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Quirinale
Non sarà affatto facile per il Guardasigilli Carlo Nordio portare a compimento la riforma della giustizia. I segnali che arrivano in questi giorni di caldo torrido dai Palazzi romani non sono infatti dei migliori. Ieri mattina, ad esempio, il testo della riforma, approvato il 15 giugno scorso dal Consiglio dei ministri, non era ancora depositato in Commissione giustizia al Senato, dove è prevista la sua discussione. Gli esperti di dinamiche parlamentari non ricordano un tempo così lungo per incardinare un disegno di legge governativo. Il “problema” sarebbe l'abrogazione dell’abuso d’ufficio, il reato “evanescente” come ha sempre dichiarato Nordio, che rischia di complicare fin da subito ogni progetto riformatore.
Se le opposizioni, tranne Italia viva, sono compatte nel non volerne l'abrogazione, il discorso è molto diverso nella maggioranza di governo. Forza Italia è per la sua cancellazione totale, Lega e Fratelli d'Italia sono invece più riflessivi. Il partito della premier Giorgia Meloni, in particolare, in questo momento non ha alcuna intenzione di andare allo scontro con la magistratura, contrarissima ad ogni ipotesi di abrogare il reato, e quindi con il Quirinale.
Per quanto riguarda le toghe, durante una recente audizione il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo aveva sottolineato che «il venir meno della possibilità di sanzionare condotte abusive rappresenterebbe un vulnus agli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia in tema di corruzione con la convenzione di Strasburgo». Melillo era stato molto critico la classe politica, ricordando che gli amministratori che lamentano «la paura della firma» sono quelli che governano, «quelli che invece passano all’opposizione sono spesso i promotori delle denunce che sollecitano l’intervento del giudice». In altre parole, la battaglia politica viene ormai fatta a colpi di denunce.
Molto critico era stato anche Danilo Ceccarelli, vicecapo della Procura europea. «L’abrogazione tout court dell’abuso d’ufficio non sarebbe conforme alla normativa internazionale ed europea», aveva ricordato il magistrato, aggiungendo che questa fattispecie di reato esiste in 20 dei 22 Stati che aderiscono alla Procura europea. L’abolizione del reato andrebbe anche nella direzione opposta a quella indicata dalla Commissione europea nella proposta di direttiva sulla lotta alla corruzione. Senza contare, poi, un parere autorevole come quello del professore Gian Luigi Gatta, consigliere giuridico della ministra Marta Cartabia, secondo il quale l’abrogazione dell’abuso d’ufficio lascerebbe «intollerabili e irragionevoli vuoti di tutela», come quello, individuato dalla Cassazione, che riguarda i casi di chi turba i concorsi pubblici.
Con queste premesse, nessuno a Palazzo Chigi ha voglia di immolarsi per il classico reato dei colletti bianchi e dunque della vituperata casta. «Il nostro elettorato non capirebbe», dice un parlamentare di Fd'I che vuole rimanere anonimo. A via Arenula, allora, per evitare l’impasse si starebbe lavorando ad una mediazione che troverebbe sponde anche in Parlamento. Non più abolizione tout-court, come vuole Nordio, ma una maggiore e più dettagliata “tipizzazione” delle condotte penalmente rilevanti. In soccorso potrebbe arrivare la giurisprudenza della Corte di Cassazione che si va man mano consolidando.
Il procuratore generale Luigi Salvato, anch’egli intervenuto sul punto, ha precisato che l'ultima formulazione del reato, quella del 2020, ha escluso la configurabilità del delitto qualora «la condotta del pubblico ufficiale costituisca espressione di discrezionalità amministrativa o anche tecnica, richiedendo la violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa fissate dalla legge, specificamente disegnate in termini completi e puntuali». Secondo Salvato, l’attuale formulazione «ha ritenuto irrilevante l’eccesso di potere, sotto forma di sviamento, laddove il potere risulti caratterizzato dalla presenza di margini di discrezionalità» e «ha ritenuto irrilevante la violazione delle norme solo procedimentali, come l'adozione di un provvedimento recante una motivazione incompleta ovvero insufficiente, in violazione del generico obbligo di motivazione». La tesi di Salvato è corroborata dai numeri: nel 2022 c’è stato l'80 percento di archiviazioni. Le condanne, l’anno prima, erano state una ventina circa. In questa partita il calendario avrà comunque un ruolo determinante in quanto la discussione si preannuncia lunga e complessa. Pur non essendo stato ancora depositato il testo della riforma in Commissione giustizia a Palazzo Madama, c’è già una lunga lista di emendamenti che attendono il via libera. La presidente della Commissione Giulia Bongiorno (Lega) ha già fatto sapere informalmente che non ci saranno voti a scatola chiusa. Viste le scadenze autunnali, con la difficile legge di Bilancio da approvare, tutto fa presagire che si arriverà con calma ad una sintesi che accontenti tutti, ad iniziare proprio da Nordio.