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Riportiamo di seguito l’intervento pubblicato su “Persona & danno” dal professor Francesco Gazzoni, autore del “Manuale di diritto privato” la cui introduzione ha suscitato nelle scorse settimane numerose critiche per alcuni passaggi relativi in particolare alle giudici che si occupano di diritto di famiglia.
1. In pieno agosto mi sono ritrovato al centro di una bagarre giornalistica e politica, come spesso accade basata su mezze-verità, cioè mezze-menzogne, per aver esposto nel mio Manuale di diritto privato i pericoli che derivano da taluni aspetti critici della magistratura, ricevendo a più livelli una sequela di Crucifige. Padre Dante aveva una opinione a tal punto negativa degli ignavi, da non degnarli nemmeno di un commento (Non ragioniam di lor, ma guarda e passa) ed io non volendo avere a che fare con i giornalisti non ho concesso interviste, benché ripetutamente richieste, né tanto meno ho preteso rettifiche o comunque inviato lettere di protesta.
Tuttavia poiché si tratta di quel che ho scritto in una pubblicazione a carattere scientifico, altra cosa è esporre il mio punto di vista in un contesto non giornalistico, rivelando le censure e le distorsioni cui il mio pensiero è stato sottoposto.
2. Nell’Introduzione al Manuale di diritto privato del 2007 avevo rappresentato un quadro critico della magistratura, da più punti di vista. Quando ho poi curato l’edizione del 2024 (a distanza quindi di ben diciassette anni) nel contesto della parte sull’interpretazione della legge, in cui mi sono dovuto necessariamente occupare dei giudici, del c.d. "diritto vivente", del loro potere discrezionale, a mio avviso estremamente pericoloso, per motivi che ho esposto con numerosi richiami, ho ritenuto opportuno riproporre nel testo, alla p. 51, alcune delle criticità già rese note pubblicamente nella predetta Introduzione. Il poeta direbbe: "C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico", perché la novità (non del sole ma) del testo è... antica.
Trattandosi di una riproposizione, tutto mi sarei aspettato meno che essa sarebbe stata considerata dai magistrati non solo una novità, ma del tutto sorprendente, dopo diciassette anni.
Senza dubbio la lettura dell’Introduzione di un testo è facoltativa, ma è irreale l’ipotesi che nessuno, ma proprio nessuno dei candidati al concorso in magistratura che aveva studiato sul mio testo a far tempo dal 2007 e nelle successive sette edizioni, ove essa era riportata, l’avesse letta e non ne avesse parlato con i colleghi. Il mio quadro critico della magistratura era del resto, in un certo ambiente (avvocati, oltre che magistrati), un fatto notorio, anche per le mie Note a sentenza molto polemiche.
In Terzultima fermata un commentatore informato ha scritto che «la magistratura ha “scoperto” Gazzoni solo ora e questo aspetto meriterebbe di essere approfondito. Sembrerebbe che Gazzoni non abbia certo aspettato la ventunesima edizione del suo manuale per criticare la magistratura. Perché si è aspettato l’agosto 2024 per reagire? Cosa c’è in questa edizione che fa più scandalo di prima? Terzultima Fermata ricorda che un altro giurista, Sabino Cassese (nel libro Il governo dei giudici) non è stato da meno nei suoi giudizi sui magistrati (essi) dai fasti di popolarità subito dopo la stagione di “Mani Pulite” oggi sono ai minimi termini e dovrebbero chiedersi perché, invece che scagliarsi sul Gazzoni di annata (...) Cassese randella di più del Gazzoni e magari verrà “scoperto” solo nel 2045».
Ha iniziato un giovane giornalista di belle speranze, pubblicando su un giornale sempre molto informato sulle iniziative delle Procure, di cui spesso anticipa i contenuti, la fatidica p. 51 in versione fotografica, sia pure di dimensione assai ridotta, comunque leggibile nella sua integrità da ogni uomo o donna di buona volontà, soffermandosi sulle seguenti proposizioni del testo.
La prima è la seguente: i giudici “non di rado appartengono alla categoria degli "psicolabili", come ha scritto un giudice non corporativo, che manifestano nelle sentenze quello squilibrio "male oscuro tipico della funzione" (Garavelli, Ma cos’è la giustizia? 2003, 41). Male che giustifica il disegno di legge presentato a suo tempo dal sen. Francesco Cossiga, volto ad introdurre la visita psichiatrica per i candidati al concorso in magistratura (retro p. LIII-LIV)”.
Le richiamate pagine in numeri romani del retro, sono quelle dell’Introduzione del 2007, onde il collegamento era esplicito. Chi ha parlato di novità dimostra pertanto, anche sotto questo aspetto, di essere o in mala fede o affetto da insuperabile ignoranza, non sapendo nemmeno comprendere quel che legge.
La seconda è la seguente: “I magistrati entrano in ruolo in base ad un mero concorso per laureati in giurisprudenza e appartengono in maggioranza al genere femminile, che giudica non di rado in modo eccellente, ma è in equilibrio molto instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli (emblematico Trib. Roma 19.9.07, DFa 08, 1380 con nota di Gazzoni e DFa 08, 1719)”.
La terza era stata già espressa nel testo della precedente XX edizione, che aveva ripreso quanto scritto nell’Introduzione del 2007 a proposito del giudice che giudica legibus solutus in nome dell’aequitas, la quale "finisce per essere quella canonica, per l’identificazione di sé con il Creatore (nihil aliud est aequitas quam Deus), identificazione operata con estrema facilità reputandosi come si suol dire un padreterno". Pertanto, oltre che nella XX, anche nella XXI edizione si sottolinea che "Alcune sentenze parlano di giurisprudenza-normativa, quale autonoma fonte del diritto, cioè creativa (“che spesso abbaglia, ma non illumina”, Nazzicone, FI 20, V, 293), quasi che la sentenza valesse erga omnes sul modello di common law (C. 09/10741, NGCC 09, I, 1258. Contra Castronovo, EDP 16, 981; CSU 11/15144, CG 11, 1392). Ormai la hybris della magistratura italiana (che dà anche luogo a overrulings imprevedibili, inopinati e repentini (CSU 11/15144, cit.) e, sentendosi superiore alla legge, a livello di padreterni, ignora l’obbligo dell’umiltà, su cui v. la Relazione del Primo Presidente all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, FI 13, V, 67), è incontenibile".
Il Primo Presidente, infatti, aveva, in quell’occasione, esposto le qualità necessarie per un buon magistrato: “La terza qualità, che si richiede perché un magistrato possa incamminarsi con la consapevolezza piena dei suoi doveri sulla lunga strada che lo attende, è l’umiltà”.
Il commento del giornalista era del tutto sommario, senza riferire delle fonti e quindi del "giudice non corporativo" a proposito del giudice psicolabile, né della Relazione del Primo Presidente a proposito della hybris, né del mio giudizio in linea di massima positivo, a livello "non di rado di eccellenza" delle giudici donne, con la riserva suffragata dal rinvio ad una sentenza emblematica, con una mia Nota critica, che nessuno ha letto.
Pertanto si è sostenuto che io avrei affermato sic et simpliciter, senza residui, né distinguo, che i giudici sono affetti da hybris e psicolabili, mentre le giudici donne sono instabili, senza però riferire le fonti da me citate, che offrivano un quadro oggettivo, onde la mia non era un’opinione personale immotivata.
Su queste errate premesse il giornalista ha chiesto l’opinione del Presidente dell’Anm, il quale, come era prevedibile e, per lui, quale capo del sindacato dei magistrati, doveroso, ha parlato di "espressioni misogine e di stupido dileggio dell’ordine giudiziario", pur premettendo che si tratta di un "manuale giuridico di pregio", opinione contestata dal segretario di una delle correnti della magistratura, il quale ha laicamente affermato che "non mi preoccupano le opinioni di Gazzoni che non è un maestro del diritto, ma l’autore di una sorta di Bignami". Bravo! Peccato che l’ANM sia insorta esponendo la p. 51 al pubblico ludibrio in Instagram dell’Associazione, con la formula riduttiva e censurata ("giudici psicolabili e donne giudici instabili"). Solo l’assenza di umiltà non è stata contestata, non a caso.
A prescindere dal modo errato in cui il mio scritto è stato riferito, resta il fatto che nella ricordata Relazione del 2013 il Primo Presidente aveva così ammonito: "Per i giudici davvero può dirsi che gli esami non finiscono mai: essi mentre giudicano sono giudicati, perennemente giudicati; e quanto più sapranno assumere il ruolo di giudicati, tanto meglio sapranno svolgere la funzione giudicante".
Ma i giudici evidentemente non sanno assumere il ruolo di giudicati, almeno per quanto riguarda il loro modo non di rado non equilibrato di giudicare, secondo la critica di Mario Garavelli, di cui riferirò, un giudice che, in un suo libro, dedicando ai giudici anche un paragrafo intitolato "gli psicolabili", ha scritto di certo con piena cognizione di causa. L’ANM pertanto, prima ancora della p. 51 del mio Manuale, avrebbe dovuto divulgare il testo di Garavelli, invitando i giudici a perseguire il proprio equilibrio.
A questo punto arriva, inevitabile, la speculazione giornalistica e quindi, potrebbe dirsi con il Manzoni, "S’ode a destra uno squillo di tromba;/A sinistra risponde uno squillo" ovviamente con opposta strumentalizzazione del mio scritto, pur sempre senza controllare le fonti.
Da ultimo, fuori tempo massimo, un tizio, con una prosa da membro del Comitato per la sicurezza dello Stato (NKVD) dei bei tempi andati, esprime la sua solidarietà ai magistrati per il mio "attacco", definito, con linguaggio stereotipizzato, "vile". Mi meraviglio solo che il "vile attacco" non sia stato qualificato "fascista".
La lettura che mi ha fatto ridere alla stregua di una barzelletta è stata però quella di un articolo, il cui contenuto rivela in quale condizione di paranoia politica vivano certi giornalisti. La giornalista inizia con il ricordo dell’ascesa di Vannacci, del suo libro e relativo approdo al Parlamento europeo, "dove può arrivare un giurista già conosciuto" e quindi si chiede "se è stata proprio questa la suggestione che ha spinto il prof. Francesco Gazzoni" a scrivere contro i giudici. Coerentemente l’articolo così termina: "La polemica è esplosa, il prof. Gazzoni certamente gongola. Per non fare il suo gioco sarebbe bastato semplicemente far finta di nulla".
Concordo sul fatto che sarebbe stato meglio per l’ANM non sollevare il polverone, ma per essere stato paragonato a Vannacci, se fossi permaloso, potrei concepire l’inizio di un’azione di danni per diffamazione. Non credo però che troverei un giudice disposto oggigiorno a darmi ragione in una causa qualsivoglia, anche la più insignificante. Quanto al fatto che io avrei gongolato, dissento: è vero che secondo Georg von Frundsberg "Molti nemici molto onore", ma costui era il Comandante dei Lanzichenecchi, mentre io non mi sento in guerra con nessuno, nemmeno con chi invece si sente in guerra con me.
Poteva forse mancare l’intervento della politica? Il PD presenta dunque un’interrogazione al Ministro dell’Università con cui "si chiede di sapere quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in merito all’impiego del testo in questione per evitare che simili testi così distanti dai principi costituzionali possano costituire bagaglio formativo per le prossime generazioni di giuristi".
È evidente il non detto del desiderio di bruciare il vituperato, odioso testo, usando magari il lanciafiamme come per i libri in Fahrenheit 451 (ma lì si cominciava con il Don Quijote, non certo con un modesto Manuale universitario) oppure, quanto meno, ad imitazione della Chiesa cattolica di un tempo, l’inserimento nell’Index librorum prohibitorum.
Sennonché chi si affida al Manuale per apprendere il diritto civile trova, oltre alla parte sul ruolo del giudice, corredata dai riferimenti alle fonti, che escludono una immotivata soggettività, la ricostruzione del sistema secondo il mio soggettivo punto di vista, anche con esposizione di personali opinioni scientifiche. Fare di ogni erba un fascio significa innalzare il mio Manuale ad un livello assurdo.
Per intendersi, Celine è stato, a mio avviso, insieme a Proust, il letterato più geniale del ’900, ma un genio anche malefico, che può aver spinto (almeno all’epoca) verso l’antisemitismo i lettori di Bagatelle per un massacro. Ma dire che io sia un "cattivo maestro", autore di un testo sovversivo, in quanto contrario alla Costituzione, capace di corrompere i giovani, inesperti lettori, mi sembra francamente ridicolo.
Un illustre Accademico ha osservato che, tutto al contrario, proprio offrire dati critici potrebbe rendere più efficace il percorso della magistratura, spingendo i giovani all’inizio della carriera a migliorare non solo la conoscenza del diritto, ma anche l’equilibrio nel giudicare. (Lorenzo d’Avack, su Il Dubbio).
Il giudizio sul mio Manuale, se non si vuole instaurare un regime da Ministero della cultura popolare, deve essere lasciato ai lettori, i quali, essendo pressoché esclusivamente laureati, sono ben in grado di esprimere, se del caso, riprovazione e dissenso, per quel che non si condivide.
3. Accertato quindi che a tutti i livelli coloro i quali si sono scagliati contro di me hanno omesso sistematicamente di consultare o almeno di riferire le fonti da me citate, vediamo come stanno davvero le cose.
Quanto ai giudici "non di rado" psicolabili ho espressamente scritto, indicando la fonte, che l’espressione non è mia, ma è in un libro del giudice Mario Garavelli, non uno qualunque, ma un giudice dalla carriera importante, anche di alta dirigenza, riferita nel sito dell’Università di Basilea. Trascrivo una più ampia parte dello scritto di Garavelli, già peraltro trascritta nell’Introduzione del 2007:
«Gli squilibrati sono in numero preoccupante, se come tali intendiamo non i pazzi dichiarati, ma quelli che, passando per i vari gradi dell’alterazione psichica, vedono compromesso il loro equilibrio nel giudicare e nell’agire, che in questo lavoro è la cosa più preziosa (…). Si tratta di un male oscuro, tipico della funzione e variegato nel suo manifestarsi, cosicché il più delle volte, per fortuna, si esaurisce in modeste deviazioni, ma altre volte offusca grandemente l’immagine pacata di chi dovrebbe impersonare la maestà della legge. Qui trovare un rimedio è difficile; espresso il dovuto scetticismo su eventuali interventi di psicologi e psichiatri delle più varie scuole, non resta che il solito intervento dei colleghi e, ancora una volta, dei capi degli uffici, i soli che possono dall’interno ostacolare processi degenerativi di questo tipo.
Ma anche in questo caso giocano l’indifferenza, il pietismo, il malinteso rispetto per il collega, l’assenza di responsabilità che spiegano la mancanza di provvedimenti preventivi o di denunce successive, del quieta non movere et mota quietare di mastronardiana memoria».
Modestamente mi considero un uomo di scienza e quindi parlo in prima persona solo di quel che conosco o che ho studiato personalmente, altrimenti mi affido agli scritti di terzi, se particolarmente qualificati e il giudice Garavelli senza alcun dubbio lo era. Io, dunque, non ho detto, ma ho riferito che i giudici sono "non di rado psicolabili", cioè a dire "squilibrati in numero impressionante", come scrive Garavelli. Perché non se ne deve scrivere, nella parte di un Manuale dedicata al ruolo del giudice nell’interpretazione della legge, con una censura volta ad ingannare il lettore, tacendo che per i magistrati esiste il problema di assicurare il loro equilibrio mentale, mediante test psicoattitudinali? Non lo diceva Garavelli, non lo dico io, lo dice il Decreto Legislativo n. 44 del 2024, entrato in vigore dopo la stampa della XXI edizione, onde non ho potuto sostituirlo al richiamo alla proposta di legge Cossiga.
Perché allora nessuno, ma proprio nessuno ha riferito della fonte da me indicata e se l’è presa in primis con il giudice Garavelli? Parlare di palese mala fede mi pare il minimo, posto che lui era un giudice e io non lo sono. Cane non mangia cane, potrebbe dirsi.
4. Quanto poi al mio giudizio sulle donne giudici, il mio pensiero è stato di nuovo censurato e quindi distorto. Io non sono misogino, né loro ostile. Ho infatti scritto che esse giudicano non di rado in modo eccellente, tant’è che il mio magistrato preferito è una donna, la quale estende sempre sentenze esemplari, la cui lettura è un vero piacere. La riserva che ho espresso ha riguardato le sole controversie di merito in materia di famiglia e figli, là dove l’equilibrio è molto instabile. È ovvio che il giudizio, come tutti quelli di carattere generale, non pretende, né può essere totalizzante, ma è riferito ad una tendenza.
Queste mie opinioni non sono nuove, perché già espresse, testualmente, quanto alla riserva, nell’Introduzione del 2007, mentre il giudizio positivo già era nell’Introduzione del solito famigerato Manuale edizione 2003, là dove, in termini di prognosi di carattere generale, scrivevo: "Gli studenti sono, in confronto alle studentesse, babbei infantili, destinati a soccombere nei concorsi e, tra breve, anche nella vita". Facile previsione: essendo più preparate e vincendo quindi in maggioranza il concorso in magistratura, ora la percentuale femminile è del 56%. È forse questo il giudizio di un misogino?
In una intervista la Prima Presidente di Cassazione ha sostenuto che la mia affermazione "sottintende l’idea che le donne non siano dotate del necessario raziocinio ed equilibrio per amministrare la giurisdizione, soprattutto in materia di famiglia e figli". In questa breve proposizione sono contenute due evidenti infedeltà peggiorative del mio testo, perché mi sono riferito alla materia della famiglia e figli non già "soprattutto", ma esclusivamente e non già in toto, ma solo per i giudizi di merito. Le infedeltà sono gravi in bocca di chi è al vertice assoluto della magistratura.
Ancor più grave è avermi attribuito un’idea errata delle donne magistrato, che riterrei, in quanto donne, di per sé, non raziocinanti ed equilibrate. Sennonché come ho appena ricordato io ho affermato che esse giudicano non di rado in modo eccellente e questo è il mio giudizio di fondo.
Mi si vorrebbe rappresentare, pertanto, come un povero vecchio con la testa rivolta all’indietro, un oraziano laudator temporis acti, addirittura dei tempi dell’Assemblea Costituente del 1947, quando l’accesso delle donne alla magistratura venne escluso per la loro “inaffidabilità caratteriale, accentuata in alcuni periodi mensili” (come riferisce Rodotà, Diritto d’amore, 2015, 59 e ivi n. 11).
Per provare la fondatezza della mia riserva sui giudizi di merito, avrei potuto portare quale esempio una molteplicità di sentenze, ma mi sono dovuto limitare, per ovvii motivi di spazio, ad indicarne una sola, peraltro assolutamente emblematica, con una mia Nota che chiariva quel che era accaduto e i miei argomenti critici sono stati alla fine della storia ripresi dalla Cassazione, con riforma della sentenza, che la Corte d’Appello, con un collegio formato da tre donne, aveva inopinatamente confermato.
5. Questo è infatti il punto, il rischio cioè che il giudice si trasformi in parte. Di certo non si può immaginare che il problema si ponga se si discute della trascrizione di un contratto o di un’ipoteca, temi a carattere squisitamente tecnico-giuridico, ma si pone, eccome se si pone, quando si tratta di amore e disamore coniugale o di rapporti tra genitori e figli, cioè di situazioni in cui i sentimenti dominano sovrani e favoriscono il coinvolgimento.
Paolo Cendon, a proposito di una sentenza in materia di tradimenti coniugali, ha osservato che il perché della motivazione "dipenderà dal personaggio storico della vicenda con cui l’estensore si è di fatto identificato, perché il giudice, motivando, finisce per raccontare la propria storia: per dirci e per svelare anche a se stesso, quali siano in realtà i suoi desideri, quali i suoi segreti e i suoi peccati" (Non desiderare la donna d’altri, in Contratto e impresa 1990, 607).
Naturalmente ciò vale per qualsivoglia giudice, uomo o donna che sia, ma qui entra in gioco una distinzione, esito della non migliore, né peggiore, ma diversa sensibilità della donna rispetto all’uomo in questa materia, diversità con radici profonde, che nulla hanno a che vedere con il diritto, onde non è questa la sede per parlarne.
La spia decisiva di tale diversità è costituita dalla "missione". Nella ripetuta Introduzione del 2007 parlavo del giudice "missionario", quello che ritiene di avere una missione da compiere piuttosto che leggi da applicare. Gherardo Colombo, l’indimenticato P.M. del pool Mani Pulite, è, a mio avviso, il più fulgido esempio di onestà intellettuale. Egli si è dimesso dalla magistratura perché ha riconosciuto di aver fallito la missione che perseguiva e cioè quella di migliorare la società attraverso le sentenze e si è pertanto dedicato ad illustrare i principi della legalità, parlando nelle scuole.
È nota la metafora di Arturo Carlo Jemolo, secondo cui la famiglia è un’isola che il mare del diritto può soltanto lambire (La famiglia e il diritto, in Pagine sparse di diritto e storiografia, 1957, 241). Pertanto per le controversie che riguardano i rapporti personali il fatto domina pressoché sovrano ed è come una prateria che il giudice attraversa con la sua valutazione ampiamente discrezionale.
Ebbene le donne che vincono il concorso in magistratura, scelgono di attraversare questa prateria e quindi di andare a occupare i ruoli della sezione Famiglia dei tribunali ordinari o di quelli dei tribunali per i minorenni, ovviamente nei limiti dell’organico.
Ecco il risultato di una mia ricerca su Internet per le città più importanti, dove esiste la sezione Famiglia:
Tribunale sezione famiglia
Milano : Presidente donna e 9 donne su 10
Roma : Presidente donna e 12 donne su 13.
Napoli : Presidente uomo e 9 donne su 10.
Torino: Presidente uomo e 9 donne su 9.
Tribunale per i minorenni
Milano: Presidente donna e 13 donne su 15.
Roma : Presidente non indicato, 10 donne su 12.
Napoli: Presidente non indicato e 12 donne su 15.
Torino: Presidente uomo e 7 donne su 8.
Attesa l’evidenza dei numeri è lecito dedurne che per le donne andare a occuparsi di famiglia e figli non è casuale, onde la scelta può ben ritenersi frutto di una precisa volontà di incidere con le decisioni in quella specifica materia e non in altre, alla stregua di una "missione di genere".
È lo stesso fenomeno per cui, mutatis mutandis, non solo l’asilo nido, ma anche quello infantile, non a caso altrimenti detto scuola materna, è monopolio delle donne, per l’infanzia dai tre ai cinque anni. I tribunali dei minorenni, invece, si occupano di chi non ha ancora compiuto diciotto anni, onde l’espressione "materna" non è ipotizzabile ed in effetti non è mai in nessun modo utilizzata.
Mi chiedo allora se sia normale che, oltre agli asili nido e a quelli infantili, le donne abbiano il monopolio di fatto anche della giustizia in materia di famiglia e figli, per quanto riguarda le sezioni specializzate dei tribunali ordinari e per i tribunali per i minorenni.
C’è o non c’è il rischio di un coinvolgimento di genere, fonte di possibile equilibrio instabile, oppure i giudici donna sono macchine asettiche e impermeabili ? Rischio ipotetico, di certo, e di tendenza, ma chi è in grado di leggere e comprendere le sentenze dei tribunali di famiglia e dei minori potrebbe anche scoprire che l’ipotesi non è poi, al di là di ogni ragionevole dubbio, di quelle del terzo tipo.
Del resto che la pluralità di genere debba essere favorita è provato proprio dal fatto che, almeno quando si tratta di tribunali per i minorenni, i Collegi sono, per legge, composti da quattro giudici: un o una presidente e un o una giudice togati, di carriera, ma anche due giudici onorari di cui una donna e un uomo. Almeno un uomo, pur se fosse isolato, ci deve quindi essere di necessità. Come mai?
Concluderò lanciando un’idea per un sondaggio alla Alessandra Ghisleri. La domanda è: nelle liti in materia di famiglia e figli un marito o padre preferisce che il giudizio di tribunale sia affidato ad un giudice uomo o ad una giudice donna? Ovviamente la domanda è la stessa per la moglie o madre. Come risponderebbe uno (o una) dei miei venticinque lettori (o lettrici) di manzoniana memoria?