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Allarme scuola. Il 34 per cento degli alunni di terza media non è in grado di capire un testo d’Italiano.
Un terzo del totale, dunque, secondo il Rapporto nazionale Invalsi 2019.
Lo studio che svela profonde differenze percentuali tra una regione e l’altra: mentre le Marche risultano la regione con la quota maggiore di studenti al livello minimo o superiore ( 74 per cento), la Calabria è invece la regione con la quota più bassa ( 51 per cento).
Stando al report, solo il 66 per cento degli studenti dell’ultimo anno di scuola media ha raggiunto il livello minimo. per la Matematica il quadro peggiora sensibilmente.
Il test Invalsi racconta un paese spaccato
Mentre il governo discute sulla realizzazione dell’autonomia, arriva il test Invalsi che racconta un Paese già spaccato, dove la questione meridionale invece di arretrare ritorna nell’ambito forse più delicato di tutti: la scuola.
I dati descrivono infatti un Sud in difficoltà, dove l’apprendimento in un settore chiave come la comprensione del testo arranca.
È un dato che non si deve enfatizzare: il test Invalsi è infatti tutt’ora contestato da molti insegnanti: si dice che non sia indicativo del lavoro svolto né della preparazione raggiunta.
Ma è un dato che non si può neanche ignorare e che deve essere considerato per ribadire come la formazione non possa essere regionalizzata, sottoposta alle regole “di classe”, organizzata sulla base dei territori che sono più ricchi.
La scuola è indispensabile per la democrazia
Questo vale per tutto, ancora di più per la scuola.
Oggi si discute tanto di come sconfiggere il linguaggio dell’odio e le fakenews. Giusto pensarle tutte anche dal punto di vista normativo.
Ma la vera sfida si gioca proprio nella scuola: è nella scuola che si insegna a rispettare le posizioni altrui e ad argomentare le proprie; è nella scuola che si distingue un testo da un altro, il vero dal falso, che si impara a riconoscere la composizione per esempio di un articolo di giornale.
O almeno così dovrebbe essere.
Il risultato del test Invalsi con il rischio sempre più concreto di due scuole, una di serie A al Nord e una di serie B al Sud, anche sulla base delle risorse disponibili da investire, mette a rischio questa sfida, che poi non è altro che la sfida per il futuro, la sfida di formare le nuove generazioni.
Il governo sta discutendo ora sull’articolo 12 della riforma delle autonomie, in cui si prevedono concorsi regionali e la chiamata diretta dei docenti.
I Cinque stelle sono contrari, mentre la Lega fa di tutto perché si arrivi a varare la riforma.
La questione meridionale
Sono passati tanti anni da quando Antonio Gramsci o Gaetano Salvemini ponevano al centro della loro riflessione la questione meridionale, che oggi però ritorna in tutta la sua urgenza.
È per questo che preoccupa la spinta autonomista delle Regioni più ricche, come Lombardia e Veneto, in settori chiave come quello della formazione.
La scuola è il cuore del vivere civile, è lì dove davvero si crea un Paese unito, omogeneo, che condivide gli stessi valore e gode delle stesse possibilità.
È da qui che parte anche la costruzione per il lavoro futuro, per una ricchezza che da culturale diventa imprenditoriale, è qui che si costruiscono le basi dell’uguaglianza. I
nvece proprio la Lega che oggi vince con la retorica nazionalista e sovranista rischia di mettere ancora più a repentaglio la coesione sociale e nazionale.
Qualsiasi governo, di destra, di sinistra, di centro, sovranista o europeista, non può che partire da un rilancio della scuola.
Un rilancio che deve passare in primis dall’investimento di molte più risorse, al Nord come al Sud. Soprattutto al Sud dove è importante colmare il gap che continua ad esistere.
La crisi della democrazia oggi conclamata richiede uno sforzo per ripensare le istituzioni, sfuggendo ai rischi di autoritarismo, ma per essere veramente sconfitta deve passare dalla scuola.
È lì che si formano i cittadini e le cittadine di oggi e di domani, che si può costruire una società che, comunque la si pensi, riconosca nella diversità un valore.
La difficoltà di capire un testo fa paura per questo: perché vuol dire che si riducono le possibilità, che ci si chiude nel proprio mondo, che non ci si apre all’altro.
Non è solo un semplice atto, non è solo un voto, una percentuale. È sbagliato prendere in giro gli utenti che sui social, inneggiando all’italianità, fanno errori, non capiscono ciò che leggono, sanno solo reagire con insulti e minacce.
È sbagliato perché non serve, è sbagliato perché non cambiano.
Una scuola di uguaglianza
Serve invece aiutarli a uscire dal proprio guscio di ignoranza, ricreare la basi per una scuola non élitaria ma fondata sull’uguaglianza, una scuola che creda anche in chi oggi vomita solo odio.
È l’unica strada possibile, l’unica strada che alla fine porta buoni risultati. Invece anche in questo caso sembra di correre verso il baratro.
Ps: Ieri un gruppo di consiglieri regionali della Lega per protesta ha indossato una maglietta in cui c’era scritto “Prima i Toscani”. Hanno però sbagliato la sillabazione e hanno scritto “Pri- ma- i- tos- ca- ni”, invece di “Pri- ma- i- to- sca- ni”. Nei consensi cresceranno ma quel futuro di cui parlo qui sopra è sempre più lontano...