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L'oro è il più immobile dei beni immobili. Più del mattone, più dei corsi fluviali, degli alberi secolari e delle terre emerse. Nella brevità del suo nome è racchiuso il mito di un metallo speciale e senza tempo, la sua grana lucente sembra capace di catturare i raggi del sole, le sue fibre possono diventare più sottili di un capello. La sua prodigiosa composizione chimica lo rende inossidabile e inattaccabile dall'esterno (salvo dal mercurio) mentre la sua rarità gli conferisce prestigio e valore. E nel corso della Storia è stato foriero di virtuose metafore, ispirando concetti ideali; è stato associato a bontà e bellezza, una "persona d'oro" è qualcuno di elevate doti morali, la "regola aurea" è un principio da cui far discendere le nostre azioni, la "dorata gioventù" evoca un tempo spensierato privo di preoccupazioni e cattivi pensieri, la "sezione aurea" è la proporzione perfetta nelle arti figurative e nella matematica, l'"età dell'oro" ci rimanda invece a un paradiso perduto, un eden senza povertà di abbondanza condivisa in cui i privilegi appartenevano a tutti. Si tratta dell'Eldorado, luogo leggendario in cui "i bisogni materiali sono tutti appagati" e dove gli esseri umani "vivono in pace e armonia tra di loro", luogo che nessuno ha mai trovato ma che ha ispirato la penna degli scrittori ma soprattutto centinaia di spedizioni navali nel nuovo mondo alla ricerca della chimera aurea. L'oro sembra dunque apparetnere agli dei o addirittura provenire da un mondo immaginario, come l'oro del biblico re Salomone rinvenuto nella regione fantastica di Ophir che i geografi antichi e moderni non sono mai riusciti a individuare su una cartina né nella realtà. Ma nel gioco dei rovesci, l'oro è anche il simbolo del potere e dell'avidità umana per il cui possesso sono stati commessi crimini ed efferatezze innominabili (basti pensare ai saccheggi e ai massacri dei conquistadores spagnoli). Tanto che secondo Plinio il vecchio sarebbe dovuto essere "completamente bandito dalla vita civile" perché il primo uomo che ha traformato l'oro in una moneta ha commesso "il più grave dei delitti". Come scrisse Wagner molti secoli dopo nell'anello del Nibelungo: "L'oro dovrebbe essere slegato dalla ricchezza ed ammirato unicamente per il suo splendore" Re Mida, sovrano della Frigia aveva ricevuto da Dionisio il dono di tramutare in oro tutto quel che toccava, una cupidigia che gli impediva persino di sfamarsi tanto che fu costretto a rinunciare al tocco magico implorando lo stesso Dionisio di restituirgli la normalità attraverso un bagno pruficatore nel fiume Sardi. Anche il Candido di Voltaire si rese conto della "caducità delle ricchezze terrene" quando di ritorno da Eldorado dovette gettare nelle paludi e nei dirupi i quintali d'oro che aveva ricevuto in offerta per riuscire a salvarsi la vita. La storia recente invece ci racconta di frenetiche corse all'oro, ai filoni auriferi del nuovo mondo, ai pionieri che costruivano città minerarie per estrarre qualche filamento dalle formazioni rocciose dell'America profonda o ricercavano minutissime pepite sulle rive del fiume canadese Klondike, o persino nelle remote regioni australiane. Una realtà fatta di duro lavoro, di trivellazioni, esplosioni, lunghe e sfibranti ricerche per ottenere qualche oncia del prezioso e rarissimo materiale. Di sicuro oggi l'oro è il solo elemento della tavola periodica che resiste con noncuranza alle frustate della crisi economica: i suoi lingotti che riposano nei caveau delle banche centrali costituiscono l'estrema riserva di benessere degli Stati, uno scudo per proteggersi dalle intemperie della recessione. E quando la giostra impazzita della finanza creativa avrà prosciugato l'ultima goccia dei beni immateriali che caratterizzano la nostra epoca, ci aggrapperemo alle virtù e alle proprietà del nobile metallo come fosse un feticcio primordiale, una zattera nella tempesta. Perché nell'oro il valore coincide con la materia, è la ricchezza che si fa cosa tattile diventando " bella e sensuale" per citare le parole del sociologo americano Thorstein Veblen, materia aurea, contrapposta alle infide e svolazzanti traiettorie del capitale finanziario, o al timbro dozzinale del vile denaro, quella convenzione cartacea che Marx chiamava '"equivalente generale". Se nel 2002 il prezzo all'oncia era di appena 250 euro, oggi è schizzato a quasi 1600 euro, un incremento iperbolico che pare destinato a salire parallelamente all'avanzata della crisi. Non a caso nelle nostre città spuntano come funghi le losche agenzie di "compro oro", circa 30mila solo in Italia (oltre 14 miliardi di fatturato), di cui appena un centinaio è registrato presso la Banca d'Italia mentre la metà è gestita direttamente dalla criminalità organizzata. La recessione globale generata dalla pandemia di covid-19 ha distrutto milioni di posti di lavoro e nelle città si creano file chilometriche attorno ai monti di pietà per vendere e svendere i propri gioielli e bijoux, gettando i propri ricordi nel tritacarne della compravendita, ma nella consapevolezza che l'oro è davvero l'ultima linea di difesa prima del diluvio.