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L'attuale disciplina dell'adozione piena non impedisce al giudice di prevedere, nel preminente interesse del minore, che vengano mantenute talune relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d'origine. È quanto si legge nella sentenza n. 183 depositata oggi (redattrice la giudice Emanuela Navarretta), con cui la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull'articolo 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983, e ha precisato i termini della sua interpretazione conforme a Costituzione.
La Corte ha chiarito che il riferimento nella disposizione alla cessazione dei rapporti con i componenti della famiglia d'origine riguarda sempre i legami giuridico-formali di parentela. Diversamente, per le relazioni di natura socio-affettiva non si può ritenere, in termini assoluti, che la loro cessazione realizzi in ogni caso l'interesse del minore. Non è, pertanto, precluso al giudice verificare in concreto che, “sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità”, risulti nel suo preminente interesse mantenere “significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d'origine”, che non possono “sopperire allo stato di abbandono” del minore stesso.
Emblematico è il caso della relazione tra fratelli e sorelle non adottati dalla stessa coppia. Ai fini dell'accertamento in concreto del preminente interesse del minore, la Corte ha sottolineato l'importanza che riveste nella disciplina in materia di adozione l'ascolto dell'adottando. Inoltre, ha rilevato come tale disciplina consenta già ora al giudice di tenere adeguatamente conto di tutti gli interessi coinvolti.