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In questo mese di settembre si compiono i cent'anni dalla nascita di uno dei più grandi statisti italiani del novecento. Aldo Moro era nato a Maglie, cittadina vicino a Lecce, il 23 settembre del 1916. Sapete tutti come e quando è morto: nel portabagagli di una piccola Renault rossa, il 9 maggio del 1978, abbattuto a colpi di mitraglietta dai capi delle Brigate Rosse - la più importante e potente organizzazione terroristica italiana, che fu attiva, più o meno, tra il 1972 e il 1986 - i quali lo avevano rapito 55 giorni prima durante una spettacolare e sanguinosissima azione in via Fani, a Roma, nella zona di Monte Mario.Aldo Moro, rispetto agli altri grandi statisti del dopo-fascismo (De Gasperi, Togliatti, Nenni, Berlinguer, Craxi, Fanfani) ha qualche cosa di più: la "completezza". Fu uno straordinario uomo di azione e di governo, un grandissimo dirigente di partito, e soprattutto fu un pensatore, e cioè appartenne a quella "razza" di leader politici che oggi - non solo in Italia, probabilmente - sembra del tutto scomparsa. Moro fu l'unico che possedeva tutte quelle doti insieme. L'Italia gli deve moltissimo. Più che agli altri: Moro seppe tenere insieme tutte le anime della politica italiana (cosa che non era riuscita a Togliatti e a De Gasperi); Moro seppe garantire laicità al paese, seppure in un periodo dominato dalla potenza, anche morale, del Vaticano; Moro fu un baluardo per la difesa (e lo sviluppo) dello stato di diritto; Moro fu un riformatore eccezionale, e si deve a lui, ai suoi governi, alla sua iniziativa politica, alla sua intuizione, alla sua capacità di orientare il proprio partito - e persino la Chiesa - l'enorme mole di riforme sociali che nel quindicennio che va dal 1963 al 1978 cambiarono completamente il volto dell'Italia, i rapporti tra le classi, aumentarono il potere dei lavoratori riducendo la potenza della finanza e del capitale, diedero un impulso straordinario alla conquista di nuovi diritti individuali e collettivi, e imposero un fortissimo sviluppo al welfare, riducendo le diseguaglianze sociali.Gli anni successivi alla morte di Moro - certo, anche per una congiuntura internazionale - sono quelli che segnano una costante, lenta, e inesorabile marcia indietro sulla strada dei diritti, del diritto, del pluralismo e dell'equità sociale.In questo mese di settembre, Il Dubbio dedicherà ogni giorno uno spazio al ricordo di Aldo Moro. Lo faremo ospitando interventi, analisi, ricordi, opinioni, ma soprattutto lo faremo ripubblicando una selezione delle lettere che Moro scrisse dalla prigione delle Brigate Rosse, e che furono ignorate dal "Palazzo" della politica e dei giornali, con un atteggiamento fortissimamente ingiusto e di clamorosa sordità politica e intellettuale: quelle lettere esprimevano forse il punto più alto del pensiero e dell'umanità di Aldo Moro che poi, a guardar bene, era esattamente il punto più alto del pensiero e dell'umanità - e del sentire comune - di tutto il vastissimo mondo politico italiano - fatto di partiti, di sindacati, di associazioni popolari, di consigli di fabbrica, di movimenti studenteschi e giovanili, di organizzazioni religiose - che era la spina dorsale del paese, e che dopo la scomparsa di Moro si disperse.Moro ha una biografia molto ricca. Giovanissimo fu uno studioso appassionato del diritto e un dirigente di primo piano della gioventù universitaria cattolica (la Fuci) che era una delle poche associazioni non vietate dal fascismo, ma sicuramente in posizione di dissenso forte verso il regime. Moro era un figlioccio del segretario di Stato Vaticano e futuro papa Giovan Battista Montini. E da quell'esperienza iniziò la sua travolgente carriera politica. Che lo portò, a trent'anni, a far parte della Costituente e della commissione ristretta che scrisse la Costituzione, poi a ricoprire molte volte la carica di ministro (della scuola, della giustizia, degli esteri...) e infine ad assumere la carica di primo ministro nei primi governi organici di centrosinistra (dal 1963 al 1968), cioè dei primi governi riformisti dell'Italia repubblicana. Fu anche segretario della Dc, fu di nuovo premier a metà degli anni '70, e poi fu presidente del partito (col suo amico Zaccagnini segretario) quando maturò la scelta della "solidarietà nazionale" e della formazione di quel governo basato sulla alleanza tra Dc e Pci che in un anno e mezzo (subito dopo la morte di Moro) varò riforme clamorose, come la riforma sanitaria, quella psichiatrica, i patti agrari, l'aborto, l'equo canone. È Moro che convinse il suo partito, che recalcitrava, a scegliere la via dell'alleanza con il Pci e delle riforme. Lo fece col discorso di Benevento, nell'inverno del 1978, e cioè com uno degli ultimi prima del rapimento, che avvenne proprio nel giorno nel quale il governo di solidarietà nazionale si insediava.L'anno prima aveva pronunciato alla Camera un intervento memorabile, in difesa del ministro Gui, che era accusato di aver preso tangenti nell'affare Lockheed (acquisto di aerei per l'esercito italiano da una azienda statunitense). Quel discorso andrebbe riletto alla Camera e al Senato ogni volta che si discute e si vota sull'autorizzazione all'arresto di un parlamentare. Perché conteneva, in forma molto alta, tutte le argomentazioni del moderno garantismo, metteva in guardia la politica dall'inseguire le pulsioni dell'opinione pubblica (che invece va rispettata, informata e orientata) e descriveva con grande lucidità la necessità che la politica rivendicasse il proprio ruolo e anche la propria discrezionalità e la delicatezza dei propri compiti, senza abdicare ad altri poteri e senza sacrificare il diritto ai calcoli della tattica o dell' interesse. Moro - in un clima di grandissima tensione - concluse così il suo discroso: " Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare! ". Era la sera del 9 marzo 1977. Un anno e una settimana più tardi Moro fu rapito e processato dalle Br. Si difese, accusò, spiegò, continuò ad essere un leader politico e un pensatore fino a un minuto prima che la mitraglia lo uccidesse, a 61 anni, nel pieno della sua vigorìa intellettuale.A noi sembra che la grandiosità di Moro stia nelle lettere dalla prigione delle Br. E per ricordare la sua figura, da oggi, iniziamo un lavoro editoriale che durerà un mese intero e che parte proprio da quella maledetta giornata, il 16 marzo del 1978, che forse è stata la giornata più tragica della Repubblica, e anche quella che ha pesato più di ogni altra sul suo destino.