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L’agenda rossa di Paolo Borsellino, di fatto, è diventata un feticcio da esporre al pubblico, un simbolo da brandire come se fosse il libretto rosso di Mao. Sulla sua scomparsa si sono creati racconti suggestivi, ipotesi, una narrazione costante per tutte le stagioni. Eppure tutto tace sui documenti scomparsi dal suo ufficio della procura di Palermo il giorno stesso dell’attentato del 19 luglio 1992. Non se ne parla, sembra che non ci sia stato nessun approfondimento su questo episodio che non viene menzionato in nessuna sentenza o atti di indagine. Com’è possibile che tutti si concentrino sull’agenda rossa e non sui documenti, gli unici che potrebbero dare una risposta definitiva e inoppugnabile sulle sue indagini informali relative alla morte del suo collega e fraterno amico Giovanni Falcone? Anche perché, altro dato oggettivo, Borsellino non si sarebbe di certo presentato innanzi alla procura di Caltanissetta ( non fece in tempo ad andarci perché trucidato) con una agenda, ma con una memoria e documenti annessi.
Abbiamo solo una certezza sull’agenda rossa. Borsellino la usava per scrivere appuntamenti importanti che non trascriveva più nell’agenda grigia. Ciò lo si può riscontrare analizzando l’intera agenda: prima della strage di Capaci, Borsellino annotava tutto, anche quante volte si recava al ministero della Giustizia. Dopo invece ha omesso di trascrivere appuntamenti importanti come l’incontro con gli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno in caserma del 25 giugno per discutere del dossier mafia- appalti ( circostanza confermata anche dal magistrato Stefano Manduzio, intervistato per la prima volta dall’inviata di Radiorai uno Rita Pedditzi) oppure l’incontro avuto con il suo collega Fabio Salomone, fratello dell’imprenditore agrigentino ( menzionato nel dossier mafia- appalti come titolare dell’Impresem) che in un secondo tempo verrà indagato sul discorso della spartizione degli appalti pubblici per conto di cosa nostra. Eppure, Borsellino stesso, prima della strage di Capaci lo aveva già incontrato: lo si evince proprio dall’agenda grigia dove il 29 aprile 1992 annota l’incontro avvenuto all’abitazione estiva di Villagrazia alle ore 19 e 30. Sappiamo che incontrerà nuovamente Salomone il 29 giugno del 1992, ma in questo caso non è segnato sull’agenda grigia. Lo testimonierà sua moglie Agnese Piraino Leto: «Rimasero nello studio in un colloquio riservato per circa tre ore. Ricordo solo che quando lo accompagnò sul pianerottolo gli sentii dire a Paolo: «“Io ti consiglio di andar via dalla Sicilia”».
Perché ci si concentra sull’agenda rossa e non sui documenti che sono stati portati via dal suo ufficio in Procura? Come mai questo particolare viene sempre omesso durante le narrazioni mediatiche e nessuno ha preso la briga di indagare su questo importante episodio? Che Borsellino stesse raccogliendo vari elementi relativi alla causa dell’uccisione di Falcone per poter andare alla Procura di Caltanissetta, è storia nota. Avrebbe voluto riferire notizie sugli appalti e i motivi per i quali Falcone dovette lasciare la procura di Palermo. Lo ha testimoniato nel 2012 anche Carmelo Canale, il tenente dei carabinieri che fu l’ombra del giudice Borsellino. Di certo non si sarebbe presentato innanzi ai procuratori nisseni di allora con una agenda. Dove sono finiti i documenti e le sue eventuali annotazioni? Che siano scomparsi dal suo ufficio al secondo piano del palazzo di Giustizia di Palermo è un dato inoppugnabile. Lo hanno testimoniato innanzi ai pm di Caltanissetta, nel 2013, Manfredi e Lucia, figli del procuratore aggiunto di Palermo Borsellino. Il giorno dopo la strage del 19 luglio, infatti, raccontano di aver partecipato all’inventario dell’ufficio del padre della procura di Palermo e notarono la mancanza di tutti i fascicoli delle ultime inchieste che il magistrato stava seguendo. «Era chiaro che qualcuno aveva messo le mani in quella stanza - hanno spiegato - non c’erano fascicoli, né interrogatori legati alle inchieste sulle quali papà lavorava».
In sostanza sono stati fatti sparire, con tutta tranquillità e alcun clamore, i documenti dall’ufficio di Borsellino. Un fatto inquietante che la stessa moglie di Borsellino rivelò al giornalista Sandro Ruotolo, che rese pubblica la testimonianza solamente dopo la sua morte ( il 5 maggio 2013), rispettando il volere della signora. Cosa disse? «Il giorno dopo la strage - ha rivelato la signora Agnese prima di morire – la polizia investigativa entra dentro l’ufficio della procura di Paolo, ci vanno anche i miei figli Lucia e Manfredi: entrano e si accorgono che tutti i suoi cassetti erano stati svuotati, non c’erano né carte e né tantomeno i suoi appunti!». Un fatto gravissimo questo episodio, molto più inquietante dell’eventuale scomparsa dell’agenda rossa che, com’è detto, al massimo poteva esserci qualche riflessione e appuntamenti importanti non riportati nell’agenda grigia. Parliamo di documenti che scompaiono nel nulla dalla procura di Palermo.
A che ora sarebbe stato svaligiato l’ufficio di Borsellino? In qualsiasi ora fosse accaduto, in quell’indicibile giorno di trent’anni fa non poteva passare inosservato. I piantoni di servizio devono aver visto qualcosa. E i magistrati? Sicuramente sappiamo che alcuni di loro vi trascorsero la notte. Lo racconta l’ex pm Antonio Ingroia durante l’udienza del Borsellino Quater del primo aprile 2014: «La sera stessa del 19 luglio, quando dopo, diciamo, alcuni di noi magistrati tornammo in Procura dopo... dopo, quando era ormai notte alta, diciamo, per... per ragionare, riflettere insieme». Di fatto, qualcuno – piantoni o magistrati che siano - deve aver visto qualcosa. Emerge però un altro dettaglio. Dalla notizia Ansa del 20 luglio 1992, si apprende che nella mattinata, alla presenza dei figli Lucia e Manfredi, sono stati posti i sigilli all’ufficio di Borsellino, compreso il suo personal computer. Quindi l’inventario è stato svolto per mettere i sigilli. Ciò significa che l’ufficio è rimasto scoperto per tutto il pomeriggio e la notte del giorno prima. Chiunque, dunque, poteva accedere e senza che emergesse la manomissione dei sigilli visto che ancora non erano apposti. Sono mai state svolte le indagini su questo inquietante episodio? Hanno interrogato gli eventuali testimoni? La certezza che sia stato svuotato l’ufficio è un dato oggettivo e forse ancora non è troppo tardi per individuare i soggetti che vi entrarono. Che qualcuno avvertisse la necessità di far sparire qualsiasi documento di Borsellino, appare evidente anche quando, a distanza di diversi mesi dall’attentato, si verificò uno strano furto presso la villetta al mare del giudice, a Villagrazia, nella notte fra il due e il tre febbraio del 1993. Dalla casa, disabitata, sono stati portati via soltanto pochi spiccioli, circa 400 mila lire di allora, e qualche vaso. Sono stati i carabinieri di Carini ad accorgersi della porta d'ingresso sfondata, avvertendo a Palermo la signora Agnese. Pare che nella villetta, che il giudice e la famiglia abitavano in estate, il procuratore non avesse l'abitudine di custodire i suoi fascicoli. E infatti non c’erano. Questo strano furto, molto probabilmente è stato fatto per togliersi qualche dubbio. Ma, di certo, dall’ufficio di Borsellino, presso la procura di Palermo, i documenti sono stati fatti sparire. Mentre ci si concentra sull’agenda rossa, in questi trent’anni un fatto così importante sembra passato in sordina. Eppure si potrebbe fare ancora in tempo visto che gli eventuali testimoni dell’accaduto potrebbero essere ancora in vita. E magari si potrebbero recuperare tali documenti finiti insabbiati presso chissà quale anonimo fascicolo. Così come, d’altronde, a distanza di 24 anni, è accaduto con il ritrovamento dei brogliacci contenenti le intercettazioni dello pseudo pentito Vincenzo Scarantino. Ci si augura che questa volta la Direzione Nazionale Antimafia abbandoni la ricerca dell’entità ( leggasi “astratto”), e ritrovi un coordinamento tra procure affinché ricerchi quello che è ben definito.