Dalla più cupa e incomprensibile tragedia del Novecento alla strada dei diritti civili e delle grandi campagne democratiche, dalle tenebre di Auschwitz all’impegno per la legalizzazione dell’aborto in Francia con la legge che porta il suo nome, alle battaglie per la dignità dei detenuti e delle persone recluse, fino alla presidenza del Parlamento europeo.

La vita di Simone Veil è un romanzo storico che intreccia le tragedie e i grandi cambiamenti del Secolo breve, un romanzo che si è interrotto ieri, nel suo appartamento di Parigi con un’intera nazione a offrirle l’ultimo tributo, dal presidente Macron a Marine Le Pen, perché un personaggio del genere si guadagna il rispetto e l’ammirazione di tutti, anche degli avversari più accaniti.

La ragazzina sopravvissuta della Shoah, la fervente repubblicana, l’eretica che negli anni 70 trascina la destra, machista e pujadista sul sentiero dei diritti civili, combattendo contro i pregiudizi dei notabili gollisti, contro l’opposizione della Chiesa francese “figlia prediletta del Vaticano” dai tempi di Carlo Magno, contro le calunnie, gli insulti dei suoi stessi compagni di partito, le minacce di morte, le offese antisemite, le svastiche disegnate sotto il portone di casa, insomma Simone Veil oltre a rappresentare l’ultima grande figura politica della sua generazione è un esempio di coraggio e rigore senza pari, di grazia e intelligenza. Quell’intelligenza racchiusa nello sguardo azzurro, che tagliava come una lama l’interlocutore senza però mai perdere l’umanità, la stessa umanità che ha visto calpestata e fatta a pezzi sotto i suoi occhi nell’apocalisse nazista.

Simone Veil nasce a Nizza il 13 luglio 1927 da una famiglia ebrea, laica e repubblicana, quarta figlia dell’architetto André Jacob e della sua sposa Yvonne, casalinga. L’infanzia trascorre via serena nel sopore della provincia mediterranea, anche durante l’occupazione nazista e il governo collaborazionista di Vichy. Il 30 marzo 1944 crolla il mondo. Simone viene deportata a Drancy, il vergognoso centro di smistamento per i campi di sterminio del Reich organizzato dal maresciallo Pétain. Quindici giorni dopo raggiunge su un treno piombato la struttura di Auschwitz- Birkenau, con lei ci sono la madre e la sorella primogenita Madeleine. A casa torneranno soltanto Simone e Maddeleine, Yvonne muore stremata dal tifo pochi giorni prima della Liberazione il padre Jacob e un fratello sono assassinati nel ‘ 44 in Lituania. Il 23 maggio del ‘ 45 il ritorno a casa, dove dove reimparare a vivere, a sedersi su una sedia, a camminare liberamente per la città, riposare su un letto, dimenticare gli orrori della segregazione nazista. Impossibile davvero, quest’ultimo proposito: «I convogli, il buio, la paura, il lavoro forzato, la prigionia, le baracche, la malattia, il freddo, la mancanza di sonno, la fame, l’umiliazione, l’avvilimento, le grida di dolore strazianti, nulla si cancella», scriverà sessant’anni dopo nella sua autobiografia Une Vie.

Nel ‘ 46, a 18 anni vince il concorso per Scienze politiche e si trasferisce a Parigi dove, sempre lo stesso anno, conosce e sposa il giovanissimo avvocato Antoine Veil che rimarrà il compagno di una vita fino alla sua morte nel 2013. Anche Simone sogna di diventare un avvocato, è una femminista ante litteram e desidera l’indipendenza; alla fine entra nella magistratura per non sentirsi protetta dal marito, ma vuole occuparsi di un campo che le sta particolarmente a cuore: l’amministrazione penitenziaria. Il suo compito valutare le condzioni carcerarie in Francia, il sovraffollamento, la promiscuità, le garanzie, la dignità dei prigionieri; la reduce dei campi di concentramento rimane per tutta la vita una militante dei diritti dei detenuti: «Sono sempre stata attenta al tema della libertà e a tutto ciò che nei rapporti umani produce violenza, umiliazione e degrado». Aderisce al gollismo con spirito repubblicano, lavorando come giurista in alcuni gabinetti ministeriali, ma nel 1974 delusa dalla candidatura del conservatore Jacques Chaban- Delmas si schiera con il liberale Valéry Giscard d’Estaing che viene eletto presidente; il premier Jacques Chirac la nomina ministra della Sanità. In pochi mesi scrive la legge che legalizza l’aborto in Francia e convince il governo a sostenere la storica battaglia che si conclude il 29 novembre in un discorso rimasto celebre nella storia della quinta Repubblica ( eguagliato forse da quello con cui il ministro della giustizia Badinter nell’ 81 annuncia l’abolizione della pena di morte) che si conclude con l’approvazione della legge da parte dell’Assemblea nazionale.

Dopo la vittoria nella stagione dei diritti, si lancia in un’altra grande battaglia: l’Europa. Nel 1979 si presenta alle prime elezioni europee e diventa il primo presidente del Parlamento di Strasburgo e lo resterà per 13 lunghi anni difendendo il processo di integrazione e la nascita dell’Unione. Viene richiamata in Francia nel 93 dove è ministra degli affari sociali del governo Balladur, il “padrino” di Nicolas Sarkozy con il quale avrà fino all’ultimo una schietta amicizia ( nel 2007 lo sostiene nelal corsa all’Eliseo). Nel 1998, quando il presidente è Chirac in coabitazione con il socialista Jospin, Veil viene nominata al Consiglio costituzionale dove rimane per nove anni. Il giusto coronamento di una carriera incredibile.

Controverso il rapporto con il socialista Mitterrand, anche lui fervente europeista, anche lui paladino dei diritti ma in fondo un convertito: Simone Veil non ha mai amato quell’uomo politico dall’intelligenza fuori dal comune e dalla grande cultura; non lo ha mai amato e a dire il vero non è mai riuscita stimarlo, non tanto perché era un avversario politico, un “gauchista”, ma perché aveva prestato servizio nella polizia di Vichy e lei non ha mai creduto che il giovane Mitterrand non sapesse nulla delle leggi razziali, come ha invece sempre sostenuto, non ha mai creduto alla sua buona fede. È il fatto che in 14 anni di presidenza non abbia mai chiesto scusa agli ebrei francesi per le deportazioni di Vichy ( ci pensò Chirac nel suo discorso di insediamento nel 1995 a farlo a nome della Francia) ha confermato nel suo cuore e nella sua testa questo odioso sospetto.

Nel 2005 Simone Veil è ritornata ad Auschwitz- Birkenau, ha visitato il mausoleo delle vittime della Sohah e ha pianto a come una bambina davanti ai fotografi e alle telecamere, ha ricordato la madre Yvonne, «la figura ha ispirato tutta la mia vita e che mi ha spinto a lottare per la libertà e l’indipendenza di tutte le donne».

Come scrive l’editorialista Serge Bouchet «Simone Veil in politica era una donna di centro, ma l’opposto di un centro molle e trasformista, aveva degli angoli, aveva una volontà inflessibile, aveva un carattere vitale. Ed è sulla sua forza che la Francia di oggi deve continuare appoggiarsi».