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Non sarà un voto come gli altri quello di fine gennaio per il rinnovo dei vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Perché dopo anni di armistizio, toghe e politica sono di nuovo impegnate in una guerra il cui scontro finale è rappresentato dal referendum sulla separazione delle carriere. Un appuntamento che consegnerà un risultato chiaro e netto, stabilendo non tanto il grado di fiducia, quanto quello di sfiducia, in una delle due parti. Giuseppe Santalucia, presidente uscente, di estrazione progressista, che ha mantenuto un profilo moderato ma mai remissivo, non si ricandiderà. Ma i temi sul piatto della contesa sono quelli che sono capitati per le mani a lui, “costretto” a destreggiarsi tra riforme poco gradite alla magistratura e attacchi a viso aperto soprattutto per le decisioni che hanno riguardato la gestione dei flussi migratori. La reazione della politica, in questi casi, è stata tanto feroce da compattare le correnti, pure divise in logiche che nulla hanno da invidiare alla geografia parlamentare. E così, gruppi lontanissimi tra loro si sono ritrovati ad organizzare insieme i comitati unitari referendari contro la riforma delle riforme, attesa in aula l’8 gennaio. Ma per il resto, sono logiche prettamente politiche quelle che accomunano o separano i gruppi associativi. È in questa chiave che vanno lette, secondo i critici più feroci del correntismo, anche molte delle decisioni prese dal Consiglio superiore della magistratura, dove gruppi ideologicamente contrapposti hanno trovato un punto d’incontro in nome di quello che, si vocifera negli ambienti, è un vero e proprio accordo elettorale. Il patto tiene insieme gruppi diversissimi tra loro: da un lato i progressisti di Area, dall’altro i moderati di Magistratura Indipendente, accusati spesso e volentieri di un collateralismo col governo che i vertici della corrente respingono a muso duro. Ma è un dato di fatto che negli uffici ministeriali le toghe fuori ruolo provengano tutte da quell’ambiente lì.
Sulla carta non ci potrebbe essere nulla di più diverso. Ma l’accordo, si vocifera nei corridoi di procure e tribunali, prevederebbe la nomina di un uomo di Mi alla presidenza e di uno di Area come segretario. Proprio per tale motivo, dunque, i due gruppi si sarebbero spesso trovati dalla stessa parte della barricata negli appuntamenti più delicati al Csm. L’ultimo caso è quello che riguarda il voto per i nuovi sostituti in Direzione nazionale antimafia, dopo Area e Mi hanno votato insieme. Ma poco prima lo stesso asse si è formato per il ben più complesso e delicato fascicolo sulla nuova circolare per le nomine. E pare che sia destinato a riproporsi per la nomina del vicesegretario del Csm, molto probabilmente di Area, per garantire - dicono voci di corridoio - l’equilibrio con il segretario di Mi. Le accuse di apparentamento vengono sistematicamente respinte dagli interessati. Che anzi rilanciano, accusando Unicost di polemizzare in chiave elettorale. Ma la strada sembra segnata, grazie anche alle scorie dello scandalo dell’Hotel Champagne, che ha decretato la caduta di Luca Palamara, all’epoca frontman di Unicost.
L’appuntamento alle urne è fissato per i giorni 26, 27 e 28 gennaio 2025 e le correnti - ad eccezione dei dissidenti di Articolo 101, unici favorevoli al sorteggio, che dovrebbero formalizzare la lista oggi - hanno già preparato gli schieramenti. Mi ha messo in campo 35 candidati, con un programma che si dichiara estraneo all’idea di una magistratura impegnata «ad elaborare ed attuare le trasformazioni della società». Il magistrato, dunque, non deve «farsi condizionare, nel proprio operato, dalla propria legittima ma individuale concezione della realtà», rivendicando i valori dell’indipendenza e dell’autonomia insieme a quelli della sobrietà e della moderazione. Il primo punto del programma riguarda la contrarietà alla separazione delle carriere, iniziative che metterebbe «a repentaglio il ruolo della giurisdizione e l’equilibrio tra i poteri dello Stato, dichiarandosi pronta ad ogni forma di protesta, nessuna esclusa». Il candidato forte sembra essere Antonio D’Amato, oggi procuratore di Messina, ma insieme a lui sono in corsa, tra gli altri, Giuseppe Tango, giudice del lavoro a Palermo, Walter Ignazzitto, aggiunto a Reggio Calabria, e Cesare Parodi, aggiunto a Torino. Il gruppo di Area, corrente dell’uscente Santalucia, propone 36 nomi - in prima fila sembra esserci Rocco Maruotti, pm a Rieti -, con un programma che mira alla contiguità con la presidenza uscente, alla difesa dei principi costituzionali di separazione dei poteri e a una aperta resistenza a «riforme che vogliono istituire due Csm, affidare la giustizia disciplinare ad una Alta Corte composta solo da magistrati di legittimità e da rappresentanti della politica e separare le funzioni giudicante e requirente: continueremo a denunciare lo svuotamento di principi voluti dai padri costituenti, che avevano ben presenti i precedenti venti anni di uso della giustizia contro i cittadini. Unità della giurisdizione e distinzione tra i magistrati solo per le funzioni esercitate sono pilastri dell’assetto democratico e della separazione dei poteri». L’altro gruppo progressista, Md, ha tra i propri 33 candidati due nomi che rientrano nella “lista nera” del governo. Il primo è Marco Patarnello, giudice di Cassazione finito nella bufera per un frammenti di un messaggio inviato in una chat privata e pubblicati sui giornali. Chat nella quale critica le politiche governative, invitando però a non fare opposizione politica, parte sapientemente tralasciata dalle cronache dei quotidiani di destra. L’altro è Emilio Sirianni, punito dal Csm con la mancata conferma per le sue conversazioni private con l’allora sindaco di Riace Mimmo Lucano, polemica già consumata ma recentemente rispolverata e tirata a lucido come se fosse nuova. «Abbiamo scelto di essere magistrati per essere soggetti soltanto alla Costituzione e alla legge - si legge sul sito di Md -, non per diventare ossequienti e inchinati a qualche “alta magistratura” o a qualche altro potere. Insieme possiamo fare dell’Anm il luogo dove difendere la dignità, il prestigio, la libertà di ciascun magistrato». Unicost, infine, con i suoi 35 candidati, propone «centralità e rispetto dei principi costituzionali, ripudio di ogni forma di convergenza e di collateralismo con forze politiche e con apparati esterni alla magistratura, attenzione al bene comune e tutela dello stato di diritto, impegno sul lavoro, attenzione alle condizioni ed alle modalità in cui esso si svolge, difesa della giurisdizione e della magistratura». Obiettivi: trasparenza e meritocrazia negli incarichi giudiziari, protezione dell'indipendenza dei magistrati da attacchi esterni o pressioni interne e comunicazione equilibrata dei magistrati, anche sui social media. Tra i nomi in campo quello di Marinella Graziano, giudice al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, e Gaspare Sturzo (pronipote del fondatore del Partito popolare), sostituto della procura generale della Cassazione.
Il risultato di queste elezioni non definirà solo il nuovo assetto dell’Anm, ma con molta probabilità anche il rapporto tra magistratura, politica e opinione pubblica. Una sfida che riguarda il futuro della giustizia e il peso dell’autonomia della magistratura nella nostra democrazia.