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«Eravamo sul divano, a casa, in via dei Piatti. Muti. Enzo aveva deciso, su consiglio dei suoi avvocati, di non presenziare all’udienza in Corte d’appello. Ascoltavamo in diretta su Radio Radicale la voce di questo magistrato, Michele Morello, che della Corte era il giudice relatore. Più andava avanti, più ci guardavamo increduli. Era un’altra storia». E quella storia si sarebbe conclusa con la lettura del dispositivo che forse più di qualunque altra provoca e provocherà per sempre i brividi: parliamo della sentenza con cui Enzo Tortora sarà assolto, il 15 settembre 1986. La lesse il presidente del collegio Antonio Rocco, e al suo fianco c’era il giudice relatore che Francesca Scopelliti, compagna di Enzo, ascoltò quel giorno da lontano, grazie alla radio di Marco Pannella. Ebbene, Morello non ha fatto la carriera di Lucio di Pietro e Felice di Persia, cioè dei colleghi che Tortora lo avevano fatto condannare in primo grado. Non abbiamo sentito parlare quasi mai di lui, se non grazie allo splendido documentario in cui la Rai, poche settimane fa, lo ha addirittura intervistato. Ma adesso c’è chi si ricorda di insignire quel garbato e coraggioso signore, finalmente, e non più i carnefici di Enzo, come hanno fatto diverse, ineffabili consiliature del Csm.
A Morello infatti è andato il Premio internazionale Nassiriya per la pace, riconoscimento promosso dall’Associazione Culturale Elaia col patrocinio di presidenza del Consiglio e ministero della Difesa. A ritirarlo dalle mani di Giuseppe Antoci, lo scorso 10 novembre a Marina di Camerota, è stato il figlio di Michele Morello, Tullio, a propria volta magistrato e attuale consigliere Csm. Tullio può vantare un piccolo, coraggioso atto di fede compiuto quando ancora il papà non aveva assolto Tortora: diede al presentatore e giornalista il primo voto da diciottenne.
Tornato dal seggio, il padre e giudice gli chiese chi avesse scelto. Il figlio non esitò: «Ho votato per il Partito radicale, e per Enzo Tortora». «Ma come», fu la replica, «voti per un indagato?». Poi, quel 15 settembre dell’ 86, appena Michele entrò in casa di ritorno da Castelcapuano, il figlio disse: «Così io avrei votato per un indagato?...». E si abbracciarono.
Nelle motivazioni che accompagnano l’assegnazione del premio Nassiriya a Michele Morello, si legge: “Il giudice Morello, senza enfasi mediatiche, con la forza della sua cultura giuridica e la pace della sua coscienza, studiò le carte processuali, riportando la vicenda giudiziaria sui binari della verità e mettendo fine ad uno dei più clamorosi casi di malagiustizia verificatisi in Italia”. È la frase che Francesca Scopelliti ha pronunciato il 18 maggio scorso a Montecitorio, all’evento celebrato nel trentacinquesimo anniversario della morte di Enzo. Il cerchio non si chiude: casomai, finalmente, quella traiettoria segnata da tanti atti discutibili comincia ad assomigliare, almeno un po’, a un arcobaleno.