«“Ha sottratto un milione di euro”, la Cassazione respinge il ricorso di Lady Soumahoro». Questo è solo uno dei tanti titoli che, una settimana fa, campeggiavano sui giornali. Protagonista Liliane Murekatete, moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, privata non solo del diritto alla presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva, ma pure del nome. Perché in fondo, tutta la sua vicenda - iniziata con l’iscrizione sul registro degli indagati a novembre del 2022, dopo tre anni di indagini che riguardavano solo suo fratello e sua madre per il caso delle cooperative di migranti - è un eterno ritorno su Soumahoro e la sua attività politica. Un’attività subito sconfessata da una campagna mediatica che lo ha ingoiato e risputato fuori senza alcuna accusa giudiziaria, ma una condanna politica sancita dalla sua espulsione dal gruppo di Avs. Niente garantismo fino ad assoluzione definitiva, anche se il reato non è contestato a te.

L’ultimo capitolo di questa campagna mediatica è il milione che Murekatete avrebbe intascato, magari per comprare trucchi, borse e vestiti di lusso. Peccato che, però, quel milione di euro sia apparso solo nel provvedimento della Cassazione, probabilmente per una svista. Tant’è che mai la procura contesta a Murekatete di averlo sottratto. Si tratta, dunque, dell’ennesimo tassello di una vicenda dai contorni opachi.

L’errore si trova nelle motivazioni con le quali la corte di Cassazione ha motivato il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare, poi comunque revocata dal Tribunale di Latina su istanza dell’avvocato Lorenzo Borrè: sui giornali, che hanno strumentalizzato fortemente la vicenda per attaccare politicamente Soumahoro, “il deputato con gli stivali”, sono apparsi ampi stralci della pronuncia di Piazza Cavour, fondata su due elementi. Il primo: Murekatete si sarebbe appropriata di un milione di euro della cooperativa. Il secondo: nel periodo in cui era attinta dalla misura interdittiva dell'inibizione allo svolgimento di attività amministrative di società, avrebbe compiuto atti distrattivi. La Cassazione lamenta pure il fatto che Murekatete non abbia preso posizione su questi fatti. Ma si trattava di una pretesa impossibile, dal momento che non erano nemmeno contestati dalla procura né ritenuti sussistenti dal Tribunale del Riesame.

Quest’ultimo, infatti, spiega bene la vicenda: Murekatete, nella ritenuta qualità di componente del Consiglio di amministrazione, sarebbe responsabile, per culpa in vigilando, di un'omessa vigilanza sull'impiego di circa un milione di euro, che però non sarebbero stati riferibili alla stessa, indicata come beneficiaria di versamenti per circa 100.000 euro (circostanza comunque contestata dalla difesa). Il che significa che la Cassazione ha moltiplicato per 10 la somma contestata dalla procura. Per quanto riguarda il compimento di atti mentre era pendente la misura interdittiva, ovvero la consumazione del reato di bancarotta fraudolenta, è sempre il Riesame a chiarire i fatti: la bancarotta, infatti, non può che verificarsi solo al momento del fallimento e, dunque, nel momento della liquidazione giudiziaria della cooperativa, intervenuta mentre pendeva l'applicazione della misura. Murekatete, dunque, non ha distratto fondi mentre era interdetta dalle cariche associative: è stato solo l’intervenuto fallimento a dare a quella contestazione i crismi della bancarotta.
Insomma, una serie di «errori di percezione della Cassazione che hanno comportato non solo il rigetto del ricorso (superato dall' intervenuta revoca - dietro mia istanza - degli arresti domiciliari da parte del Tribunale di Latina nel giugno 2024) - sottolinea Borrè -, ma una nuova crocifissione pubblica di Murekatete per condotte oggettivamente inesistenti».

Non si sono accorti di nulla, infatti, i solerti giornalisti che, da ormai quasi due anni, sono impegnati in un’opera di mostrificazione senza precedenti. Mostrificazione che ha trovato il suo culmine nelle foto di Murekatete con borse, valigie ed occhiali di lusso, mentre si fotografava nell’ascensore di un hotel, accompagnate da frasi ad effetto che la volevano ricca a spese dei migranti. Foto che, però, risalgono a un periodo antecedente rispetto a quello in cui la donna ha lavorato con la cooperativa.
Le accuse mosse dalla procura di Latina nei confronti di Murekatete partono dal presupposto che la stessa abbia ricoperto il ruolo di consigliere d’amministrazione della Karibu. Su questa base è stato inizialmente contestato l'omesso controllo delle dichiarazioni dei redditi della cooperativa, firmate dalla madre, e quindi il mancato impedimento dell’utilizzo di fatture che si assumono soggettivamente inesistenti - perché emesse nell'ambito di una ritenuta somministrazione di manodopera, vietata dalla legge, e non già nell'ambito di un contratto di subappalto - per una cifra di poco superiore a 13mila euro.

L’arresto è arrivato un anno dopo la sua iscrizione sul registro degli indagati, a novembre 2023: l’accusa è di frode in forniture pubbliche, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio (per l'utilizzo dei proventi dei primi due reati). «Ad oggi, però, non si comprende - perché nel capo d'imputazione non è specificato - quali artifici e raggiri darebbero sostanza all'accusa di frode nelle forniture e quindi il quid pluris rispetto al distinto reato di inadempimento in forniture pubbliche», spiega ancora Borrè.

La difesa ha sempre contestato la ricostruzione della procura: Murekatete, afferma il legale, non ha mai giuridicamente ricoperto (e tantomeno esercitato) le funzioni di consigliere d'amministrazione, afferma. I verbali che la davano presente, infatti, rappresenterebbero un falso, come false sarebbero anche le firme ad essa attribuite e apposte nei verbali del CdA. Murekatete sostiene, inoltre, l'inesistenza giuridica delle delibere relative alla sua nomina alla carica di consigliere.

«Più volte è stato richiesto alla procura di acquisire gli originali dei verbali al fine di esperire una perizia calligrafica che consentisse di accertare la falsità delle firme da lei apparentemente apposte, ma la procura ha sempre disatteso la richiesta. Il paradosso, chiamiamolo così, è che pure dopo la denuncia per falso e sostituzione di persona - cui è stata allegata una perizia effettuata sulle copie dei verbali che accertava la falsità di quelle firme - la procura abbia svalutato la perizia di parte perché effettuata su copie, senza consentire, come più volte sollecitato, l'acquisizione degli originali e quindi una perizia su questi.

Anche il fatto che la presenza ad alcuni CdA sia incompatibile con le risultanze dei tabulati di geolocalizzazione di Murekatete è stata ritenuta irrilevante». Insomma: la falsità delle firme e il fatto di essere altrove non escluderebbero comunque la sua partecipazione.