Per il gip di Milano Tommaso Perna non esiste in Lombardia nessun presunto "patto" tra le tre principali organizzazioni criminali del nostro Paese - mafia, 'ndrangheta e camorra -, come invece sostenuto nell'inchiesta coordinata dalla Dda milanese. Una tesi che ha portato il giudice a respingere 140 richieste di arresti per i 153 indagati e a disporre il carcere solo per 11 persone accusate di diversi reati, ma non per associazione mafiosa. La Dda ha fatto ricorso al Riesame per le richieste di custodia cautelare respinte. 

Come nasce l’inchiesta

Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice del presunto "locale" di 'ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese) arrestato nel 2019 nell'operazione "Krimisa", a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda e dei Carabinieri del nucleo investigativo di Milano sull'esistenza di un presunto "sistema mafioso lombardo".

De Castro avrebbe fornito alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Alessandra Cerreti i nomi di Massimo Rosi (arrestato) e Gaetano Cantarella, detto 'Tanu u' curtu', dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra.

A Rosi, 37enne con precedenti, è stato attribuito un ruolo centrale nella «creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale». Una ricostruzione non condivisa dal gip che ha ritenuto, invece, che Rosi abbia agito «soprattutto nel settore del narcotraffico» in qualità di «componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi».