Finora si è sempre rifiutato di concedere la resa, quelle dimissioni che gli avrebbero garantito, subito, la libertà. Ma la presidenza di una Regione, dice Giovanni Toti, governatore della Liguria ai domiciliari dal 7 maggio con l’accusa di corruzione, non è un bene personale, è un bene collettivo. Ed è per questo che ha deciso di aprire uno spazio di riflessione sul tema, l’unico che sembra interessare alla magistratura, iniziando dai collaboratori politici più stretti. Una riflessione che, però, parte da un presupposto: la convinzione di essere «innocente» e di aver agito nel solo interesse della Regione. E di aver compreso, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del Riesame, ogni addebito, ogni accusa.

La riflessione di Toti è condensata in una lettera indirizzata al suo avvocato, Stefano Savi, al quale affida il compito di dargli la voce che da oltre due mesi non può spendere in pubblico. «È chiaro - afferma il governatore - che oggi per me la poltrona di presidente è maggiormente un peso che un onore. Forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto mosso sul mio operato», si legge nella missiva di cinque pagine. Ma la presidenza di una Regione «è un patrimonio collettivo. Di chi l’ha votata, di chi l’ha sostenuta, di coloro che si sono spesi per una avventura politica. Ho sperato, e spero ancora, che giustizia e politica possano rispettare i propri ruoli e le proprie prerogative. Che, mentre i pm legittimamente indagano, la politica, con le sue regole, i suoi riti, le sue aule, possa fare le proprie considerazioni per il bene comune - scrive Toti -. Sembrano regole astratte, ma si chiamano Democrazia. Nei prossimi giorni, con il permesso dei magistrati, tornerò ad incontrarmi con gli amici del mio movimento politico, gli alleati, e tutti coloro che potrò vedere per parlare di futuro. E le scelte che faremo saranno prima di tutto per il bene della Liguria a cui oggi tutta l’Italia dovrebbe guardare con grande attenzione».

Nessun rischio di inquinare le prove, dice Toti, per cui via libera alla penna. Con la quale sottolinea come la sua «proposta politica» sia stata trasformata in un «reality show, all’insaputa dei partecipanti». Con intercettazioni telefoniche, ambientali, pedinamenti durati quattro anni, anni in cui la sua vita personale e politica è stata passata al setaccio. «Da tutta questa enciclopedica opera di controllo emerge una ipotesi di reato che ancora mi stupisce - afferma -. Emerge che il Comitato politico Giovanni Toti Liguria, che ha sostenuto le campagne elettorali di molti in Liguria, riceveva finanziamenti da soggetti privati. Soldi tracciati, regolari, iscritti dove la legge prevede, in entrata e in uscita. Emerge anche che mi sono interessato ad alcune pratiche che ritenevo importanti. Là dove era legittimo, si è fatto. Dove non lo era, non si è fatto. Quindi, soldi regolari, pratiche regolari. E allora quale è l’accusa? L’accusa è di essermene occupato: dal buon esito di quelle situazioni, se legalmente possibile, a mio avviso, dipendevano posti di lavoro e ricchezza per il territorio. Credo che ogni amministratore faccia lo stesso, quotidianamente».

Pratiche che riguardavano un finanziatore, Aldo Spinelli, sostenitore di Toti ben prima che diventasse governatore, afferma, «perché riteneva, fortunatamente come molti altri, che la nostra politica fosse migliore delle alternative». E le pratiche, dice, «non riguardavano» solo gli interessi di Spinelli, ma «per molti aspetti l’intero porto, molti soggetti chiamati ad investire a Genova nei prossimi anni per accrescere la competitività del nostro scalo in un'ottica europea». L’inchiesta, però, secondo Toti, racconterebbe la vicenda da un’unica prospettiva. «Ho sempre pensato che sarebbe stato scorretto, al limite anche un reato, trattare in modo diverso le persone a seconda che ti avessero finanziato oppure no - prosegue il governatore -. Tra chi ti avesse votato oppure no. Dalla mole di materiale raccolto in quattro anni non sarebbe stato difficile, spero si possa fare in giudizio, quando ci sarà, verificare che la stessa attenzione riservata alle pratiche oggetto dell’inchiesta l’abbiamo riservata a tutti coloro che facevano impresa in Liguria. Non scrive la verità chi sostiene una nostra attenzione particolare per Aldo Spinelli e le sue imprese. Gli stessi pranzi, le stesse telefonate, gli stessi viaggi per incontrarli, gli stessi interessamenti sono stati riservati a tutti coloro che lavoravano ed investivano nel nostro territorio. A prescindere che fossero finanziatori o meno, sostenitori politici o meno. A prescindere da tutto, tranne la loro volontà di investire».

Tutto sta nelle carte, Toti ne è sicuro. E risponde ai giudici del Riesame che, di fatto, hanno affermato che il governatore non ha compreso l’accusa. «Ho capito benissimo cosa mi viene addebitato - sottolinea -. Per i magistrati sarebbe reato essermi interessato ad un pratica, pure se regolare, perché interessava ad un soggetto che ha versato soldi al nostro movimento politico, pure se regolarmente. Che, per paradosso, vuol dire che se mi fossi interessato alla stessa pratica di un imprenditore che non ci ha mai sostenuto, non sarei stato corrotto. E se l’imprenditore avesse finanziato un movimento politico di cui così poco stimava la politica e i leader, tanto da non parlargli neppure dei suoi progetti, non sarebbe stato un corruttore. Mi si perdoni, ma pur capendo, non sono d’accordo. Pur avendo confermato ai magistrati punto per punto quanto accaduto, senza nascondere nulla. E tuttavia la reiterazione di quel reato resta impossibile. Mi è perfettamente chiaro infatti che è di questo che sono accusato, e, ovviamente, pur non essendo d’accordo con l'accusa, evidentemente eviterei di farmi accusare nuovamente della stessa cosa».

Come potrebbe una persona sana di mente, si chiede Toti, ripetere la stessa cosa che lo ha fatto finire ai domiciliari o chiedere a chi è finito ai domiciliari di aiutarlo con una pratica? Difficile da immaginare. «Eppure è per questo che sono ai domiciliari: perché, pure confinato nel paesino di Ameglia, sospeso dalla carica, per il solo fatto di poterla ancora un giorno ricoprire, ormai per poco tempo per la verità, potrei nuovamente interessarmi ad altre pratiche e un imprenditore potrebbe donarci dei soldi - aggiunge -. Tutto alla luce del sole, perché non risulta un solo euro non tracciato. Vi sembra possibile? Sarà giustizia, caro Avvocato, ma non la percepisco come tale. Perché ricordiamoci sempre, nessuno è stato ancora condannato, nessuno sta scontando una pena. Parliamo di limitazioni alla libertà precedenti ad ogni giudizio».

Il futuro voto in Liguria è per Toti «come una liberazione», perché «sono certo» che i cittadini «sapranno giudicare quello che è stato fatto fino ad oggi» e deluderanno chi, «sciacallescamente, dimenticato ogni principio giuridico civile, cavalcando sospetto, odio ed invidia sociale, agogna a riacquistare un ruolo, sull’onda delle carte bollate e non dei programmi». Ma la presidenza, appunto, non è un fatto personale. E allora tocca riflettere. E, forse, anche rinunciare ad occupare quel posto.