LE IPOTESI DI MODIFICA PRESENTATE DA ROSSOMANDO E SERRACCHIANI

A iutare i sindaci ad operare con più tranquillità, ma senza colpi di spugna che allontanerebbero l’Italia dagli «standard comuni alle altre principali democrazie».

Il Pd si schiera con il partito dei sindaci, depositando due proposte per modificare la legge Severino e in materia di responsabilità politica e amministrativa.

A «Modificheremo la legge Severino» : Il Pd si schiera col “partito” dei sindaci

Le proposte dei dem: stop alla decadenza dopo la sentenza di primo grado e responsabilità amministrative più chiare

A iutare i sindaci ad operare con più tranquillità, ma senza colpi di spugna che allontanerebbero l’Italia dagli «standard comuni alle altre principali democrazie». Il Pd si schiera con il partito dei sindaci, depositando due proposte per modificare la legge Severino e in materia di responsabilità politica e amministrativa. Due proposte, secondo la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, il senatore Dario Parrini e i capigruppo di Camera e Senato, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che consentirebbero di eliminare la paura della firma, senza la necessità di intervenire ulteriormente sull’abuso d’ufficio. Dibattito, quest’ultimo, al quale comunque i dem si dicono pronti a partecipare, pur non nascondendo la convinzione che le modifiche plausibili sono già state tutte fatte con la riforma del 2020. Il primo ddl punta a modificare la parte della legge Severino - gli articoli 8 e 11 - che prevede la sospensione dalla carica dei sindaci, condannati per reati non colposi contro la pubblica amministrazione e altri reati gravi, dopo la sentenza di condanna in primo grado, dunque suscettibile di cambiamento nel corso dell’iter processuale. Una proposta che parte dall’analisi della casistica degli ultimi anni, dalla quale è emerso «un problema oggettivo di bilanciamento tra lotta all'illegalità da una parte e salvaguardia dell'efficienza e della stabilità delle amministrazioni dall'altra». Per tale motivo, «risulta opportuno un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione, in particolar modo in relazione ai reati che appaiono senza dubbio di minore pericolosità sociale». Il secondo, invece, prevede una modifica dell'articolo 50 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in materia di competenze del sindaco e del presidente della provincia, «ridisegnando la responsabilità politica e amministrativa dei suddetti soggetti e prevedendo, in modo chiaro e netto, che il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili politicamente dell’amministrazione del comune e della provincia». Verrebbe dunque chiarito il confine tra responsabilità politica e responsabilità dei dirigenti amministrativi, sopprimendo quell’articolo del Tuel che attribuisce all’organo politico il compito di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti. E ciò per evitare casi come quello della sindaca di Crema, finita sotto indagine per lesioni colpose dopo il ferimento di un bambino in un asilo.

«Sappiamo che c'è anche un dibattito sul reato di abuso d'ufficio - ha evidenziato Rossomando -. Noi non abbiamo nessuna preclusione a discutere, tuttavia, dopo le modifiche che sono intervenute in particolar modo nel 2020, che ne ha ristretto molto l'ambito, e dopo l'entrata in vigore della riforma Cartabia, che prevede che non si richiede il rinvio a giudizio se non c'è una ragionevole certezza della probabilità della condanna» il reato può dirsi svuotato. Se ne può parlare, dunque - magari distinguendo meglio tra atti vincolati e atti discrezionali - ma i due interventi pensati dal Pd - e che nascono da una riflessione avviata già nella scorsa legislatura - dovrebbero bastare, secondo i firmatari, ad affrontare le questioni più sentite dai sindaci. E anche a raccogliere il consenso di quelle forze politiche che precedentemente stavano al governo proprio con i dem.

D’altronde un’abolizione della legge Severino non è pensabile -questo il messaggio inviato al centrodestra - anche all’esito del referendum, rispetto al quale i dem hanno rivendicato la loro scelta di affrontare la questione in Parlamento. «Mi pare che il popolo si sia espresso facendolo fallire», ha evidenziato Parrini. Ma certamente questo «non impedisce di correggere un punto specifico», ovvero i 18 mesi di sospensione attualmente previsti dalla norma, che rappresentano «una lesione spesso irreparabile nel lavoro di un sindaco alla guida di una comunità. Ci sono sproporzioni ed eccessi che vanno assolutamente modificati e questo disegno di legge in maniera puntuale va in questa direzione. Riproponiamo il nostro punto di vista, sicuri di essere nel giusto e speranzosi di incontrare consenso largo» . Anche perché «viene un po’ da mangiarsi le mani - ha aggiunto Malpezzi -, perché la richiesta forte dei sindaci rispetto a norme che noi avevamo preventivato di riuscire a fare nella scorsa legislatura» e naufragate quando erano quasi arrivate al traguardo «fa sentire quasi la politica impotente». L’altro disegno di legge, invece, riprende l’esito di un lavoro avviato dal Viminale nella scorsa legislatura per riformare il Tuel e punta anche a rendere permanente la norma che prevede l'imputabilità per responsabilità erariale degli amministratori soltanto in caso di dolo, superando dunque la scadenza oggi fissata al 30 giugno 2023. Sono scelte «nell’ottica della continuità, non c’è nessuna improvvisazione», ha evidenziato Serracchiani, che ha lanciato un appello al governo per attuare la riforma Cartabia, che oggi «darebbe soluzione a molti dei problemi sollevati dai sindaci». Un’occasione per manifestare preoccupazione di fronte a «questi atteggiamenti scomposti di stop and go» da parte della maggioranza e «in contraddizione con quelle che in campagna elettorale erano in qualche modo le linee politiche» in tema di giustizia, «che è uno dei pilastri del Pnrr», messo in crisi dall’atteggiamento del governo. Ma a mettere in difficoltà il ministro Carlo Nordio sono soprattutto «il ministro stesso e la maggioranza, dove ci sono spinte contrapposte», ha sottolineato Rossomando. Non sono mancate le stoccate a Carlo Calenda dopo l’incontro con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Perché i principi, hanno sottolineato i dem, non sono negoziabili. «Se quello che ci aspetta sulla giustizia sono tagli e modifiche all’articolo 27 - ha concluso Serracchiani - il Pd non andrà a palazzo Chigi. Il luogo in cui le forze politiche di opposizione cercano punti di intesa con le forze di maggioranza sia il Parlamento: non ci interessano le gite fuori porta».