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Le lenti dell’ideologia sono ancora ben calate sul naso dell’Italia, parola di Ugo Intini. Lo storico esponente del Partito Socialista Italiano e teorico dell’importanza dell’identità, bolla le polemiche italiane come «ipocrisie» e promuove la risoluzione dell’Europarlamento che equipara e condanna nazifascismo e comunismo.
Serviva una risoluzione del genere?
A mio parere sì. Il Parlamento europeo fa bene a chiarire la nostra identità e le basi culturali e storiche dell’unità europea. Un’unità che, per altro, dovrebbe essere politica e ancora non è.
In che modo equiparare nazifascismo e comunismo chiarisce la nostra identità di europei?
La risoluzione dice che noi come europei siamo in antitesi sia con il comunismo che con il nazifascismo. Mi sembra un punto fondamentale dell’identità europea: posso capire che noi europei siamo troppo immersi in noi stessi per vederlo, ma per l’esterno è una considerazione fondamentale.
Le faccio un esempio: i Canadesi sono orgogliosi di dire che sono americani europei perché, a differenza degli Stati Uniti, hanno in tasca non la pistola ma la tessera sanitaria. Una è simbolo di intolleranza e pena di morte; l’altra il simbolo dello stato sociale. Le pare poco?
Tra le critiche, c’è il fatto che il testo sia eccessivamente semplicistico.
Non ho letto semplificazioni, perché ogni cosa scritta è corretta. E’ chiaro che si potrebbe ulteriormente approfondire, ma in Italia una risoluzione del genere cozza con un nostro endemico conservatorismo storico.
Cosa intende?
A Roma c’è viale Palmiro Togliatti, a Torino via Stalingrado. In Italia i due totalitarismi sono stati si condannati, ma i loro eredi - sia comunisti che fascisti - sono diventati forze di governo. Questo ci rende molto arretrati.
L’Italia, come sempre, fa eccezione?
Diciamo che l’Italia è molto ipocrita. Tra il 1992 e il 1994, quelli che storicamente avrebbero dovuto essere condannati hanno preso il potere, mentre i partiti democratici sono stati cancellati. Comunisti e fascisti hanno cambiato nome, ma le persone sono rimaste le stesse.
Insomma è ancora politica e non già storia?
Diciamo che sono questioni su cui si ragiona con difficoltà. Io ne so qualcosa: pensi che ancora oggi vengo chiamato Ugo Palmiro. Una presa in giro per rimproverarmi di essere stato un assalitore frontale del mito di Togliatti, sostenendo che fosse complice dei crimini di Stalin, in quanto suo consigliere.
Ma questi due totalitarismi si assomigliano davvero?
Si somigliano molto. Nazifascismo e comunismo hanno in comune l’intolleranza per la libertà individuale e i diritti umani e non è stato infrequente il passaggio di persone da uno all’altro. Nel dopoguerra, moltissimi intellettuali fascisti sono diventati comunisti. Un caso tragico è stato quello di Nicola Bombacci, che negli anni Venti fu dirigente della sinistra socialista, poi fondò il Pci, nel ventennio divenne fascista e fu ministro della Repubblica di Salò, per finire i suoi giorni a piazzale Loreto. Si potrebbe ragionare anche sul fatto che la destra estrema oggi abbia particolare successo in Paesi ex comunisti, come Ungheria, Polonia e Germania orientale.
Il mondo ex comunista, però, si è molto indignato.
La verità è che il totalitarismo sovietico per alcuni aspetti è stato peggio di quello nazifascista: ha fatto molti più morti, per esempio. Anzi, i comunisti hanno ucciso più comunisti di chiunque altro. Per altri aspetti, invece, è stato meglio: il marxismo è stato la base culturale della socialdemocrazia e i suoi fondamenti morali sono rispettabili.
In Italia e in tutto l’Occidente i comunisti erano persone per bene che, ad eccezione di Togliatti, non conoscevano gli scempi condotti in Urss. Inoltre, il comunismo non è stato solo un fallimento, basti pensare ai casi della Cina o del Vietnam.
Quindi non condanna in toto il comunismo?
Dico che il dubbio dovrebbe venire. La democrazia ha la coscienza a posto per condannare i due totalitarismi? Comunismo e nazifascismo sono il risultato della carneficina che fu la Prima Guerra Mondiale, provocata proprio dall’irrazionalità delle democrazie europee di quel tempo.
Il muro di Berlino è crollato trent’anni fa: eppure in Italia il tema delle ideologie novecentesche torna di continuo.
Le ragioni sono due. La prima è che l’Italia è un paese di vecchi, dunque tende a considerare vicine anche cose ormai distantissime. E’ la vecchiaia della popolazione a facilitare questa nostra tendenza a guardare indietro e non avanti. La seconda è che siamo il Paese occidentale meno scolarizzato e con la più bassa percentuale di laureati, dunque esiste grande ignoranza.
E’ amaro dirlo, ma è così. E guardi che questo non influenza solo il dibattito politico. Che motore di sviluppo può avere un paese di vecchi in cui i giovani sono poco istruiti? Ecco spiegata la nostra crisi.
A proposito di ideologie: Matteo Renzi, nel lasciare il Pd, ha detto che non si riconosce in un partito dove si canta ancora Bandiera rossa.
Anche qui siamo nel campo delle ipocrisie. A me, che comunista non sono mai stato e anzi ho condotto dure battaglie contro l’ideologia comunista, non dà affatto noia che si canti Bandiera rossa. Anzi, mi fa piacere perché è un canto popolare di compagni generosi che credono in un ideale. Altro che Bandiera rossa, il problema del Pd è che è ancora fulgido il mito di Enrico Berlinguer.
I problema sono i miti del comunismo?
Per fortuna quello di Togliatti è sbiadito. Quello di Berlinguer è ancora vivo, però chi lo celebra dimentica che non era un socialdemocratico ma un comunista, e questa è un’offesa alla sua memoria oltre che alla storia. Bisogna dirlo: Berlinguer era una persona per bene, ma era un comunista. Il guaio di questi miti è che esercitano attrattiva perché è ancora forte lo spirito dogmatico. Ma i dogmi portano al disastro, lo spirito critico al progresso.