Rese note le motivazioni con cui la Cassazione ha disposto il 5 luglio scorso un processo di appello bis per Alex Pompa, il giovane che nell'aprile del 2020 uccise con trentaquattro coltellate il padre a Collegno (Torino) al culmine dell’ennesima violenta lite familiare per difendere la madre, minacciata di morte dal coniuge per una questione di gelosia. Pompa, che ora porta il cognome della madre Cotoia, venne assolto in primo grado per legittima difesa e condannato, il 13 dicembre del 2023, dalla Corte d'Assise di appello di Torno a sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione.

Al giovane imputato era stata riconosciutala la semi infermità mentale. I giudici, oltre a condannare Alex, avevano disposto la trasmissione degli atti alla procura di Torino per valutare le deposizioni del fratello e della madre. In precedenza era stata investita anche la Corte Costituzionale della vicenda. Infatti ad ottobre dell’anno scorso era stata depositata (redattore Francesco Viganò) una sentenza molto importante per cui anche nei processi per omicidio commesso nei confronti di una persona familiare o convivente il giudice deve avere la possibilità di valutare caso per caso se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche.

La Corte di Assise di Appello di Torino alla luce della sentenza era chiamata solo a fissare l’udienza e quindi, avendo già preannunciato la volontà di riconoscere le attenuanti prevalenti sulle aggravanti del rapporto di parentela, a motivare il dispositivo condannando comunque il ragazzo ma alla pena più bassa. Anche il pubblico ministero si era detto favorevole a sollevare il dubbio. Comunque aveva chiesto una condanna a 14 anni, la pena minima possibile per un omicidio volontario.

Gli avvocati di Pompa, Enrico Grosso e Claudio Strata, avevano presentato ricorso in Cassazione con la sentenza di appello. Secondo gli ermellini innanzitutto i giudici di secondo grado, avendo emessa una sentenza diametralmente opposta a quella di primo grado, avrebbero dovuto motivare con «connotazioni più stringenti», a causa di un «obbligo peculiare e rafforzato della sua tenuta processuale, logica, argomentativa». Inoltre, si legge nelle 24 pagine scritte a Piazza Cavour, le Sezioni Unite hanno ribadito «che è l’introduzione del canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”» «ad aver guidato la giurisprudenza, nel senso che per una riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio» ma «occorre invece una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”».

In tale senso «il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Assise d’Appello di Torino non appare rispettoso dei parametri ermeneutici». Tra i punti di vulnerabilità della sentenza la mancanza di confronto dei giudici con «il contesto ambientale di estrema drammaticità» e «oggettivamente angoscioso» in cui si sono svolti i fatti quella sera. Di questo la Corte avrebbe pure dovuto tener conto prima di ritenere inattendibili le dichiarazioni degli unici due testimoni oculari, la madre e il fratello di Alex. I giudici di Cassazione (relatore Alessandro Centonze) scrivono anche che «l’esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa reale non sembra derivare da una corretta ricostruzione della dinamica dell’azione armata posta in essere dall’imputato in danno del genitore», «tenuto conto che le minacce di morte del padre, in conseguenza dell’intervento difensivo dei due fratelli, si indirizzavano, oltre che verso Maria Cotoia, anche nei loro confronti. Per quanto concerne l’esclusione della legittima difesa putativa, la Corte di Appello avrebbe dovuto prendere in considerazione il clima vessatorio in cui vivevano la madre e i figli e il fatto che l’atteggiamento intimidatorio del genitore rappresentava un modus operandi consolidato nel tempo».

A conferma di ciò il disagio psichico accertato con perizia nell’imputato. Per tutto questo i giudici dell’appello bis dovranno «rivalutare il contesto ambientale e familiare nel quale era maturata la vicenda criminosa». Le motivazioni della Cassazione aggiungono che «tale rivalutazione, invero, si impone alla luce del dato circostanziale non contestato, oltre che richiamato dalla stessa decisione censurata, che i fratelli Cotoia erano intervenuti anche in altre occasioni per proteggere la madre, tanto da diventare “guardie del corpo” della genitrice».

La Corte di rinvio, inoltre, «dovrà compiere una rivalutazione complessiva del contenuto delle trascrizioni delle registrazioni relative alle comunicazioni intercorse tra Alex Cotoia e il fratello Loris Cotoia, acquisite nel corso delle indagini preliminari, che sembrano fornire il quadro di una famiglia disfunzionale, caratterizzata da un clima fortemente conflittuale, nell’ambito della quale Giuseppe Pompa aveva maturato una gelosia ossessiva nei confronti della moglie e un’invasiva volontà di controllo dei comportamenti della consorte, contro cui si concretizzavano le sue abituali condotte vessatorie, che aveva imposto ai figli di proteggere la madre, costringendoli ad un ruolo gravoso, oggettivamente incompatibile con la loro età». Alex Cotoia al momento del tragico evento aveva infatti solo diciannove anni.