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Era l’autunno del 1981 quando a Lotta Continua ebbero la geniale idea di inviare un disegnatore satirico, Vincino, come loro reporter in Parlamento. Fu in pratica una delle prime sperimentazioni di quello che in seguito si chiamò “graphic journalism” e che oggi conta tante famose firme, da Joe Sacco a Zerocalcare. Lui ci si trovò benissimo, girando in questo mondo sconosciuto fatto di Ancien Régime, colloqui trasversali e innumerevoli benefici: il basso costo delle consumazioni, gli accendini di contrabbando, gli sniffi di coca sul “tavolo della principessa”. Il problema fu che raccontava troppo, anzi, diciamo chiaramente che raccontava tutto.Ci furono proteste dei diretti interessati caduti sotto i colpi del pennino di Vincino e le proteste arrivarono fino all’allora presidente della Camera, il monumento nazionale Nilde Iotti. Quest’ultima, in men che non si dica, decretò l’espulsione del povero Vincino dall’aula e dai locali di Montecitorio. Ci furono proteste dei lotticontinuisti e dei Radicali con questi ultimi che presero a cuore la vicenda del nostro amico Vincino e sotto le loro ali gli fu permesso di accedere alla tribuna del pubblico. Meglio di nulla, pensò Vincino e, di santa pazienza, si accomodò sulla poltrona assegnatagli tirando subito fuori matita e album da disegno. Apriti cielo! I commessi della Camera piombarono su lui come angeli vendicatori e, presolo di peso, lo ributtarono fuori. Si scoprì allora che, per regolamento, il pubblico che assisteva alle dispute tra politici non era autorizzato a prendere appunti, tanto meno disegnati.Vi ripeto, era il 1981, non il 1881. Incredibile, no?Io naturalmente lo amavo già da tempo avendolo seguito e apprezzato fin da quando lavorava per Lotta Continua e poi per il Male. Politicamente eravamo molto lontani: io di solida formazione marxista e togliattiana, lui goliardo “avventurista”, come suonava il titolo di una delle prime riviste che ha fondato e diretto. Ma al di là delle differenze politiche mi piaceva la sua trasparenza, la sua disarmante onestà, la sua intelligenza, la sua autoironia, quell’autoironia che permette ai grandi di contraddirsi e di rivedere in continuazione le proprie posizioni per non cadere mai vittime del dogmatismo. Era talmente affezionato al dubbio come sicuro metodo di conoscenza che non riusciva a considerare intoccabili neanche le sue vignette. Una volta a Tango aveva disegnato un paio di vignette molto irriverenti verso Togliatti, e Macaluso mi chiese di toglierle perché lo mettevano un po’ in imbarazzo. Naturalmente io risposi di no e adottai come motivo il fatto che Vincino si sarebbe molto arrabbiato. In realtà Vincino, saputa la cosa, mi disse con grande candore: “Toglile, toglile, non importa. ”. Naturalmente non le tolsi e quando Macaluso insistendo mi chiese il telefono di Vincino per potergli parlare direttamente mi guardai bene dal fornirglielo, altrimenti quelle vignette non sarebbero mai apparse. Quando nacque Tango, il primo collaboratore a cui pensai, prima ancora di Altan o Ellekappa o altri miei quasi fratelli, fu Vincino. Lo volli a tutti i costi contro tutti i pareri negativi che mi giunsero da tutta la direzione de l’Unità ma per me era troppo importante averlo, per me era la garanzia che avrei fatto una satira non sdraiata sul PCI ma viva e sferzante.Una cosa che non mi è capitata spesso ma che quando mi è capitata mi ha indispettito assai, è quando, trovandomi a parlar di satira con una qualunque persona che stimavo, questa mi diceva: “No, Vincino no. Non sa disegnare”. Io subito scattavo dicendo: “Vincino non sa disegnare?!? Ma come si può dire tranquillamente una bestialità simile? Il mio amico Vincino disegna benissimo, anzi, disegna meravigliosamente, tant’è che per disegnare ambienti e personaggi, non sceglie quasi mai l’inquadratura ad altezza di orizzonte, quell’inquadratura piatta che tutti gli stupidi sanno fare, ma sottolinea il suo messaggio grafico con inquadrature sempre imprevedibili e difficilissime da rappresentare. ” Per azzittire tutti i detrattori di questo artista con la “A” maiuscola, pubblico in questa pagina la stupefacente visione di “Fontana di Trevi”. Erano i tempi in cui tutta l’Italia progressista lottava contro l’installazione di missili Pershing sul nostro territorio e Vincino pensò di evidenziare i pericoli a cui obbiettivamente stavamo andando incontro disegnando questa veduta della famosa fontana. La didascalia diceva: Fontana di Trevi vista da un missile Pershing impazzito. Non guardatela superficialmente, vi prego, immaginate una volta tanto di tornare bambini, di mettervi col naso vicino all’illustrazione e cominciare a guardarla fin nei più piccoli particolari: sarà un viaggio emozionante di linee, di colori e di atmosfere. Perché allora tante persone possono ingannarsi e giungere a queste brutte conclusioni sui disegni di Vincino? La ragione è perché Vincino creava i suoi disegni satirici sotto l’ossessione perenne di rincorrere l’attualità politica e sociale nel suo veloce evolversi, con l’intensa paura di rischiare di perdere qualcosa. Se dovessi definire la satira di Vincino non avrei dubbio nel definirla “satira compulsiva”. Fin dal primo giorno che l’ho conosciuto, tanti anni fa, quando dopo il mio debutto su Linus cominciai un pellegrinaggio fra disegnatori che amavo e dei quali volevo diventare amico, fui colpito dal suo atteggiamento verso l’informazione e verso i conseguenti commenti satirici. Era il 1980, anni in cui l’informazione seguiva dei ritmi molto più lenti ed umani e gli stessi avvenimenti politici non si accavallavano smentendosi l’uno con l’altro a ritmi vertiginosi, come succede oggi. Vincino cercava di seguire tutto, dalla conferenza stampa ufficiale, agli articoli dei dietrologi, alle notizie flash, ai gossip su vari personaggi politici e non, insomma, tutto. Stavamo parlando accomodati sul divano di casa sua e lui improvvisamente diceva: “Aspetta, aspetta, adesso c’è il TG1”. Riprendevamo a parlare e dopo un po’ si ripeteva la stessa scena: “Adesso c’è il TG2”. E poi il notiziario Radicale, Radio Parlamento, il TG3 etc etc. Durante le notizie disegnava. Disegnava ad un ritmo vertiginoso e non faceva a tempo ad ascoltare la notizia, inventarci la battuta sopra e disegnarla e subito di corsa a passare alla notizia successiva. Per questo i disegni satirici di Vincino non potevano essere meticolosi e accurati nei particolari. Né i disegni né tanto meno il suo lettering. Tutto era veloce e tutto era tirato via ma nulla, credetemi, nulla era superficiale. Un occhio esperto o comunque un occhio di chi ama il disegno noterà in ogni ometto disegnato da Vincino quella particolare inquadratura dal basso o dall’alto, quel particolare movimento di braccia o di gambe, cioè tutti quegli elementi espressivi che affiancano alla battuta letteraria la necessaria emotività dell’immagine. E il tutto è di grande coerenza perché la stessa battuta, la stessa interpretazione politica non è mai scontata e prevedibile, ma sempre diversa e spesso totalmente spiazzante. Una cosa in particolare mi fece innamorare di lui: quando ai tempi di Tango mi raccontò la voglia che aveva avuto di scrivere una sua auto- biografia. Non la scrisse mai e si fermò solo alla copertina ma già in quella c’era tutto Vincino. Il titolo diceva: “Vita di Vincino”, il sottotitolo: “Storia di un opportunista”, sotto-sottotitolo: “Tutta la verità”; sotto- sottosottotitolo: “Cioè, non tutta. Sennò che opportunista sarei? ”. Grande Vincino, ci mancherai tanto.