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«Doppio paradosso: da una parte non si colpisce l’evasore incallito, il criminale vero, dall’altra non si attenuano le vessazioni inflitte ai contribuenti perbene. A me sembra che innalzare o estendere il carcere per gli evasori fiscali sia una scelta doppiamente inefficace».
Antonio Damascelli è presidente dell’Unione nazionale Camere avvocati tributaristi ( Uncat). Una particolare categoria, all’interno della professione forense, che forse persino più di altre conosce il parossismo delle mille norme che intrappolano il cittadino.
«E ora trovo sorprendente la scelta di intervenire con l’innalzamento da 6 a 8 anni della pena detentiva per i cosiddetti grandi evasori. Crede davvero che possa essere un deterrente? Crede che chi evade in modo deliberato, sistematico, magari nel quadro di un vero e proprio contesto criminale, possa essere spaventato dal fatto di rischiare due anni di carcere in più rispetto al limite attuale? A me sembra di no. E invece mi pare chiaro che il contribuente sia vessato dall’adozione di strumenti sanzionatori sempre nuovi e diversi in campo amministrativo. Cambia una maggioranza e puntualmente quella nuova ritiene di dover mettere in campo di volta in volta o un diverso limite di utilizzo del contante, o lo spesometro, o l’obbligo del Pos. È una tendenza schizofrenica», dice Damascelli. Che ricorda:
«Secondo la Corte di giustizia dell’Ue è anche contrario ai principi convenzionali di diritto il fatto che nel nostro ordinamento esista una sanzione detentiva nonostante la durezza di alcune sanzioni amministrative, altrove ritenute parificabili al carcere. Non è così per la nostra Corte costituzionale. Ma la verità è che tante irregolarità fiscali nascono dalla confusione normativa e dai conseguenti inevitabili errori, non dalla volontà dei cittadini di frodare il fisco».