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Antonella Cilento è nata e vive a Napoli, dove ha una scuola di scrittura da 25 anni, il suo stile è un fiume in piena capace di raccogliere ogni sonorità e ogni significato della lingua italiana, di cui ci mostra il potere a ogni pagina. Con Morfisa o l’acqua che dorme ( Mondadori, 408 pp., 20 euro) tesse un romanzo policromo, fatto di odori e sentimenti, paganesimo e sacralità, sogni e trivi. La sua voce dà spazio all’umanità in ogni sua dimensione, spiritualità e corporalità, così come odori e sogni, camminano fianco a fianco sul grande arazzo del mondo. Teofanès è un poeta della Costantinopoli dell’undicesimo secolo, o meglio, vorrebbe esserlo. Sua madre, più concreta, pretende che lui faccia carriera, lo mette su una nave e lo invia a Napoli per una missione diplomatica. Ma è il desiderio artistico di Teofanès il motore del romanzo. L’unica che ha la dote di narrare, trasformarsi, entrare nei sogni altrui, è la Morfisa del titolo, capace di generare il magico e leggendario uovo di Virgilio, cui sarebbe legato il destino della città. L’inseguimento di Teofanès ai danni di Morfisa e la fuga di lei che cerca di salvare l’uovo, e quindi Napoli, si snodano attraverso i secoli fino ad arrivare ai giorni nostri.
Gran parte di Morfisa o l’acqua che dorme si svolge nell’undicesimo secolo. Un’epoca dimenticata?
L’undicesimo secolo è un tempo scomparso dai nostri libri di scuola, che terminano con la caduta dell’impero romano e ripartono dai comuni.
Cosa è successo in questi seicento anni?
Raccontare questo tempo e una Napoli diversa è l’obiettivo iniziale di Morfisa. Pochi sanno che per sei secoli Napoli è forte, indipendente, ha un proprio esercito, tanto che può spesso salvare Roma. La trama è fatta di avventure cicliche. Il romanzo bizantino ci sembra un oggetto svanito, ma siamo tutti spettatori di serie tv come lo siamo stati di soap opera, quella narrazione che il romanzo ottocentesco definiva feuilleton. Queste narrazioni rotatorie sono tipiche del romanzo bizantino.
Bizantino e picaresco insieme?
Sì. Già in Lisario o il piacere infinito delle donne avevo perseguito questa linea, ambientando il romanzo nella Napoli del Seicento con l’idea di rendere protagonista una donna, mentre i picari, da Cervantes a Lazarillo de Tormes e così via, sono sempre maschi. Vediamo, in Morfisa, che la tradizione picaresca ha nel romanzo bizantino un precedente avventuroso, ma mentre il Seicento ci è quasi familiare, a Napoli come a Roma, quella di Morfisa è un’epoca cancellata. Bisogna andare a cercare i monumenti così come le parole.
Le donne stanno vivendo una stagione felice nella letteratura, la sua protagonista ne è un esempio…
Nel tempo in cui gran parte della storia di Morfisa è ambientata c’è un forte residuo di matriarcato. Teodora e Zoe sono imperatrici di Bisanzio, e sono in due. È un’epoca in cui certi mestieri e i gruppi di potere sono spesso legati alle donne. In questo romanzo è tutto amplificato in maniera immaginaria: da un lato troviamo le Virgiliane, sibille che hanno poteri magici, il residuo di un paganesimo potente e ancora vivo a Napoli, dall’altro le Sangennare, parenti di San Gennaro, autorizzate a insultare il santo, a chiamarlo “Faccia ‘ ngialluta”. Ovviamente non mancano le badesse, le monache, che in questo libro volano e fanno pipì sulle teste dei normanni, perché ogni tanto si esaltano e sono persino drogate di lauro, tradizione conosciuta e praticata nella Piedigrotta napoletana.
In Morfisa, nel suo tessuto fantasmagorico, compare la visione di molta letteratura che è stata e che verrà. Il tema metanarrativo è centrale?
Morfisa è in grado di immaginare tutte le storie che non sono state ancora scritte e conosce le trame di tutte quelle che già esistono. A un certo punto nel romanzo c’è nascosto il Moby Dick, Teofanès vede questa trama e gli pare molto interessante, vede Pinocchio, Romeo e Giulietta, la versione babilonese di Orgoglio e pregiudizio. La letteratura ha uno spazio rilevante e dentro il romanzo vi sono tracce di tutta la letteratura che amo, da Luciano ad Apuleio, all’Ariosto, a Savinio. Esiste un ramo della letteratura che ci sembra secondario, perché appannato da un’idea obbligatoria di realismo. Per Borges, intervistato da Arbasino, il realismo è solo una parentesi nella storia della letteratura, che è stata fantastica da Omero fino al Novecento.
Due donne: Anna Maria Ortese e Elsa Morante. Che peso hanno sul suo percorso?
Ho cominciato a scrivere perché in prima media avevamo come libro di lettura Il mare non bagna Napoli. A dieci anni un racconto mi ha cambiato la vita: Un paio di occhiali. Lì, alla figlia del portiere, Eugenia, vengono messi gli occhiali, che costano «cinquemila lire vive vive». Quando li inforca vede che gli adulti intorno a lei non sono come li immaginava. Leggendo questo racconto ho scoperto non solo che mi avevano messo gli occhiali a cinque anni, come a Eugenia, ma me li avevano comprati nello stesso negozio di ottica del racconto, l’ottica Sacco, la più antica d’Italia. Capii che i libri parlava- no anche di me. La Morante è arrivata un poco dopo, ma è un modello fondamentale.
Quanto conta l’elemento dell’acqua?
Oltre al mare, ovviamente importante, a Napoli c’è una tradizione legata alle acque scomparse. Ci sono un paio di fiumi, ad esempio, che passavano per Napoli di cui non è più traccia. Uno famoso è il Sebeto, che attraversava la città. Poi le acque termali: Napoli e i Campi Flegrei ne avevano una quantità straordinaria. Ogni tipo di acqua era censita, come racconta una lapide del Seicento: vi sono acque ferrate, acque rosse, considerate miracolose, come nel tunnel borbonico. In Morfisa l’acqua è magica, è il modo per attraversare il tempo e lo spazio.
La potenza del sogno agita la narrazione?
Ha una funzione essenziale quando scriviamo. Stevenson raccontava che Il Dottor Jekyll e Mister Hyde gli si prefigurò in sogno una notte. Vide quest’uomo che davanti a una finestra girava le ampolline con la sostanza bevuta dal protagonista. Dopo questo sogno scrisse di corsa tutto il libro. Bram Stoker racconta che la figura di Dracula arrivò in sogno dopo una terribile indigestione di granchi. Morfisa sogna l’amore, resta anche incinta e non sapremo mai se si tratti di sogno o verità, se sia possibile o meno cambiare i destini delle persone.
Lei da 25 anni insegna scrittura, ha creato Lalineascritta…
L’insegnamento fa parte integrante della mia attività immaginativa e non insegno con l’obiettivo di portare necessariamente nel mercato. Alcuni miei allievi sono arrivati nella grande editoria, ma il mercato non mi interessa, mi interessa formare persone più consapevoli nella scrittura e nella lettura.
Teofanès insegue l’uovo di Virgilio che gli suggerisce tante storie, eppure non diventa mai davvero uno scrittore. Se non c’è il talento non si può riuscire?
Teofanès è un eterno dilettante che cerca scorciatoie. Il monaco Nilo, un altro personaggio, gli dice chiaramente: «Ma se tu non hai disciplina, non succederà mai niente». Teofanès cerca la chimera del successo, oggi diremmo della facilità commerciale, va in giro per l’impero e per i secoli con questo manoscritto che non finisce mai. Cerca di risolvere con l’uovo ciò che lui non fa. Ci vuole, invece, quel famoso novanta percento di traspirazione, piuttosto che d’ispirazione. La ferita che porta ognuno di noi a esprimersi non è insegnabile, né misurabile, a volte neppure identificabile. La differenza la farà sempre la determinazione. Ho visto persone con molto talento fermarsi.