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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
«Sul tavolo sono rimaste tutte le possibili soluzioni: che si tratti di abrogazione totale o parziale del reato di abuso d’ufficio, quel che conta è l’obiettivo di eliminare la paura della firma e l’amministrazione difensiva e di farlo con un disegno di legge governativo e in tempi brevissimi».
La riforma sull’abuso d’ufficio è un «cantiere aperto», confermano voci di governo. E non è scontato, dunque, che la soluzione più cara ai sindaci - quella che prevede la cancellazione della norma - sia totalmente esclusa dai giochi, così com’è sembrato a tutti mercoledì dopo il comunicato rilasciato da via Arenula e in cui si parlava di una modifica «radicale» della norma. Parole che arrivavano dopo il no secco della presidente della Commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno, secondo cui con l’abrogazione si correrebbe il rischio, da un lato, di lasciare «scoperte ipotesi di strumentalizzazione a danno della Pa e, dall'altro, si determinerebbe il paradosso di una riespansione di reati puniti più gravemente».
Ma quella di Bongiorno è una posizione «interna alla Lega» che toccherà al Carroccio portare al tavolo politico che si riunirà nuovamente al ministero la prossima settimana. Ognuno dei partecipanti - il ministro Carlo Nordio, il suo vice Francesco Paolo Sisto e i sottosegretari Andrea Delmastro Delle Vedove e Andrea Ostellari - si è preso del tempo per stabilire le migliori soluzioni. Ma tra i partiti di maggioranza «non ci sono tensioni», confermano da più parti, mentre il ministro non avrebbe ancora scelto se abrogare o modificare. Perché «ciò che conta è che si interverrà in modo drastico per evitare che i pubblici amministratori possano avere perplessità nel firmare provvedimenti».
Le posizioni sono già chiare. Da un lato c’è chi, come Lega e Fratelli d’Italia, preferisce un semplice restyling del reato. E poi ci sono Nordio e Forza Italia, convinti che sia il caso di radere al suolo l’articolo 323 del codice penale. Gli azzurri hanno già depositato due proposte. Quella principale - che per FI rimane prioritaria - porta la prima firma di Pietro Pittalis e prevede la cancellazione tout court del reato. «Il problema più evidente è la sua indeterminatezza e la sua mancanza di precisione nel definire le condotte punibili - si legge nella relazione -. Come reato è una sublimazione patologica dell’atto amministrativo, illegittimo per vari motivi, con la conseguenza di una burocrazia difensiva».
La seconda, invece, è quella che porta la firma di Roberto Pella, capogruppo di FI in Commissione Bilancio e vicepresidente vicario di Anci. Un unico articolo, col quale cancellare l'abuso cosiddetto “di vantaggio” - ovvero il compimento di un atto amministrativo giova a qualcuno oppure lo danneggia - e circoscrivere il reato specificando che deve essere compiuto “consapevolmente”, arrecando “direttamente” ad altri un danno ingiusto. Modifiche necessarie, si legge nella proposta, «per superare una delle tante criticità della giustizia italiana che, piuttosto che ridare slancio alla pubblica amministrazione, e, attraverso essa, perseguire obiettivi di ripresa economica del nostro Paese, creano danni e alimentano disfunzioni».
Tale formulazione potrebbe rappresentare la soluzione «radicale» promessa dal governo e la mediazione tra le diverse posizioni. Ma il compromesso potrebbe non piacere al Terzo Polo, disponibilissimo ad appoggiare la maggioranza qualora la soluzione fosse quella di un’abrogazione totale del reato. A testimoniare la delusione un tweet del vicesegretario di Azione Enrico Costa. «Marcia indietro anche sull’abolizione dell’abuso d’ufficio - ha scritto -. Il reato resterà. A emendarlo hanno provato in tanti: è del tutto inutile. Rimarranno tanti indagati, titoloni, fango, esposti a raffica e poi, dopo anni, solo assoluzioni».
Per scrivere la nuova norma non ci sarà un confronto con avvocatura e magistratura, le cui posizioni sarebbero già note al governo. E le reazioni, dalle due parti, non sono mancate. A scongiurare l’abolizione del reato è il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, secondo cui eliminare il reato non ha alcun senso: «In passato l'abuso d'ufficio aveva un raggio d'azione ampio che poteva provocare paure e timori di mettere una firma da parte di amministratori ha dichiarato a LaPresse -, ma dopo le modifiche del 2020 la nostra posizione è che la cancellazione non abbia senso».
Parere diametralmente opposto a quella di Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali italiane. «La soluzione migliore è la sua integrale abrogazione - ha sottolineato -. Si tratta di una norma con un contenuto pericolosamente indeterminato, laddove tutti gli altri reati contro la pubblica amministrazione riguardano condotte di abuso: dalla corruzione, alla conclusione, al peculato. La condotta di abuso è già punita in tutti i reati legati alla pubblica amministrazione nelle specifiche declinazioni. Per questo non c'è alcun bisogno di una norma che crea problemi perché punisce semplicemente l'abuso senza chiarire in che cosa, con certezza, consista».
I numeri, d’altronde, sono spaventosi: nel 2021 su 5418 procedimenti ben 4465 sono evaporati nel nulla. Dati, ha sottolineato il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo, «che parlano da soli: dimostrano che è un reato che riempie solo i tribunali ma non ha effetti concreti». Il sospetto, dunque, è che il reato abbia una «utilità strumentale», ovvero che «serva ad aprire procedimenti che se non portano a risultati poi vengono abbandonati».