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Non solo parlava, era diventato anche un fervente cattolico
Non è il primo, ma la notizia è clamorosa. Alce Nero, il famoso Sioux reso celebre dal libro di John Neihardt, è in lista d’attesta per diventare uno dei santi della Chiesa cattolica. Già nel 2012 papa Ratzinger canonizzava l’indiana Kateri Tekakwitha, la prima santa autoctona dell’America del Nord. Prima di lei – vissuta tra il 1656 e il 1680 e appartenente alla tribù dei Mohawk – i pochi santi statunitensi o canadesi erano tutti euro- americani. Oltretutto, il percorso di canonizzazione era cominciato con Pio XII, che la dichiarò venerabile, e con Giovanni Paolo II che la beatificò.
Adesso, l’ultima riunione della Conferenza episcopale degli Usa riunitasi a Baltimora, su richiesta del vescovo Robert D. Gruss di Rapid Citu nel South Dakota, ha dato il via libera alla ricognizione nei confronti di Nicholas Black Elk del popolo Lakota, il celeberrimo Alce Nero della controcultura degli anni Sessanta e Settanta. Uno dei nomi cult delle generazioni della contestazione – Alce Nero parla figurava nelle biblioteche di quasi tutti gli adolescenti accanto ai libri di Garcia Marquez e di Tolkien, di Hermann Hesse e di Jack Kerouac e la sua immagine nei poster affissi in molte stanze – potrà finire dentro l’iconografia delle chiese del cattolicesimo dell’era Bergoglio. E non c’è niente di strano, perché il pellerossa si era convertito al cattolicesimo in epoca non sospetta.
L’effetto- sorpresa è generato solo dal fatto che i famosi libri in cui si parla di lui non accennano mai al fatto che già nel 1887 Alce Nero, ventitreenne, aveva conosciuto il cattolicesimo tramite i gesuiti che vivevano nella sua riserva di Pine Ridges. I gesuiti, lo si sa bene, tendono a non considerare il messaggio evangelico come qualcosa di esclusivamente euro- occidentale, e lavorarono molto a sottolineare i tratti comuni con la spiritualità monoteista dei pellerossa. Quando un Sioux Lakota si convertiva al cattolicesimo non doveva conseguentemente rinnegare le ritualità fondamentali della religione che stava per abbandonare. I missionari gesuiti spiegavano agli indiani che c’era una continuità tra la religione dei Lakota e il cattolicesimo. Inoltre, accettarono gli usi e le tradizioni locali e preservarono gli aspetti della cultura locale non in aperto contrasto con il cristianesimo.
E così il guerriero e sciamano Alce Nero – che a dodici anni aveva partecipato con Toro Seduto alla battaglia di Little Bighorn in cui fu sconfitto Custer, che a ventiquattro anni si recò in Europa col circo di Buffalo Bill e che, ancora nel 1890, parteciperà all’ultima battaglia degli indiani a Wounded Knee, dove i nativi americani vennero definitivamente sconfitti – nella seconda fase della sua vita avrà un’esistenza tutta all’insegna del cristianesimo. Nel 1892 si sposa con Katie War Bonnet, convertita al cattolicesimo, e i loro tre figli vengono tutti battezzati. E uno o due anni dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1903, anche Alce Nero fa il grande passo e si fa battezzare col nome di Nicola Alce Nero. Non solo: inizia a prestare servizio come catechista ed educatore cristiano, continuando a svolgere la missione di sciamano tra la sua gente, non ravvisando nessuna contraddizione fra le tradizioni del Wakan Tanka e il cristianesimo. Di più: Alce Nero dichiarò di conoscere il credo niceno e spiegò esplicitamente: «Io credo nei sette sacramenti della Chiesa cattolica. Io stesso ne ho ricevuti sei: battesimo, comunione, confessione, cresima, matrimonio ed estrema unzione. Per diversi anni ho accompagnato i missionari cattolici che percorrevano la riserva annunciando Cristo al mio popolo. Posso dire perciò di cono- scere la mia religione meglio di molti bianchi. Posso spiegare le ragioni per cui credo in Dio». Nel 1905 si risposò con Anna Brings White, vedova con due figlie. Ed ebbero altri tre figli; Alce Nero rimase con la seconda moglie fino alla morte di lei, nel 1941. È morto nel 1950 e riposa nel cimitero cattolico di Sant’Agnese a Manderson- White Horse Creek, Dakota del Sud.
Il suo nome, come dicevamo, divenne famoso in tutto l’Occidente dopo che a partire dal 1931 – quando lui era da tempo un cattolico praticante – incontrò due antropologi, John G. Neihardt e Joseph Epes Brown, ai quali raccontò il suo passato e rivelò i rituali spirituali e le tradizioni religiose dei Sioux. Quel corpus di interviste ad Alce Nero rappresenta uno dei pochi memoriali di un leader spirituale nativo americano della generazione contemporanea di Cavallo Pazzo, Toro Seduto e Nuvola Rossa. Neihardt pubblicò solo trent’anni più tardi – nel 1960 – il libro Alce Nero parla. Vita di uno stregone dei sioux Oglala, straordinaria narrazione che non riguardava solo le vicende personali dello sciamano, ma si intrecciava con la storia del suo popolo, in guerra con i bianchi, e con le sue visioni mistiche, che lo accompagnarono fin dall’infanzia.
E mentre il libro diventava uno straordinario caso editoriale, i primi a reagire al ritratto non fedele di Alce Nero che ne scaturiva furono proprio i gesuiti, i quali fecero subito notare come l’autore censurava inspiegabilmente la fede cattolica di Alce Nero. Del resto, già prima, in una lettera indirizzata a Neihardt, era stato lo stesso Alce Nero a protestare perché nel manoscritto che lui aveva letto nel 1934 non veniva menzionata la sua convinta fede cattolica.
Qualcosa, insomma, va a risarcire questa sorta di censura. Non a caso, nella Chiesa nord- americana Black Elk viene da tempo considerato una sorta di ponte per la fusione ideale tra la cultura lakota e quella cattolica. «Questa inculturazione può rivelare qualcosa della vera natura e della santità di Dio», ha detto lo stesso monsignor Gruss annunciando la nomina a postulatore diocesano di Bill White del popolo Lakota e candidato al diaconato. E più di qualcuno spera nella matrice gesuitica di papa Bergoglio che, forse non a caso, ha parlato positivamente della “spiritualità indigena” anche nella sua enciclica Laudato si’.