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«Caro Zaccagnini,scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D. C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare.Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D. C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri.Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire.È peraltro doveroso che, nel delineare la disgraziata situazione, io ricordi la mia estrema, reiterata e motivata riluttanza ad assumere la carica di Presidente che tu mi offrivi e che ora mi strappa alla famiglia, mentre essa ha il più grande bisogno di me. Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io. Ed infine è doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al disotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui.Questo è tutto il passato. Il presente è che io sono sottoposto ad un difficile processo politico del quale sono prevedibili sviluppi e conseguenze. Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile. Il tempo corre veloce e non ce n'è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi.Si discute qui, non in astratto diritto (benché vi siano le norme sullo stato di necessità), ma sul piano dell'opportunità umana e politica, se non sia possibile dare con realismo alla mia questione l'unica soluzione positiva possibile, prospettando la liberazione di prigionieri di ambo le parti, attenuando la tensione nel contesto proprio di un fenomeno politico. Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D. C. che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l'avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco.Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità senza avere subìto alcuna coercizione della persona; tanta lucidità almeno, quanta può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che sa che cosa lo aspetti. Ed in verità mi sento anche un po' abbandonato da voi.Del resto queste idee già espressi a Taviani per il caso Sossi ed a Gui a proposito di una contestata legge contro i rapimenti.Fatto il mio dovere d'informare e richiamare, mi raccolgo con Iddio, i miei cari e me stesso. Se non avessi una famiglia così bisognosa di me, sarebbe un po' diverso. Ma così ci vuole davvero coraggio per pagare per tutta la D. C. avendo dato sempre con generosità. Che Iddio v'illumini e lo faccia presto, com'è necessario.Affettuosi salutiAldo Moro».È il 4 aprile.Il 31 marzo, il «Popolo» e «l'Unità» avevano titolato: «Nessuna trattativa, nessun cedimento al ricatto». È questo il senso consonante di due articoli che definiscono, rispettivamente, la posizione democristiana e comunista. Entrambe disconoscono l'autenticità della scrittura di Moro, attribuendola allo stato di costrizione che subisce. Uno stuolo di criptologi, grafologi, farmacologi analizzano le parole di Moro per dimostrare come sia sottoposto a stupefacenti o a tortura.Il 2 aprile, Paolo VI si affaccia, a mezzogiorno, a piazza San Pietro e, pur sottolineando l'assenza di «alcun particolare indizio sullo stato di fatto», rivolge un appello ai rapitori di Moro perché lo rilascino. Intanto si è concluso il Congresso socialista. Nella relazione conclusiva di Craxi c'è un pregnante riferimento al caso Moro, in cui il segretario socialista sembra prendere le distanze dalle posizioni più intransigenti. «È in gioco una vita umana - dice - e non dovrebbe essere lasciato cadere nessun margine ragionevole di trattativa».Il 3 aprile, i segretari dei partiti di maggioranza si riuniscono per la seconda volta: la prima era stata immediatamente dopo il sequestro e aveva registrato un fronte compatto per la fermezza. Adesso, in previsione del dibattito parlamentare dell'indomani, sembra necessario verificare la maggioranza. Cossiga relaziona sullo stato delle indagini. È minuzioso e dettagliato ma, evidentemente, non ha alcun conforto di risultati. Berlinguer insiste sulla necessità che il governo esprima con estrema chiarezza il rifiuto di ogni trattativa; in caso contrario teme le reazioni delle forze dell'ordine. Zaccagnini attenua i toni: è d'accordo sulla fermezza, ma non esclude ogni azione legale volta a salvare Moro. È Craxi, reduce dal Congresso di partito, a discordare dagli altri. Prima dell'incontro, ha rilasciato una breve intervista al giornale radio, in cui dichiara la necessità di esplorare tutte le strade per liberare il presidente democristiano.È il 4 aprile. Inizia, nel pomeriggio, il dibattito alla Camera. In mattinata, nella riunione dei capigruppo, si è concordato di fissare dei limiti di tempo per le interrogazioni. È Andreotti che espone le linee del governo. Ribadisce che «non si può patteggiare con gente che ha le mani grondanti di sangue». Ragguaglia sulla lettera inviata da Moro a Cossiga e la dichiara - con il conforto degli esperti - «moralmente a lui non ascrivibile». Dopo di lui si ascoltano gli interventi di Natta, per i comunisti, e di Piccoli, per i democristiani. Natta proclama il dovere del parlamento e delle forze democratiche di provvedere alla difesa più ferma e rigorosa dei princìpi, delle leggi e degli istituti dello Stato democratico. Piccoli ripete il rifiuto di avviare trattative, una scelta che la Dc avrebbe fatto anche se fosse stato un partito d'opposizione.È a questo punto che viene comunicato a Cossiga, a Zaccagnini, ad Andreotti, a Berlinguer e ad altri che è giunta un'altra lettera di Moro. Le Br hanno telefonato, nel pomeriggio, a Milano, Genova, Torino e Roma, alle redazioni di alcuni giornali per avvertire di aver lasciato dei plichi. Dentro, ci sono il comunicato n. 4 delle Br, la Risoluzione strategica del febbraio '78 e una lettera di Moro a Zaccagnini, scritta presumibilmente qualche giorno prima - «da quindici giorni in una situazione eccezionale». Il comunicato delle Br, dopo aver affermato che il processo a Moro è il processo a trent'anni di regime democristiano, sottolinea che «la posizione sullo scambio non è la nostra». Moro, nella lettera, fa riferimento al caso di Mario Sossi, il magistrato sequestrato dalle Brigate rosse a Genova nell'aprile 1974 e liberato dopo trentacinque giorni di prigionia, dopo aver chiesto la scarcerazione di un gruppo di militanti politici. «Il processo ad Aldo Moro andrà regolarmente avanti», scrivono adesso le Br. In nottata, a piazza del Gesù, riunione del vertice democristiano. Zaccagnini è il più provato e la direzione Dc sembra riunirsi attorno a lui per impedire ogni sgretolamento della linea adottata.Lanfranco Caminiti