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L’ultimo è Colin Firth, che promette: «Non lavorerò mai più con Woody Allen!». Tra una degustazione di vini umbri e una petizione contro la Brexit anche l’attore britannico si aggiunge alla lista di personalità dello spettacolo che hanno tagliato i ponti con il regista newyorkese.
Prima di lui Rebecca Hall, Timothee Chalamet, Mira Sorvino, Greta Gerwig mentre Selena Go- mez protagonista dell’appena terminato A Rainy Day in New York sta ricevendo pressioni inaudite sui socialnetwork per dissociarsi pubblicamente, per prendere le distanze da Woody, l’orco pedofilo, il predatore compulsivo. L’accusa di aver molestato la figlia adottiva Dylan Farrow quando lei aveva sette anni è uno spettro che lo seguirà fino alla tomba. Poco importa che sia stato scagionato, che non si è mai arrivati nemmeno a un processo penale tanto inconsistenti e contraddittorie fossero le testimonianze contro di lui, e quanto fu chiaro agli inquirenti che l’ex moglie Mia avesse manipolato la bambina, la “società dello spettacolo” ha deciso che Woody è colpevole indipendentemente dai fatti, segnato per sempre.
L’intervista rilasciata da Dylan Farrow alla Cbs ha poi fatto crollare altre dighe. La donna che oggi ha 32 anni ribadisce le accuse contro il patrigno prima di tuonare: «È vero, voglio distruggerlo, cosa c’è di strano?». Invitate nello studio televisivo altre dive del cinema come Nathalie Portman, Reese Witherspoon, Katleen Kennedy si commuovono in diretta e prendono le parti di Dylan, augurandosi che il tempo del regista «sia finalmente scaduto». Seguono gli applausi.
Ormai Woody è una strega, un intoccabile, si dice anche che l’uscita nelle sale di A Rainy Day in New York sia a rischio. La pellicola è stata accusata di «immoralità» perché racconta la relazione tra una 15enne ( Elle Fanning) e un uomo di mezza età ( Jude Law) il che farebbe sorridere se oltreoceano la vicenda non fosse diventata molto seria e kafkiana, se le carrierre non venissero stroncate in un frullar d’ali, i contratti stracciati, i nomi sbianchettati, i volti pixellati, i finanziamenti tagliati. A difendere Allen d’altra parte sono rimasti in pochi, tra loro l’attore Alec Baldwin che si è indignato per il linciaggio mediatico riservato al suo amico: «È triste e ingiusto vedere tutti questi colleghi che lo stanno abbandonando».
Ma oltre alle motivazioni di principio agitate dai vari comitati di salute pubblica, c’è anche una ragione più meschina, più triviale dietro questo fuggi- fuggi.
Come ha spiegato al Guardian Danny Deraney, agente di star hollywoodiane, accostare il proprio nome a quello di Allen è ormai sconveniente, Woody è tecnicamente «tossico» e lavorare con lui rovinerebbe la carriera a tante e tanti divi. Nel mondo dello spettacolo le regole di questo codice non scritto dell’esclusione hanno fatto a brandelli vite e carriere a tutte le latitudini.
Lui, Allen, si difende con una lettera pubblica, «l’ultima che scriverò perché troppe persone sono state ferite», giura il regista dopo aver ribadito la sua innocenza: «Non ho mai molestato Dylan, ci sono state diverse indagini e tutte hanno dimostrato che non ho alcuna colpa che la bambina è stata manipolata da una mamma arrabbiata, usata come una pedina, come peraltro ha confermato Moses Farrow il fratello maggiore di Dylan. Far riemergere queste accuse un quarto di secolo dopo non le rende più vere o credibili».