisce». Ma proprio durante la celebrazione delle nozze con un 70enne del luogo Lucano ha deciso di tirarsi indietro, a causa dell’evidente incapacità dell’uomo di comprendere fino in fondo il suo gesto, non ricordando nemmeno il nome della futura sposa: «almeno deve essere consapevole - sbottava Lucano -, non che lo prendete in giro perché lui è convinto che se ne va a casa a dormire con lei. Questo è umiliare un essere umano… fate quello che volete, la mia firma non ve la metto».
Le accuse smontate dal gip. Ma una parte significativa dell’ordinanza è dedicata alle accuse da cui tutto ha preso le mosse, fortemente criticate dal gip, secondo cui gli investigatori non avrebbero trovato riscontri, talvolta in maniera anche superficiale. Sull’affidamento diretto dei servizi di accoglienza, ad esempio, il giudice parla di «vaghezza e genericità del capo di imputazione», tale da non essere idoneo «a rappresentare contestazione provvisoria alla quale validamente agganciare un qualsivoglia provvedimento custodiale». Il solo riferimento a «collusioni ed altri mezzi fraudolenti che avrebbero condotto alla perpetrazione dell’illecito si risolve in formula vuota, ossia priva di un reale contenuto di tipicità». Non ci sarebbe dunque modo di capire, dalle mille pagine di richiesta presentate dalla Procura, quali motivazioni avrebbero sorretto l’ipotetica scelta di affidare i servizi senza alcuna procedura negoziale. E il giudice si spinge oltre, parlando di «errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio», laddove la Procura ipotizza l’acquisto di derrate alimentari non destinate agli immigrati e utilizzate per fini privati, con rendiconto di costi fittizi per ricevere dal ministero dell’Interno oltre 10 milioni di euro. Ma la Guardia di Finanza ha quantificato come illegittime tutte le somme incassate, senza considerare «l’effettivo svolgimento da parte di tali enti del servizio loro assegnato», evidenziato invece dal gip. Una «marchiana inesattezza», aggiunge Di Croce, secondo cui «gran parte delle conclusioni cui giungono gli inquirenti appaiono o indimostrabili, perché allo stato poggianti su elementi inutilizzabili (...) o presuntive e congetturali o sfornite di precisi riscontri estrinseci». Giudizio simile formulato nel caso dell’accusa di aver firmato 56 determinazioni di liquidazione false per il rimborso dei costi di gestione dei servizi Cas e Sprar. Insussistente anche la più grave delle accuse, quella di concussione: Lucano e Fernando Capone, presidente dell’associazione “CIttà Futura”, secondo la Procura avrebbero abusato della propria posizione per costringere il titolare di un esercizio commerciale a predisporre e consegnare fatture false per 5mila euro. Ma «gli inquirenti - scrive il gip - non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l’ipotesi investigativa», fidandosi delle parole del commerciante che avrebbe dovuto essere ascoltato in presenza di avvocato, in quanto indagato -, le cui dichiarazioni non sono mai state dimostrate. Una «persona tutt’altro che attendibile», sentenzia il giudice. Che elimina anche dubbi sulla malversazione: i soldi dell’accoglienza, non sarebbero stati usati per «soddisfare interessi diversi da quelli per i quali erano corrisposti». Una tesi «non persuasiva, poiché congetturale».