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Quando c’è la firma di Matteo Rovere su un film che sia alla regia o in produzione vuol dire che quella pellicola, per dirla in metafora calcistica, farà sicuramente goal. Ed è proprio il calcio come ambiente e come metafora lo sfondo intorno al quale si svolge Il Campione, film d’esordio alla regia di Leonardo D’Agostini, in uscita nelle sale italiane dal 18 aprile e con protagonisti Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano, scoperto da Francesco Bruni in Tutto quello che vuoi. L’attore interpreta un giovanissimo calciatore, una vera e propria rockstar della AS Roma a cui la società decide di imporre di raggiungere dei risultati scolastici decenti pena la panchina.
Per poter continuare a giocare gli verrà affiancato un professore interpretato da Accorsi, incaricato di guidarlo sulla via della maturità. Com’è stato per altri film prodotti o girati da Rovere come Smetto quando voglio ( tra i produttori di Il campione c’è Sydney Sibilia) o Veloce Come il vento, Leonardo D’Agostini realizza un film semplice ma ricco di emozioni, classico nella struttura alla Attimo Fuggente e Will Hunting Genio Ribelle, quella del rapporto mentore- allievo ma finalizzato a raccontare la rinascita e le seconde possibilità.
Realizzato con il benestare della AS Roma che ha aperto le porte di Trigoria e dello Stadio Olimpico, il film è pieno di sport che non è altro che una metafora sul successo. Stefano Accorsi quasi doppia la sua bravura di Veloce come il vento e ci dona un professore dalla personalità sfaccettata, una persona che ha sofferto e che prende il suo lavoro di insegnante con grande passione e serietà, con dei momenti buffi e ironici che conferiscono profondità. L’attore bolognese racconta l’immersione in questo personaggio, elogiando il grande lavoro di regia, produzione e scrittura fatto sul film e rivela gli insegnamenti tratti da Il Campione.
Un film emozionante da vedere e da interpretare?
Sicuramente il ruolo di Valerio è stato emozionante e anche complicato da portare sullo schermo, vista la tragedia che ha vissuto nel suo passato però il copione era molto emozionante.
Dall’incontro con Leonardo D’Agostini, ho capito che è un regista che ha a cuore una storia. Anche i produttori non hanno mollato la presa un secondo esigendo molto da noi come è giusto che sia. Nel cinema che costa tanti soldi, bisogna arrivare al set con un copione scritto bene, con il rapporto fra i due personaggi già proprio scritto. Poi, che si parli di emozioni mi fa molto piacere perché credo che un film debba emozionare, far ridere e farci sentire che sta parlando di noi. Il calcio non voglio dire che è un pretesto ma sicuramente era il contesto giusto nel quale calare una storia molto complessa.
Quanto degli aspetti del suo personaggio, fragile e un po’ buffo erano presenti nel copione e quanto invece è frutto di improvvisazione?
C’è stata grande attenzione sulla sceneggiatura che è fondamentale. Un regista giapponese di cui non ricordo il nome, rispose a chi gli chiedeva il segreto per diventare un bravo regista: «Scrivete scrivete e riscrivete». Non costa tanti soldi in più e serve molto, ci sono tante versioni del copione, lavoro di preparazione e uno scambio continuo. Il lavoro di improvvisazione lo puoi fare solo se alla base hai una sceneggiatura solida altrimenti oggi come oggi con le piattaforme che propongono tanti buoni film e serie TV e il confronto è spietato, non ci si può aspettare che un film funzioni solo perché succederà la magia sul set.
Il Campione mostra l’importanza dello studio nella vita. Una rivincita dei professori?
Il professore che interpreto è proprio una bella figura. Per quanto sia un uomo che ha avuto un’esperienza tragica nella vita, è uno di quei professori che se uno l’avesse incontrato, se lo ricorderebbe. Non nascondo che per il cinema è una figura abbastanza inedita come quella del calciatore. Lo sport può essere una bellissima metafora però è un terreno pieno di insidie, portarlo al cinema è difficile. Quando Totti ha visto il film ha detto: “è proprio così”. Si è emozionato e questa la trovo una conquista incredibile perchè se il film è fedele da quel punto di vista poi ci si può abbandonare alle emozioni.
È un po’ anche un film di rinascita e di seconde possibilità?
Assolutamente sì, è un romanzo di formazione che va nei due sensi. Così come racconta che per un giovane calciatore rockstar c’è ancora tempo per imparare tante cose e magari imparare anche a gestire meglio il proprio potenziale, anche per un uomo più grande che avuto una vita complessa, è possibile ritrovare il gusto della vita e il gusto dell’insegnamento anche perché i grandi insegnanti imparano insegnando.
Come avete lavorato invece sui silenzi tra i vostri personaggi
I silenzi nel cinema sono fondamentali. Gli americani dicono: «show, don’t tel» che significa «mostra, non raccontare». Le parole sono importanti ma per costruire il rapporto tra i nostri personaggi abbiamo anche girato lunghe sequenze nella casa del personaggio di Christian, a volte in ordine cronologico perché ti aiuta. Un altro aspetto importante sta nella sensibilità in fase di montaggio perché magari mettere l’accento su di uno sguardo e toglierlo a un dialogo è la soluzione migliore.
Cosa ha imparato Stefano Accorsi da questo film?
Ho avuto l’opportunità di parlare con una bravissima insegnante che mi ha fatto riflettere: che nella vita c’è sempre speranza questo lo so, per fortuna uno dei miei migliori amici l’ho conosciuto a 42 anni e mi ha un po’ salvato la vita. Ho capito anche che la vita è sempre piena di sorprese, l’importante è non pensare mai che non lo sia.
Le è capitato di incontrare un professore simile a quello che interpreta nel film?
Ho avuto una professoressa alle medie che mi ha insegnato tanto e poi ho conosciuto uno psicologo quando ero già più grande che era soprattutto una persona con una grande capacità di creare un rapporto con chi aveva di fronte e quello per me è stato fonte di ispirazione.
Qual è il suo rapporto col calcio venendo dalla città del basket?
Diciamo che non sono tifoso, simpatizzo per Bologna e Inter per ragioni familiari però vado anche allo stadio a vedere le partite perché può essere un bellissimo spettacolo per chi come me lo considera tale senza tutte le complicazioni dell’essere tifoso.