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Ora è ufficiale: Asia Argento non sarà più giudice di X Factor. Sky, che produce il talent musicale, l’ha scaricata dopo le accuse di violenza sessuale mosse contro di lei dall’attore Jimmy Bennett. Le puntate già registrate andranno in onda, ma entro qualche giorno si saprà il nome di chi la sostituirà. Da accusatrice di Harvey Weinstein ad accusata, anche Asia Argento è finita stritolata nella gogna pubblica che, quando lei si trovava dall’altra parte della barricata del “metoo”, aveva già travolto attori e registi. Il suo ( ormai quasi ex) collega Manuel Agnelli, anche lui giudice di X Factor, si è detto «addolorato». Penso, ha sottolineato, che «tutta questa vicenda abbia raggiunto dei vertici di distorsione pericolosi. Il New York Times non può essere il tribunale. Se non c’è un’accusa, se non c’è un’indagine, se non c’è un processo e non c’è una sentenza, non ci può essere una condanna pubblica così violenta, così mostruosa. È stato uno schifo!». Tra la fine degli anni 40 e i primi anni 50 gli Stati Uniti d’America furono travolti dal “maccartismo”, dal nome del senatore repubblicano Joseph McCarthy. Si veniva perseguitati e censurati con l’accusa di essere comunisti: gli attori e i registi che finivano nella lista nera venivano allontanati da Hollywood come se fossero appestati. Nella rete di accuse false e caccia alle streghe finirono alcuni grandi nomi dell’epoca, tra cui Humphrey Bogart, Artur Miller, Lauren Bacall, Bertolt Brecht, Carl Foreman, Joseph Losey. Oggi l’accusa non è più quella di essere comunisti. Il reato è legato alla sfera sessuale, ma il meccanismo è lo stesso: basta il sospetto o l’accusa, anche se non verificata, per venire processati dall’opinione pubblica ed essere cacciati: una sorta di lapidazione virtuale dagli effetti, come ha detto Manuel Agnelli, mostruosi. Kevin Spacey, dopo 5 straordinarie stagioni di House of cards, la serie culto sul potere politico, è stato “cancellato”. La sesta stagione sarà senza di lui. Ad aver scatenato le ire maccartiste di Netflix sono state le dichiarazioni di alcuni attori e alcuni membri della tropue che hanno accusato Spacey di averli molestati sessualmente. Non c’è stato ( se mai ci sarà) un processo, ma la sentenza è definitiva: via Spacey dalla serie che lui ha contribuito a far diventare un successo mondiale. E via il suo volto dal film di Ridley Scott dedicato al rapimento di John Paul Getty III. Tutte le scene in cui l’attore compariva sono state rigirate e in Tutti i soldi del mondo di lui non c’è la più piccola traccia. La mannaia del “processo mediatico” non ha risparmiato un altro grande della scena contemporanea: Woody Allen anche lui travolto, di riflesso, dallo scandalo Weinstein. Su Allen pesa il sospetto di aver abusato della figlia, Dylan Farrow. Nel ‘ 91-’ 92 si svolse una indagine che si concluse con un nulla di fatto contro di lui. Ma dopo il caso Weinstein la figlia e la madre, l’attrice ed ex moglie di Allen, Mia Farrow, hanno rilanciato le accuse. Tanto è bastato perché Amazon, che ha prodotto gli ultimi suoi lavori, abbia preso la decisione di bloccare l’uscita di A rainy day in New York. Il film, già finito, non verrà distribuito e Allen si è preso una pausa, che sembra forzata, dal set. Meno remissivo è stato Roman Polanki, che è stato fatto fuori dall’Accademia delle Arti e delle Scienze del cinema americano. La decisione è arrivata sull’onda del “metoo” ma i fatti che incastrerebbero Polanski risalgono a quasi 50 anni fa, quando il regista premio Oscar fu accusato di aver abusato di una ragazza minorenne. Lui, però, ha reagito e ha denunciato l’Academy. In Italia abbiamo il caso Fausto Brizzi. Questa volta c’è un prima e un dopo. Il prima: alcune attrici, tramite il programma le Iene, raccontano di avere subito violenza o molestie da parte di Brizzi. La risposta della Warner Bros, che ha prodotto il film natalizio Poveri ma ricchissimi, è durissima: decide di non farlo partecipare neanche alla promozione natalizia e rescinde il contratto con il regista. Il dopo: tre delle attrici sporgono regolare denuncia e a, seguito dell’inchiesta, le accuse vengono archiviate. Per Brizzi la strada è ancora in salita, ma i meccanismi dello Stato di diritto è come se avessero messo un freno alla gogna pubblica, ne hanno ridefinito i confini, instillando almeno qualche dubbio. Ah, ad aver fomentato l’opinione pubblica contro Brizzi, è il giornalista Dino Giarrusso, poi candidato non eletto del Movimento Cinque stelle, ora incaricato dal Miur di vigilare sui concorsi universitari... Nessuno si sarebbe immaginato che anche Asia Argento fosse travolta dallo stesso problema, accusata di aver costretto ad aver un rapporto sessuale l’allora giovane attore Jimmy Bennett, al quale ha anche versato del denaro perché il caso non diventasse pubblico. L’attrice sta, purtroppo, imparando direttamente sulla sua pelle che cosa significhi subire un processo mediatico. La condanna è certa, la difesa viene considerata un orpello. Il popolo ha già deciso. E con il popolo decidono anche le case di produzione che di quel popolo hanno bisogno per guadagnare. Asia Argento, quando stava sulla cresta del “metoo”, diceva che il garantismo è roba “medievale”. Oggi forse ha capito che è esattamente il contrario: niente è più barbaro di questa nuova gogna, anche e soprattutto quando si parla di un tema delicatissimo e complesso come la violenza contro le donne.