Il suicidio medicalmente assistito, o morte volontaria, consiste nella possibilità di portare a termine il proprio proposito attraverso l’aiuto da parte di un medico, che si occupa della procedura senza intervenire direttamente nell’atto finale del togliersi la vita. Il gesto dunque è compiuto in modo autonomo e volontario da chi ha scelto di morire, senza il coinvolgimento di terzi, con l’autosomministrazione di un farmaco letale. Il suicidio assistito differisce per questo dall’eutanasia, che in Italia è illegale.

Quadro normativo del suicidio assistito in Italia

In Italia la pratica è stata in parte legalizzata con la storica sentenza 242 del 2019, la cosiddetta “Antonio/Cappato” sul caso di Dj Fabo, con la quale la Corte Costituzionale ha stabilito quattro requisiti di accesso al suicidio medicalmente assistito: che la richiesta arrivi da un malato affetto da una patologia irreversibile, che sia capace di autodeterminarsi, che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

Questi requisiti, insieme alle modalità per procedere, devono essere verificati dal Servizio Sanitario Nazionale con le modalità previste dalla legge sulle Dat agli articoli 1 e 2 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, 219/2017), previo parere del comitato etico territorialmente competente. La norma, nota come legge sul testamento biologico, è entrata in vigore nel 2018 e resta ancora poco conosciuta. 

In attesa di una legge che regoli la materia, la Consulta ha più volte sollecitato il legislatore ad occuparsi di fine vita. La prima volta con la sentenza del 2019, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

Il nodo dei “trattamenti di sostegno vitale”, la nuova pronuncia della Consulta

Nel luglio 2024 la Corte Costituzionale è tornata ad esprimersi sul suicidio assistito con la sentenza numero 135. Il nodo riguardava uno dei quattro requisiti di accesso al suicidio assistito, quello relativo ai “trattamenti di sostegno vitale”. La Consulta ha deciso di conservalo, ma al contempo di ampliarlo, spiegando nel dettaglio cosa bisogna intendere per sostegno vitale: non necessariamente un “macchinario”, ma un trattamento sanitario da cui dipende la vita del paziente.

«La Corte ha, anzitutto, escluso che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale determini irragionevoli disparità di trattamento tra i pazienti», si legge nel comunicato di presentazione della sentenza. Con la quale la Consulta ha dichiarato «non fondate» le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), così come modificato dalla sentenza 242, nella parte in cui subordina la non punibilità dei soggetti coinvolti al requisito del sostegno vitale.

Il caso in esame riguardava Massimiliano, malato di sclerosi multipla morto l’8 dicembre 2022 in una clinica in Svizzera. Lo hanno accompagnato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che si sono autodenunciati al loro rientro in Italia, rischiando il processo e una pena dai 5 ai 12 anni di carcere. La procura aveva chiesto l’archiviazione, che per il gip era impossibile accogliere senza un ulteriore intervento della Corte. Che alla fine è arrivato, insieme al nuovo monito indirizzato al Parlamento perché provveda a una legge. 

Battaglie legali, chi ha ottenuto il via libera. I casi recenti

La Consulta, dunque, ha allargato la platea di persone che potranno accedere alla procedura. Ma secondo una prima lettura della sentenza fornita dall’Associazione Coscioni, resterebbero comunque esclusi i malati oncologici. Come l’attrice romana Sibilla Barbieri, 58 anni, morta in Svizzera nel 2023 dopo il no della Asl.

Dal 2019 ad oggi, sono state 5 le persone, seguite dall’Associazione Luca Coscioni, che hanno fatto richiesta di accesso alla morte volontaria in Italia. Tre di queste hanno poi deciso di procedere, 2, invece no. Nel giugno 2022, Federico Carboni, 44enne di Senigallia, conosciuto durante la sua battaglia con il nome di fantasia “Mario”, è stato il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito, dopo quasi due anni dalla prima richiesta alla azienda sanitaria e dopo una lunga battaglia legale. La strumentazione per l’autosomministrazione del farmaco è stata acquistata tramite una raccolta fondi organizzata dall'Associazione Luca Coscioni e la consulenza medica è di Mario Riccio, già anestesista di Piergiorgio Welby.

Casi che hanno fatto la storia

Piergiorgio, Eluana, Fabo e tutti gli altri. Sono i nomi diventati simbolo di una battaglia per i diritti che in Italia sono ancora negati. Ecco brevemente le loro storie.

Il 28 febbraio 2017 Marco Cappato si presentava presso i Carabinieri di Milano dichiarando che, nei giorni immediatamente precedenti, si era recato in Svizzera per accompagnare presso la sede della Dignitas Fabiano Antoniani, che lì aveva programmato e poi dato corso al suo suicidio assistito. Noto a tutti come dj Fabo, dopo una serata in un locale di Milano, il 13 giugno 2014 fu vittima di un grave incidente che gli cambiò improvvisamente la vita in modo irreversibile. Fabiano diventò cieco e tetraplegico. In seguito all’appello rivolto al Quirinale e dopo il terzo rinvio della legge sul testamento biologico in Italia, dj Fabo decise di recarsi in Svizzera, con il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni, dove morì in una clinica il 27 febbraio 2017, mordendo un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale.

Settembre 2006, la voce metallica di Piergiorgio Welby si srotola in una lettera-appello rivolta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Piero parla per sé, ma anche per tutti gli altri che come lui - consumati da una malattia incurabile - vogliono scegliere come morire. Quella lettera è un manifesto. La sua battaglia per l’eutanasia legale entra nella fase più complicata. Si muove sui binari del diritto, col suo diritto negato fino alla fine. Il 20 dicembre 2006, 88 giorni dopo il suo appello, Piero dice addio ai suoi cari. Viene sedato, il respiratore staccato. Il dottor Mario Riccio lo aiuta a morire. Ore 23.45, Piero non c’è più. Se ne è andato ascoltando la musica di Bob Dylan.

Attivista, giornalista e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, fu affetto da distrofia muscolare in forma progressiva fin dai 16 anni. Una malattia che, poco per volta, gli impedì di camminare a parlare, costringendolo, nello stadio finale, immobile su un letto, pur rimanendo sempre lucido. Accanto a lui Mina Welby, alla quale Piergiorgio, tracheotomizzato e attaccato ad un respiratore, chiese più volte di staccare la spina. Una richiesta che, però, era in contrasto con le leggi. Così iniziò la sua battaglia politica, che dopo un percorso lungo e travagliato, ha condotto dopo tanti anni alla legge sul Biotestamento.

Poi è stata la volta di Eluana Englaro, la cui storia spaccò definitivamente l’opinione pubblica. Una giovane donna la cui vita fu stroncata a 20 anni, il 18 gennaio 1992, quando dopo un incidente d'auto entrò in uno stato vegetativo permanente, di fatto incapace di interagire con il mondo circostante, immobilizzata in una clinica di Lecco e alimentata con un sondino nasogastrico. Fu suo padre, Beppino Englaro, ad impegnarsi per staccare la spina e rispettare un desiderio espresso in vita dalla giovane: la volontà, in caso di una condizione simile a quella in cui si trovava, di non ricorrere a nessun accanimento terapeutico.

Beppino si rivolse ad avvocati, magistrati, al presidente della Repubblica. Ma nel 1999 il Tribunale di Lecco respinse le sue richieste, così come, successivamente, fece la Corte d’Appello di Milano. Sempre un no dai tribunali, fino al 16 ottobre 2007, quando la Cassazione rinviò la decisione alla Corte d’appello di Milano. E da lì la svolta: il 9 luglio 2008 i giudici autorizzarono la sospensione dell’alimentazione per via di uno stato vegetativo irreversibile. Ma contro la libertà tanto cercata da Beppino Englaro si mossero associazioni, comitati etici e politici. E nessun ospedale, intanto, era disposto a prendersi la responsabilità di interrompere le terapie.

La Regione Lombardia e le Camere sollevarono un conflitto di attribuzione contro la Corte di Cassazione. Ma quei ricorsi furono giudicati inammissibili dalla Corte Costituzionale, l’ 8 ottobre del 2008. Il 22 dicembre del 2008 l’ultimo verdetto: la Corte europea per i diritti dell’uomo respinse il ricorso di diverse associazione contro il decreto della Corte d’appello di Milano che autorizzava il distacco del sondino per l’alimentazione artificiale. Così Eluana fu libera di morire, il 9 febbraio 2009, in una clinica di Udine, dopo che il governo Berlusconi aveva tentato di emanare un decreto legge ad hoc.

Il fine vita nel mondo

Il quadro giuridico che regola il ricorso all’eutanasia attiva, all’eutanasia passiva e al suicidio assistito varia in funzione della legislazione del singolo Paese e va dall’autorizzazione totale a quella parziale fino al divieto assoluto, anche se la tendenza alla legalizzazione sembra avanzare un po’ ovunque. Attualmente sono nove gli stati che nel mondo autorizzano l’eutanasia attiva. 

Il primo paese ad averla legalizzata è l’Olanda con una legge approvata 23 anni fa, nel 2001. Nel 2023 il parlamento dell’Aja si è spinto oltre, varando una norma che permette di praticare l’eutanasia anche sui minori di 12 anni colpiti da malattie incurabili che causano una morte certa e imminente.

In Belgio l’eutanasia è consentita dal 2002 ed è disciplinata per i minorenni dal 2014. Il medico deve tuttavia accertare che la persona malata sia dotata di discernimento e cioè che sia capace di intendere e di volere e che soffra di un patologia che non si può curare. 

Per il codice penale della Svizzera l’eutanasia attiva è un reato a tutto gli effetti mentre quella passiva è ammessa nella misura in cui non viene esplicitamente vietata. Il suicidio assistito invece è pienamente permesso se il paziente ha capacità di discernimento ma deve assumere la dose letale da solo, ossia senza l’aiuto di un medico. Le cliniche in Svizzera sono note per essere la principale meta in Europa per chi vuole affrontare un percorso di fine vita, come accade spesso in Italia per i pazienti terminali che non rispondono a tutti i requisiti o hanno atteso troppo a lungo per una risposta. 

Negli Usa la Corte Suprema ha approvato l’eutanasia passiva, lasciando la legislazione ai singoli Stati. Cinque di essi consentono il suicidio assistito: Oregon, Washington DC, Montana, Vermont, California e Colorado. 

Bioetica e aspetti sociali del suicidio assistito

Una delle questioni più dibattute dal punto di vista etico riguarda l’obiezione di coscienza. Il ddl Bazoli, già approvato alla Camera nella scorsa legislatura e attualmente fermo in commissione a Palazzo Madama, prevede il diritto all’obiezione di coscienza (articolo 6) solo all’esercente la professione sanitaria in senso stretto, che potrà astenersi da quelle attività connesse – in senso spaziale, cronologico e tecnico – all’attuazione della pratica e non alle attività prodromiche (ad esempio: prescrizioni mediche, analisi cliniche, prestazione di cure, eccetera).

In questi casi gli enti ospedalieri pubblici devono prevedere l’organizzazione di un servizio che permetta, comunque, l’esercizio dei diritti del paziente nonostante la mancata partecipazione dell’obiettore. Come scrive il professor Lorenzo d’Avack, già presidente e oggi membro del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), “è indubbio che la normativa invocata dalla Consulta, con la possibilità per il paziente di chiedere al medico l’aiuto al suicidio, evidenzia delle problematiche etiche. Soprattutto il medico si vede coinvolto in una pratica che può comportare un cambiamento di paradigma in merito alle sue più tradizionali funzioni” (clicca qui per leggere l'approfondimento).

Il Cnb è un organo della Presidenza del consiglio dei ministri. Il suo ruolo è consultivo: il governo lo nomina e lo interpella sulle questioni più spinose che intrecciano il dibattito politico. Lo scorso luglio, in particolare, il Cnb ha pubblicato un parere che offre una interpretazione particolarmente “restrittiva” di cosa bisogna intendere per sostegno vitale, sbarrando potenzialmente la strada ad alcuni malati che vorrebbero intraprendere un percorso di fine vita in Italia ma che ne restano esclusi perché non dipendono da “macchinari”. Aprendo così uno scontro all’interno dello stesso Comitato: una piccola ma convinta opposizione ha deciso di produrre un parere di minoranza che va in direzione diametralmente opposta, mettendo al centro la volontà del malato. 

Richieste di auto e procedure

L’Associazione Luca Coscioni accoglie le richieste di informazioni sul fine vita tramite il “Numero Bianco” (attivo tutti i giorni allo 06.99313409) coordinato dalla psicologa e compagna di Dj Fabo Valeria Imbrogno, e che oggi conta 45 tra volontari, medici, giuristi e operatori altamente formati che rispondono a quesiti sul fine vita.

Tra il 2023 e il 2024 sono arrivate 15.559 richieste di informazioni sul fine vita. Si tratta di una media di 43 richieste al giorno con un aumento del 28% rispetto al 2022. Nel dettaglio: 3.302 scambi di informazioni su eutanasia e suicidio medicalmente assistito (9 richieste al giorno, +43% rispetto all’anno precedente) e 823 scambi rispetto all’interruzione delle terapie e la sedazione palliativa profonda (circa 2 richieste al giorno, +27% rispetto l’anno precedente).