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È la «prima volta» che «lo Stato si toglie la benda che ha avuto finora e apre gli occhi per guardare a 360 gradi la situazione». Lo ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, affermando che «sul tema degli affidi la maggioranza politica che oggi è al governo ha la massima concentrazione».
«In un momento in cui qualcuno osa insinuare che non ci sia volontà di parlare di queste tematiche, cancelliamo questo dubbio: la maggioranza politica ha concentrazione massima non solo per parlarne, ma anche per agire concretamente, tutti uniti e compatti». Quello del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sembra quasi una manovra per compattare la maggioranza, dopo gli scossoni degli ultimi giorni e in risposta a chi, fino a ieri, era al governo.
Il pretesto, con due settimane di anticipo sulla tabella di marcia, viene dal “Caso Bibbiano”, con i primi risultati della Task Force voluta dal ministero per monitorare il sistema degli affidi. E i numeri grezzi della fase uno - per la «prima volta» in cui «lo Stato si toglie la benda» -, per quanto freddi «non sono allarmanti», assicura Bonafede: nel periodo dal primo gennaio 2018 al 30 giugno 2019, i minori allontanati dai propri genitori sono stati, complessivamente, 12.338, circa 23 al giorno, su un totale di 9,8 milioni di bambini e adolescenti, dei quali 1540, poi, conclusi con un rientro nella famiglia d’origine, ovvero il 12,5%.
Numeri, al momento, privi di valutazione qualitativa: «dobbiamo capire le condizioni di disagio sociale - ha sottolineato il guardasigilli -. Ma è la prima volta che il ministero ha la possibilità di avere questi dati». Ma cosa dice l’indagine circa i fatti dell’inchiesta “Angeli e Demoni”? E 12.338 affidi sono troppi o pochi? Impossibile, al momento, rispondere, giura il ministro. Ma un dato certo, dall’Emilia Romagna, viene dato dal presidente del tribunale dei minori di Bologna: nello stesso periodo monitorato dal ministero, in Emilia gli allontanamenti sono stati 249 e di questi circa la metà dei ragazzi sono rientrati in famiglia. «Numeri bassissimi», ha commentato il giudice Giuseppe Spadaro.
Il monitoraggio ha consentito di verificare anche la natura degli stessi affidamenti: 8.722 sono stati disposti da un tribunale, mentre la parte restante dagli altri uffici. E il collocamento in comunità dipende dalla mancanza di famiglie disposte ad accoglierli o su precisa richiesta degli stessi minori, in particolare gli adolescenti. Dati che arrivano da un monitoraggio su 213 uffici su 224, ossia il 95% del totale. Negli stessi 18 mesi, inoltre, sono state 5.173 le ispezioni ordinarie o straordinarie effettuate negli istituti di assistenza pubblici o privati, ossia a circa 9 al giorno.
«La squadra si era data compiti importanti e ambiziosi - ha spiegato Bonafede - ovvero il monitoraggio dell’applicazione della normativa, la raccolta di proposte e la creazione di una banca data nazionale degli affidi». Un monitoraggio che rischiava di essere interrotto dalla crisi di governo, «la mia più grande paura», ha confidato Bonafede.
Ma il ministro è riuscito a concludere ieri la fase uno, restituendo intanto l’entità del fenomeno. «Non agiamo per allarmare qualcuno», anzi, «non è un dato allarmante ha spiegato -. Vogliamo, semmai, tranquillizzare i cittadini, dicendo che c'è una maggioranza politica che concentra l'attenzione, per la prima volta, proprio sui bambini, per garantire un sistema che protegge bambini e famiglie». Le criticità riguardano l’eterogeneità delle esperienze e lo spezzettamento del percorso del minore, che risulta, così, non sempre sotto controllo.
La fase due sarà perciò caratterizzata da un lavoro di riflessione sui numeri, sullo sviluppo della banca dati e sullo studio di nuove possibili linee d'azione per rendere l’attuazione delle leggi omogenea. «È necessario prevedere un termine di scadenza dell’affidamento, salvo proroghe, con un monitoraggio semestrale ha aggiunto -. Serve una revisione della disciplina dei collocamenti, con una tempestiva valutazione da parte del tribunale dei minori e un protocollo normativo peri provvedimenti d’urgenza che non tolga il controllo allo Stato in nome dell’emergenza».