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Uno a Roma, alla sinagoga di via Balbo, l’altro a Corleone, a inaugurare un commissariato di polizia. La festa della Liberazione ai tempi del governo del cambiamento si consuma così, con Luigi Di Maio e Matteo Salvini distanti non solo geograficamente. Nel tritacarne della contesa tra alleati finisce persino la Resistenza, e l’antifascismo contrapposto all’antimafia. Più che il «derby fascisti- comunisti», come lo aveva definito il ministro dell’Interno, ad andare in scena è il derby Lega- M5S. Solo il Consiglio, Giuseppe Conte, in visita all’altare della Patria prima e al Sacrario delle Fosse ardeatine poi, prova ad abbassare i toni.
Gli appelli all’unità però cadono nel vuoto i due partiti di maggioranza ci tengono a ostentare la loro incompatibilità, anche il 25 aprile. «Questa giornata divide chi non vuole festeggiarla», dice il capo politico M5S, rendendo omaggio ai caduti della Brigata ebraica. «Non solo si festeggia, ma si lavora per far sì che chi ci ha portato fin qui, i nostri nonni, siano onorati con il lavoro di un governo che deve realizzare ancora tante cose e attuare ancora tanti diritti sociali», spiega Di Maio, polemizzando col collega del Carroccio. «Questa giornata ci ricorda da dove veniamo e come siamo stati in grado di liberarci dal fascismo», insiste, affiancato dai ministri della Giustizia e della Sanità, Alfonso Bonafede e Giulia Grillo.
«La verità è che qualunque cosa avessi fatto io oggi, avrebbero fatto polemica», replica il segretario del Carroccio dalla Sicilia. «La scelta di stare in questa città in passato offesa dalla mafia sanguinaria dei Riina e dei Provenzano, proprio nel giorno della festa della Liberazione, è assolutamente in sintonia con chi rischia la vita indossando la divisa per liberare il Paese dall’occupazione della mafia», aggiunge Salvini, servendo l’assist all’altro vice premier che a distanza controbatte: «La mafia la combatti con l’esempio, non andando a Corleone». E l’esempio, secondo Di Maio, passa attraverso l’estromissione dal governo di Armando Siri, il sottosegretario leghista ai Trasporti indagato per corruzione. «Qui non stiamo parlando di garantismo, il garantismo c’è e Siri si difenderà, sono sicuro che risulterà innocente», afferma il leader pentastellato, «intanto lavoriamo alla questione morale, alla sanzione politica, altrimenti che senso ha dire che si festeggia a Corleone dicendo che si vuole eliminare la mafia». Ma l’inquilino del Viminale non ha alcuna intenzione di chiedere un passo indietro al sottosegretario con cui dice di aver già parlato. «Aspetta di essere interrogato», racconta il capo della Lega. «Ed è assurdo che un sottosegretario non venga interrogato un quarto d’ora dopo. Ma sono certo che la magistratura lo farà presto. Aspettiamo e intanto certo che resta al suo posto», chiosa senza ammettere repliche.
A chiedere una reazione forte all’alleato nel giorno della commemorazione della Resistenza però non è solo Di Maio. Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, a Napoli in mezzo alle bandiere dell’Anpi, preferirebbe ascoltare «risposte dure», da parte della Lega, «soprattutto se c’è in qualche modo odore di mafia». Poi, l’ortodosso del Movimento ritorna sulle polemiche legate al 25 aprile. «Questo è un giorno in cui dobbiamo rendere onore a chi ci ha liberato», spiega il presidente della Camera, da sempre lontano dalle posizioni salviniane. «L’Italia è risorta quando siamo entrati in una Repubblica straordinaria con una straordinaria Costituzione ed è finito lo schifo del fascismo», prosegue. «Da allora sono stati raggiunti traguardi enormi e che ci hanno portato ai valori che abbiamo oggi che non dobbiamo mai dare per scontati».
E tra coloro che non danno affatto per scontati quei traguardi spunta anche una rappresentante di spicco della Lega: Giulia Bongiorno, ministra della Pubblica amministrazione. «La memoria è un dovere. Ricordiamo con gratitudine le donne e gli uomini rimasti sui monti azzurri a far la guardia alla libertà», twitta la ministra, provando a gettare acqua sul fuoco.
Un altro 25 aprile è passato ma lascia sul piatto un ultimo quesito sulla resistenza, quella con la “r” minuscola, che riguarda la capacità degli alleati di governo di restare ancora insieme.