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Antonino Gioffrè
«Sono sollevato: dopo tre anni di calvario giudiziario, la sentenza di assoluzione per me rappresenta la fine di un incubo. Ma avere pagato un prezzo così alto pur non avendo commesso assolutamente nulla mi provoca anche molta rabbia e frustrazione. Soprattutto nei confronti di uno Stato che anziché proteggermi, mi ha messo agli arresti».
A pochi giorni dall’assoluzione dall’accusa di scambio elettorale politico mafioso disposta dal tribunale di Palmi «perché il fatto non sussiste», Antonino Gioffrè tira un sospiro di sollievo per un incubo che gli è costato, tra le altre cose, 16 mesi di arresti domiciliari. Tre volte sindaco di Cosoleto – minuscolo centro dell’Aspromonte tirrenico con poco più di 500 abitanti – Gioffrè era stato arrestato nel maggio del 2022 nel filone calabrese dell’indagine “Propaggine” e mandato ai domiciliari con la pesantissima accusa di avere stipulato un accordo illecito con i referenti cittadini della cosca Alvaro in occasione del rinnovo del Consiglio comunale.
Un’accusa smontata due volte dalla Cassazione, che nella sentenza di rinvio al Tribunale della Libertà aveva bollato le accuse della distrettuale antimafia dello Stretto nei suoi confronti come «affette da vuoti argomentativi» e «segnate da strappi in cui il ragionamento deduttivo sconfina nell’illazione». Un’accusa caduta solo venerdì scorso in seguito all’assoluzione piena arrivata in primo grado su richiesta della stessa procura antimafia. Cinquanta anni, imprenditore agricolo con interessi anche nel turismo e nella ristorazione, Gioffrè era stato eletto sindaco per la prima volta nel 2008, venendo riconfermato poi nelle due tornate successive. Un’esperienza intensa e complicata in una terra in cui il peso della ’ ndrangheta risulta spesso opprimente e che era passata, indenne, anche attraverso il vaglio di due distinte commissioni d’accesso che, inviate in Comune dalla Prefettura reggina a distanza di pochi anni l’una dall’altra, avevano certificato la legittimità dell’operato dell’amministrazione comunale.
Almeno fino all’arresto dell’ex sindaco – all’epoca dei fatti anche vice presidente del parco nazionale d’Aspromonte – visto che la terza commissione prefettizia, arrivata in Comune a seguito dell’indagine, ne suggerì il commissariamento, arrivato puntuale nel novembre dello stesso anno e prorogato poi per ulteriori 18 mesi dal ministro Piantedosi. «Certo il mio arresto ha cambiato le carte in tavola e il calibro delle accuse mosse nei miei confronti ha fatto il resto, portando al commissariamento dell’ente. Difficile però non vedere una sorta di accanimento. Anche perché, dalle migliaia di intercettazioni effettuate in tre anni di indagine, non emerge mai il sospetto di un accordo politico mafioso tra me e la ’ ndrangheta. Anzi, leggendo le carte con i miei avvocati ci siamo resi conto di quanta rabbia quell’ambiente provasse nei miei confronti per non avere ceduto alle loro richieste.
Nelle intercettazioni effettuate nella casa di uno degli imputati – condannato per associazione mafiosa in primo grado ma assolto dall’accusa di scambio politico mafioso in cui era coinvolto anche Gioffrè, ndr – si sentono gli insulti nei miei confronti e le minacce esplicite: da “a quello appena scendo gli faccio la faccia come un pallone” fino all’ipotesi, per fortuna mai diventata concreta, di un attentato dinamitardo nei miei confronti. Leggendo quelle carte mi sarei aspettato che lo Stato mi offrisse solidarietà e protezione e invece sono venuti ad arrestarmi. Ma la cosa che mi fa un po’ sorridere – racconta ancora Gioffrè – è che gli stessi tre funzionari che erano arrivati due volte in municipio per verificare il nostro operato e che non avevano rilevato nulla di irregolare durante le loro ispezioni, siano stati nominati dalla stessa Prefettura come commissari straordinari in Comune».
Oggi, dopo tre anni di commissariamento, in Comune siede un nuovo sindaco eletto nella primavera scorsa con l’unica lista che si era presentata alle elezioni. «Non era mai successo – racconta ancora Gioffrè al Dubbio – che a Cosoleto venisse presentata un’unica lista. Mi sembra evidente che sia una diretta conseguenza di quello che è successo. Ora la gente quando sente la parola “politica” scappa. Molte persone, e non mi riferisco solo al caso di Cosoleto, hanno smesso di impegnarsi direttamente in politica proprio per paura di finire indagati con accuse campate in aria come nel mio caso. Ormai in questo periodo in Calabria, e soprattutto nel reggino, viviamo una sorta di rivisitazione italiana del maccartismo statunitense degli anni ‘ 50. Solo che ora non cercano fantomatici comunisti da mettere all’indice, ma amministratori da indagare senza uno straccio di prova».